BREXIT. NUOVO ‘HALT’ DI WESTMINSTER AL PREMIER BRITANNICO
Per Boris Johnson Westminster è decisamente ‘un’arena’ in cui si collezionano solenni sconfitte: il percorso della Brexit ieri ha subito un altro ‘halt’. Questa volta a bloccare il suo corso dissestato è John Bercow, lo speaker della Camera dei Comuni, che non ha permesso la verifica del cosiddetto ‘voto di principio’, attraverso il quale i parlamentari avrebbero dovuto pronunciarsi con un semplice assenso o dissenso sul deal, ma non si è potuto procedere perché, secondo il parere espresso da Bercow, la procedura sarebbe stata ‘ripetitiva’. I membri del Parlamento del resto – secondo le sue conclusioni – si sono già pronunciati in merito sabato scorso, e ripetere il voto non avrebbe avuto senso. Per giustificare questa iniziativa, Bercow ha fatto riferimento ad una convenzione ‘vecchia di secoli’ “Si tratta della stessa richiesta del premier, la mozione è identica a quella del 19 ottobre scorso, pertanto potrebbe derivarne solo caos e scontri che sarebbero solo il presupposto per ulteriori divisioni e asprezze”. Per Johnson è l’ennesima, ‘ingiusta’ porta chiusa sul deal (che com’è noto ha ottenuto l’approvazione dei 27 leader a Bruxelles la scorsa settimana); lottare ora strenuamente in patria per ottenere il lasciapassare sul ritiro ordinato del Regno Unito dall’Unione europea, decisamente non è edificante per un premier. Le ostilità sono arrivate anche dai Tory, le defezioni sono state parecchie, alle quali sono poi seguite le batoste quando il deal, dopo varie traversie, è stato sottoposto al voto. Niente da fare, ora è una corsa contro il tempo, Johnson per rabbonire ‘quelli’ di Bruxelles ha inviato sabato scorso una missiva, che non ha neppure firmato, particolare assolutamente informale, in un momento in cui gli atti ufficiali acquistano la loro importanza, non solo sulla sostanza, ma anche sui dettagli allorché sono in gioco dichiarazioni così importanti. E tuttavia a Bruxelles ‘sorvolano’ sull’ennesima licenza del premier britannico. Johnson ha chiesto un ‘delay’ formale, e l’assenza della firma la dice comunque lunga sulle sue convinzioni. E’ un’istanza venuta fuori a denti stretti, dato che non ha fatto altro che dichiarare, finora, che avrebbe rispettato i termini di uscita del suo Paese, con un deal o senza. Per Boris, il rifiuto di Bercow di mettere al voto ancora una volta il deal può essere considerato in definitiva un tiro da cecchino, così infatti si è espresso in merito: “Bercow ha impedito che fosse espressa la volontà del popolo britannico”. Ma forse anche questa volta mancavano all’appello i numeri per superare proprio il muro di dissenso che si è creato nella Camera dei Comuni su un accordo ritenuto controverso. La lettera trasmessa a Bruxelles era un atto dovuto dopo l’esito della votazione a Westminster, sull’emendamento di un membro Tory, Oliver Letwin, il quale semplicemente ha chiesto altro tempo per una migliore garanzia sugli accordi con l’Ue, e dunque scongiurare il ‘no deal’. Secondo l’esecutivo era necessario un voto chiaro dei parlamentari sulla trattativa già passata a Bruxelles, il voto di sabato non è stato ritenuto valido per questo fine. Va da sé che Bercow è stato sommerso d’improperi da parte dei Tory che appoggiano il Governo, ma il problema serio che Johnson sta affrontando è quello della rivolta interna degli alleati Unionisti dell’Irlanda del Nord, i quali non intendono votare un accordo che segna una frontiera doganale dal futuro incerto nel mare del Nord, insidia per la stessa unione con il Regno Unito. E’ in fin dei conti un compromesso inserito nell’accordo da un premier che non ha via di scampo per farla franca con Bruxelles, ma che al DUP è apparso poco meno di un tradimento: si sono sentiti ‘venduti’. Il Governo sta esercitando pressioni dietro le quinte affinché entro giovedì ci sia una risposta chiara sul deal, ma i parlamentari protestano, dal DUP a Nicola Sturgeon, ai rappresentanti del Labour, obiettando che in tre giorni non si possono analizzare più di cento pagine di clausole e decidere con obiettività. Il Premier insiste sui tempi stretti, ma è oggettivamente impossibile prendere una decisione su una questione così importante e complessa in pochissimo tempo. Il quotidiano The Indipendent ieri riportava al riguardo le eloquenti dichiarazioni di un membro del parlamento Labour: “dare ai parlamentari solo tre giorni per analizzare e vagliare l’EU Withdrawal Agreement Bill è osceno”. Oggi attraverso le colonne dello stesso quotidiano si respira più che mai un clima pesante e pieno di tensione: i membri del Parlamento continuano a rivoltarsi contro il tentativo del premier di forzare il passaggio del deal sulla Brexit in brevissimo tempo nella Camera dei Comuni, definendo l’operato di Johnson “un abominio della democrazia”.
