DUE O TRE COSE SU RENZI
Due o tre cose su Renzi. E’ un politico nato, un temperamento ciclonico, una personalità carismatica. Ci fosse ancora la Dc sarebbe un cavallo di razza. Renzi però con la Dc c’entra poco, è una creatura della seconda repubblica. Lo ha detto anche lui: “sono cresciuto a pane e tangentopoli”. I suoi inizi furono infatti giustizialisti, tanto che piaceva a Travaglio e Padellaro. Poi, una volta al potere, di colpo accenti anti-magistratura, con un sentore di berlusconiano opportunismo. Della seconda repubblica ha il taglio presidenzialista e carismatico. Ama i partiti personali e proprietari, detesta la politica “politicienne”, il parlamentarismo, le correnti, il berlusconiano “teatrino della politica”. Ed ha anche un tratto paraleghista: odia Roma e i salotti della capitale. Non è vero che sia tutto di destra. Renzi appartiene a un centro che guarda a destra in economia e lavoro, a sinistra sui diritti civili. Da un lato abolisce con un tratto di penna l’articolo 18. Dall’altro introduce le Unioni civili. E si sbarazza del fantasma di un centro cattolico. Lui infatti è laico, ed è allergico a omofobie e razzismi. Questa alternanza gli conferisce una personalità chiaroscurale. E’ spesso incoerente e anche in modo spregiudicato (il ribaltone sul canone Rai fu clamoroso) ma ciò incrementa la sua “allure” decisionista. Perché in fondo è quello che di Renzi piace ai renziani: il tratto garibaldino, l’allergia ai compromessi e ai conciliaboli, il piazza-pulitismo della disintermediazione. Tutto ciò sembra introdurre una contraddizione: Renzi cerca il voto moderato ma lui moderato non lo è affatto, perché dopo Tangentopoli il moderato che votava Dc si è trasformato in un uomo medio incazzato, a tratti forcaiolo, a tratti libertario, a tratti socialista, a tratti liberista. Lui lo sa e tira dritto per la sua strada. Ma dove porta quella strada? Intanto la sua irruenza lo ha portato a sbattere di brutto: l’avventura catastrofica del referendum; Marino disarcionato e Roma consegnata ai 5s; il 41% sbriciolato in sei mesi; il Sud strapazzato e consegnato a Di Maio e Salvini. Il Sud è stata una sua Caporetto. Renzi è andato a Napoli promettendo un lanciafiamme (senza poi usarlo), ha cercato di scuotere, ha spintonato, finendo per trasmettere solo un’idea di insofferenza. Ma il Sud cerca politici che lo proteggano e ne blandiscano i difetti secolari. Renzi invece predilige una volizione un po’ futurista e detesta assistenzialismi, pietismi e vittimismi. Peccato che poi a vittima si atteggi proprio lui quando lamenta gli agguati subiti nel Pd o le critiche dei giornalisti. Renzi nel Pd ha attaccato per primo, prendendo a spallate D’Alema e la Bindi con la rottamazione. E ha cacciato dalle commissioni parlamentari quelli dell’ala sinistra dem. Non poteva pretendere l’altra guancia. Sui giornalisti poi deve stare attento: è vero, ha subito diffamazioni e calunnie da destra e dal FQ, ma i suoi militanti attaccano sui social la stampa con toni intolleranti e simil leghisti. Ora, a 44 anni, l’ultimo azzardo, il più prevedibile, il partito personale. Se nel giro di un anno o due non arriva in doppia cifra, rischia di finire in una palude come quella craxiana: molto movimento ma urne deludenti e niente sorpasso a sinistra. Perché Renzi risulta ancora terribilmente antipatico: possiede l’immagine di uomo di successo e questo a sinistra e al Sud non te lo perdonano. Come non piace il suo entourage: I Davide Serra, i Marco Carrai, gli Alberto Bianchi, la stessa Boschi, nel Pd e nel popolo di sinistra li hanno sempre guardati di sbieco. Possono piacere ai Parioli o a Milano Centro, figuriamoci nelle periferie. Il passaggio dunque è stretto anche per Renzi: se guarda a destra difficile che prenda voti, non è abbastanza razzista e anti immigrati e deve per forza allearsi al Pd; se guarda a sinistra non incanta più, neanche se rifacesse gli 80 euro e le Unioni civili.
