LA CADUTA DELL’IMPERO DEGRADATO PIÙ CHE BIO: GALEOTTO FU IL SACCHETTO

LA CADUTA DELL’IMPERO DEGRADATO PIÙ CHE BIO: GALEOTTO FU IL SACCHETTO

Si sopporta un’infinità, non si reagisce di fronte a batoste continue, al lavoro evaporato, alle pensioni diventate un miraggio, agli aumenti sconsiderati di tutto ciò che serve per vivere, alle tasse e ai balzelli che divorano quanto si guadagna. Si sta zitti, si cerca di andare avanti stringendo la cinghia, poi arriva un nonnnulla, qualcosa di trascurabile e si esplode. Non ce la si fa più e la rabbia diventa un fiume. Succede sempre. La classica goccia che fa traboccare il vaso è arrivata: i sacchetti di plastica. L’Italia ha capito che quel centesimo, quei due centesimi in più significano ben più del loro effettivo valore. Sono l’ennesima e ingiustificata imposizione, l’ennesima dimostrazione di arroganza: “noi possiamo tutto e voi subite”. Quel centesimo è visto come un pizzo di stato. Cifra minima, ma enorme sui grandi numeri. Non c’era nessun bisogno di varare quel decreto in mezzo a provvedimenti per il Mezzogiorno, d’estate, quasi di nascosto, senza la minima campagna d’informazione, come fu per esempio per le lampadine a led, facendo così scoppiare il caso il primo gennaio, a cose fatte e decise. Non c’era bisogno di spingersi ben oltre quello che chiede l’Europa, che chiede tante cose, pure troppe. L’Europa matrigna, vista da molti come il demonio. Non c’era bisogno di scaricare il costo in modo così esplicito sui consumatori, visto che gli stessi supermercati erano contrari e li avrebbero volentieri continuati a regalare, caricandoceli in modo indiretto come hanno sempre fatto. Ma se si pagano, dicono, si sviluppa la coscienza ambientale, se ne usano meno. Certo. E allora perché vietare il riciclo di buste portate da casa, delle retine, di qualsiasi altro contenitore utile allo scopo? Per motivi igienici, dicono. Ma va là. Quanto mai potrà contaminarsi una mela o un limone infilato in un sacchetto riutilizzato? Nessuno è mai morto per questo. Inondano i prodotti di chimica e poi tengono così tanto alla nostra salute? In Francia le baguette nemmeno le incartano, le portano a spasso in borsa in metropolitana e per strada. Quante vittime ha fatto la baguette? Nessuna. E se mangio un frutto caduto dagli alberi, quindi contaminato dal terreno, che succede? Muoio perché prima non l’ho disinfettato? E da quante mani saranno passate quelle cassette di frutta e verdura arrivate fino a noi dall’estero o da chissà dove? Accidenti, per evitare i batteri, dovremmo lavare l’insalata con l’amuchina. Vera igiene. Tutta questa preoccupazione per la nostra salute, che ci impone di comprarlo ogni volta questo sacchetto, bello nuovo e incontaminato, fa pensar male. Che il governo si sia preoccupato più di aiutare le aziende del settore, visto che il fatturato della novità si aggira sui 100 milioni all’anno. Insomma, un aiuto di stato a spese come al solito dei consumatori. E se questi sacchetti sono per il 40 per cento biodegradabili, come la mettiamo col restante 60 per cento? Anche questo inquina, no? E perché allora il governo non ha deciso di agevolare il cartario, imponendo solo buste di carta, che quelle gli italiani forse le avrebbero pagate più volentieri. Ecco perché questa legge appare una porcata bella e buona, fatta male. E la gente finalmente si è ribellata. Sui social, naturalmente, perché da qui a scomodarsi a scendere per strada il passo è lungo, anche se ci si arriverà probabilmente. Non ci siamo ribellati a sufficienza per gli scandali bancari, per i risparmiatori finiti sul lastrico, per i terremotati che aspettano al gelo le casette non consegnate, e per un miliardo di altre cose, ma ora il sacchetto è il simbolo della protesta collettiva e l’ennesimo autogol piddino. Ora è difficile tornare indietro. La gente , dopo aver sopportato tutto per decenni, è stufa marcia e tutti coloro che andranno al governo rischiano di essere lapidati in un paio di mesi, se non faranno finalmente qualcosa di veramente risolutivo. Non sono i due centesimi o uno. Si è sopportato troppo e da troppo tempo: governi farlocchi, corruzione, tangenti, interessi di pochi che vanno avanti senza alcun merito, se non quello di far parte della casta, vessazioni continue, abolizione di diritti collettivi. E ora, galeotto il sacchetto, siamo alla fine della sopportazione. E’ sempre stato così nella storia. A Napoli nel 1647 la rivolta di Masaniello scoppiò per l’ennesima gabella sulla vendita di frutta, l’ultima delle troppe angherie dei baroni. La rivoluzione francese esplose per l’economia allo sbando, i prezzi alle stelle e le tasse insostenibili. Per il 98 per cento della popolazione, mentre nobili e clero conservavano intatti i loro privilegi. Ma la storia a costoro non insegna nulla. Stanno lì coi loro inciuci di stravaganti alleanze preelettorali, che appaiono, anziché condivisione di ideali, solo complicità in vista della futura spartizione, liste intrise di voltagabbana che prima appoggiavano uno schieramento poi un altro (alla faccia dei valori) e ci tassano senza pietà per mandare avanti il baraccone, sprecando i nostri soldi in rivoli di regali agli amici e di roba inutile. E’ finita. Il 4 marzo pensiamoci, perché, come diceva Borsellino: ”La Rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello”.