E VE LO VOGLIO DIRE

Sabato sera. Fa freddo alla stazione Tiburtina. Stallo n. 12. Attendo il Flixibus destinazione Reggio Calabria. Non indosso più la mia amata divisa: tubino nero e tacco 12. Ho indosso i pantaloni, una camicia e un giubbotto di pelle nera. Unica concessione all’ estate che porto nel cuore, le scarpe, aperte ma rigorosamente e sempre col tacco. Da poche ore ho lasciato amici cari, ho stretto mani nuove che promettono di ritrovarsi. Da buon meridionale che rientra in patria, ho un bagaglio pieno di effetti personali ma anche di piccoli pensieri da donare. Come quando sono partita per giungere a Roma e riabbracciare chi non ho mai lasciato pur essendo trascorso già un anno. Non si svuota mai la valigia di un calabrese. Fa freddo. Stringo il mio giubbotto. Mentre i ricordi riscaldano l’ anima come un buon vino il cui sapore resta al palato anche molto dopo la bevuta. Due giorni intensi. Volati come se le ore fossero divenute anarchiche e disubbidienti al loro Signore. Roma. Che adoro. Roma che ogni volta mi ama. Roma che mi accoglie dentro il suo abbraccio di Storia e grandezza. Roma dove, nel bene e nel male, scorre il Destino.Roma che sa che se sono in quella stazione di pullman è perché non ho voluto prendere il treno delle 17 che mi avrebbe impedito di chiudere i lavori dell’ Assemblea per la Costituente di Sinistra cui coi miei amici avevo dedicato i sogni degli ultimi tre anni. Un figlio. Per il quale il tempo che gli hai dedicato non ti pesa perché sai che la cura è direttamente proporzionale alla buona riuscita nella vita, salvo le ovvie incognite del fato. Attendo come tanta gente seduta sui gradoni in cemento. Il mio pullman ha un’ora di ritardo e la delusione alla vista della scritta sul tabellone si legge tutta sul mio viso che, ormai, reca i segni della stanchezza. Fortunatamente la scritta del ritardo è apparsa a ridosso dell’ orario previsto della partenza, altrimenti lo scoramento si sarebbe impadronito di me. Osservo il mio intorno. Silenziosa, come un involontario voyeur che si intrufola nelle vite altrui. L’ empatia congenita porta a capire le emozioni della gente la cui epopea di vita sta scorrendo accanto alla mia in quelle ore. Il vociare allegro dei turisti, il sommesso tubare di due innamorati indifferenti al luogo e agli spettatori invidiosi. Il mastichío di un uomo vigoroso che addenta un enorme panino accanto a me e a occhi chiusi gusta l’ intimo piacere di quel cibo agognato. Madre e figlioletto stanno seduti abbracciati sulla panchina. Affrontano il rigore del primo freddo della notte d’ autunno nello scambio dell’ amore che scalda. Una enorme fasciatura ricopre il capo del bambino. E in quell’abbraccio scorgo tutta la paura di madre.Chiudo gli occhi per scacciare le mie di ansie. Clemente il ricordo mi riporta alla mente immagini , voci, momenti vissuti che marchieranno per sempre la mia vita e che sono contenta di avere vissuto , di potere un giorno dire : ero lì. Rivedo anche le strade di Roma bloccate a causa della manifestazione indetta da Salvini e i due degni compari. Il fluire della folla con bandiere tricolore , proprio in onore di colui che il Tricolore beffeggiò, vilipese, offese, con la pantomima dell’autonomia differenziata, con l’ ingiuria di Prima il Nord e con la menzogna del Prima gli italiani. Un moto di stizza mi fa tornare alla realtà. Come evocate dal peggiore degli incubi vicino a me nel frattempo si materializzano due donne. Il dialetto natío le rende mie concittadine. La gioia campanilistica si spegne appena sollevo lo sguardo. Due donne anziane, due nonne del Sud. Imbracciano orgogliose la loro bandiera. Non un Tricolore. Ma un vessillo con il simbolo della Lega e la scritta Salvini. Ho ripensato alla mia di nonna e ho cercato dei punti in comune con le due militanti leghiste. Nessuno. La mia nonna amava la vita e la gente e mai avrebbe distinto le persone in base al colore o alla provenienza. Sono felici della testimonianza resa. Della riuscita della manifestazione. Del carisma del loro leader. Della forza nell’ arringare gli adepti.Hanno applaudito a Berlusconi e alla Meloni felici di una onnipotente trimurti rediviva. Finalmente il pullman arriva. Il tepore di quell’abitacolo è ciò che ci vuole per scacciare il gelo di cotanta triste scoperta. Colloco la valigia nel deposito del veicolo e salgo i gradini del mezzo con cui avrei viaggiato per almeno dieci ore. Ho prenotato il posto online per il mio vezzo di viaggiare con il volto incollato al finestrino e osservare il mondo, il paesaggio e perdermi dentro la poesia che crea. Pregusto il momento dell’ abbandono del corpo stanco sul sedile, quando mi accorgo che il mio posto non è libero. Una delle due signore fan di Salvini. Ha occupato abusivamente il mio posto quello lato finestrino che mi avrebbe consentito per dieci ore di inebriarmi dell’ Italia in flash. – Scusi signora, quel posto non è libero- dico nel modo più educato possibile.– Non fa nulla…Ce ne sono tanti liberi- mi risponde con un tono fra il canzonatorio e il perentorio. Se c’è una cosa che non sopporto è l’ arroganza… Essa fa scattare il paletto soglia di salvaguardia. – Sono lieta che Lei abbia il polso della situazione così non avrà difficoltà a trovarsi un altro posto libero , perché io non ho intenzione di rinunciare al mio- rispondo con voce ferma, impostata sul genere di 007 quando dice ” il mio nome è Bond, James Bond” La signora ha un moto di stizza, sono sicura che avrebbe volentieri usato l’ asta della bandiera per saggiare la consistenza della mia testa, ignorando, forse, che entrambe ce l’ abbiamo dura per latitudine di nascita. Cambia tattica mentre la fila nel corridoio aumenta , mentre io, ferma, impedisco il deflusso normale della gente che deve prendere posto a sedere. Imperterrita ai borbotíi, attendo col mio biglietto in mano che la signora si alzi. A nulla è valsa l’ opera di mediazione dell’ autista. Due donne ostinate a farsi la guerra…per una bandiera…ops per un posto prenotato. – Non c’è educazione al giorno d’ oggi. I giovani non hanno rispetto per gli anziani- protesta la signora.Ma ormai l’ autista ha capito che sono irremovibile e cerca di convincerla a rispettare le regole. Poi la donna dice le parole magiche :- ho fatto dodici ore all’ andata per assistere alla manifestazione di Salvini e ora ne devo fare dodici al ritorno. Voglio viaggiare comodamente-Forse è il mio sguardo o forse il mio dialetto a farle cambiare atteggiamento: -“si vi facistu all’ andata pi Salvini , vi putiti fari puru o ritornu. Aundi vi facistuvu a stati facitivi u mbernu”- ( Se avete fatto tutte quelle ore per Salvini all’ andata, le potete fare pure al ritorno. Dove avete goduto l’estate fatevi l’ inverno) Rimane sbalordita a sentire tono e dialetto. Capisce che ci distingue solo quella bandiera. Si alza. Prende le sue borse e si dirige verso la parte finale del pullman che nel frattempo si è riempito. Deve accontentarsi di un posto in fondo , angusto senza il conforto del finestrino. Siedo. Non sono compiaciuta. In nome di Salvini abbiamo perso entrambe… Foto di Marina Neri “Spin Time Labs Roma”