L’EGEMONIA ECONOMICA TEDESCA: UNA PENETRAZIONE “PACIFICA”
L’incontro è stato organizzato dall’associazione apartiticaBelzeBo, “un’aggregazione di persone desiderose di non rassegnarsi alla situazione degradata in cui le oligarchie dominanti in Occidente hanno pervicacemente condotto la nostra comunità, alienando le decisioni sovrane sul nostro destino esistenziale, culturale, politico ed economico”.Quasi tre ore di parole luminose, guerriere, non rassegnate e, al tempo stesso, sconfortanti, perché ci inchiodano alla necessità di guardare all’Unione Europea come a un vero e proprio incubo a lungo e ingenuamente vissuto come un sogno.Il primo a prendere la parola è stato Giacomo Gabellini, giornalista, saggista e ricercatore in ambito economico e geopolitico che, dopo due libri focalizzati l’uno sull’Ucraina e l’altro su Israele, ne ha appena pubblicato uno sulla Germania. Si intitola “Weltpolitik. La continuità economica e strategica della Germania”, Goware, 2019.La promessa del libro è chiara: “Ecco la storia della Germania come non ve l’hanno mai raccontata”. Giacomo Gabellini ricostruisce gli ultimi due secoli di storia tedesca mostrando l’inquietante continuità che caratterizza l’approccio della Germania verso il resto del mondo: vocazione imperiale e mercantilismo (ovvero focus sull’export) sono il leitmotiv.Deutschland: già il nome suscita rispetto e timore. Mettendo da parte i servilismi ipocriti, occorre riconoscere che la Germania è un Paese strutturalmente problematico che ha sempre esercitato pressioni fortissime sui delicati equilibri europei.L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Quasi tre ore di parole luminose, guerriere, non rassegnate e, al tempo stesso, sconfortanti, perché ci inchiodano alla necessità di guardare all’Unione Europea come a un vero e proprio incubo a lungo e ingenuamente vissuto come un sogno.Il primo a prendere la parola è stato Giacomo Gabellini, giornalista, saggista e ricercatore in ambito economico e geopolitico che, dopo due libri focalizzati l’uno sull’Ucraina e l’altro su Israele, ne ha appena pubblicato uno sulla Germania. Si intitola “Weltpolitik. La continuità economica e strategica della Germania”, Goware, 2019.La promessa del libro è chiara: “Ecco la storia della Germania come non ve l’hanno mai raccontata”. Giacomo Gabellini ricostruisce gli ultimi due secoli di storia tedesca mostrando l’inquietante continuità che caratterizza l’approccio della Germania verso il resto del mondo: vocazione imperiale e mercantilismo (ovvero focus sull’export) sono il leitmotiv.Deutschland: già il nome suscita rispetto e timore. Mettendo da parte i servilismi ipocriti, occorre riconoscere che la Germania è un Paese strutturalmente problematico che ha sempre esercitato pressioni fortissime sui delicati equilibri europei.L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Il primo a prendere la parola è stato Giacomo Gabellini, giornalista, saggista e ricercatore in ambito economico e geopolitico che, dopo due libri focalizzati l’uno sull’Ucraina e l’altro su Israele, ne ha appena pubblicato uno sulla Germania. Si intitola “Weltpolitik. La continuità economica e strategica della Germania”, Goware, 2019.La promessa del libro è chiara: “Ecco la storia della Germania come non ve l’hanno mai raccontata”. Giacomo Gabellini ricostruisce gli ultimi due secoli di storia tedesca mostrando l’inquietante continuità che caratterizza l’approccio della Germania verso il resto del mondo: vocazione imperiale e mercantilismo (ovvero focus sull’export) sono il leitmotiv.Deutschland: già il nome suscita rispetto e timore. Mettendo da parte i servilismi ipocriti, occorre riconoscere che la Germania è un Paese strutturalmente problematico che ha sempre esercitato pressioni fortissime sui delicati equilibri europei.L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La promessa del libro è chiara: “Ecco la storia della Germania come non ve l’hanno mai raccontata”. Giacomo Gabellini ricostruisce gli ultimi due secoli di storia tedesca mostrando l’inquietante continuità che caratterizza l’approccio della Germania verso il resto del mondo: vocazione imperiale e mercantilismo (ovvero focus sull’export) sono il leitmotiv.Deutschland: già il nome suscita rispetto e timore. Mettendo da parte i servilismi ipocriti, occorre riconoscere che la Germania è un Paese strutturalmente problematico che ha sempre esercitato pressioni fortissime sui delicati equilibri europei.L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Deutschland: già il nome suscita rispetto e timore. Mettendo da parte i servilismi ipocriti, occorre riconoscere che la Germania è un Paese strutturalmente problematico che ha sempre esercitato pressioni fortissime sui delicati equilibri europei.L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] L’espansionismo tedesco ha avuto inizio già prima della nascita dello Stato tedesco, con i cavalieri teutonici e le loro “Crociate del Nord” nei paesi baltici.Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Quel che è successo è che, dopo le due guerre mondiali, l’espansionismo tedesco, non potendo più essere politico-militare per ovvie ragioni (35.000 militari statunitensi presenti sul suo territorio), ha assunto, con la benedizione degli Stati Uniti, la forma di una spietata lotta per l’egemonia economica attraverso una sistematica penetrazione “pacifica” di tutto il continente europeo.E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] E le virgolette in “pacifica” sono assolutamente necessarie, perché in tutta questa storia l’unico aspetto pacifico è il non-uso di bombe: la devastazione prodotta nelle periferie dell’Impero è in tutto e per tutto analoga a quella di un tragico dopoguerra.Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Il secondo intervento è stato quello di Massimo D’Angelillo, economista, Presidente della società di ricerca e consulenza Genesis e autore di vari libri, l’ultimo sulla Germania: “La Germania e la crisi europea”, Ombre corte, 2016.La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La Germania è sempre stato un vicino scomodo, a cui ci siamo sempre accodati chinando il capo, rivelando una sconvolgente vocazione suicida.La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La storia dell’ultimo suicidio va raccontata a partire dall’instabilità monetaria degli anni 70, quando l’inflazione al 20% spaventava tutti, soprattutto i lavoratori dipendenti, che vedevano minacciata la conservazione del loro potere d’acquisto.Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ora che a seguito dei Trattati siamo clinicamente morti, abbiamo raggiunto la tanto agognata stabilità monetaria, ma ci siamo condannati ad una stagnazione eterna senza alcuna prospettiva.Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Nella cultura tedesca è radicatissima un’idea: quelli normali siamo noi, gli altri si devono adattare. Sono nati così quei parametri che hanno rapidamente strangolato il continente: il deficit/pil al 3% e il debito/pil al 60%.Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Cioè i tedeschi hanno preso come riferimento i numeri della loro economia in quel momento e li hanno imposti a tutti, ottenendo vantaggi competitivi mostruosi.Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ma questo è niente in confronto al fatto che aderendo ai Trattati abbiamo perso l’unico strumento con il quale si può rilanciare il sistema economico di un Paese: gli investimenti pubblici.Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ci dicono che per rilanciare l’economia dobbiamo puntare sugli investimenti privati, ma i privati in un contesto di stagnazione non investono.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna incentivare i consumi (ogni implicito riferimento agli 80 euro è niente affatto casuale), ma nessun sistema economico si è mai risollevato per un aumento dei consumi.Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ci dicono che per rilanciare l’economia bisogna ridurre le tasse, ma una scelta del genere arricchirebbe i più ricchi senza generare crescita.La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La crescita è quando lo Stato investe, generando sviluppo e immettendo denaro nel sistema. Ma i Trattati impediscono allo Stato di investire.Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ad aggravare tutto questo si aggiunga che l’Unione Europea, essendo totalmente schiacciata sugli interessi tedeschi, non ha mai avuto una politica mediterranea. I programmi comunitari hanno sempre favorito i Paesi dell’Est.La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La Germania le infrastrutture le vuole in Paesi come la Polonia che fungono da subfornitori offrendo manodopera a bassissimo costo. Dotare il Sud Italia di un vero sistema ferroviario è un tema che non entrerà mai nell’agenda UE.Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Nella visione tedesca il Sud Italia, così come le altre regioni mediterranee, sono luoghi dove costruire al massimo aeroporti e resort di lusso per le vacanze.Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Nella visione tedesca il Centro comanda la Periferia e ovviamente il Centro sono loro. Quella che noi chiamiamo “fuga dei cervelli”, per loro è un normale meccanismo di mercato: le migliori risorse umane si spostano, assieme ai capitali, verso il Centro.Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Per dare più concretezza a quelli che possono sembrare discorsi astratti, Massimo D’Angelillo ha fatto un po’ di nomi a proposito della penetrazione tedesca a Bologna: Ducati, Lidl, Profumerie Douglas, Mediaworld, Allianz, Dhl, Sap. L’egemonia economica attraverso la penetrazione “pacifica” è realtà.C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] C’è ancora chi ironizza sui piani quinquennali sovietici, ma i tedeschi, zitti zitti, fanno piani al 2030. E il punto chiave del loro piano economico attuale, a dispetto dei tanti secondo cui siamo in un mondo post-industriale in cui bisogna puntare sul turismo e sul terziario, è l’obbiettivo di arrivare al 2030 con un pil in cui la componente industriale è il 25%. Ovvero sono convinti che senza un sistema industriale solido e vincente si crolla.Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Massimo D’Angelillo ha concluso dichiarandosi pessimista e molto preoccupato per l’Italia, perché avere un futuro economico così grigio è pericoloso. Disoccupazione e frustrazione sociale crescono. E in tutto questo disagio, imporre attraverso l’austerity sacrifici economici è gettare benzina sul fuoco.Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Anche perché sono sacrifici assurdi. Fossero sacrifici finalizzati a darci la prospettiva di un futuro di benessere da conquistare con fatica, sarebbero accettabili. Ma la dura verità è che sono sacrifici il cui unico fine è evitare che la Germania ci cacci fuori dall’Euro. Cosa che potrebbe anche succedere, magari con la suprema umiliazione di un Euro 2 per i paesi “balneari”.A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] A chiudere l’intenso pomeriggio di depressione volontaria attraverso iniezioni di dolorosa consapevolezza, l’intervento di Thomas Fazi, giornalista saggista e chissà, magari futuro leader socialista.Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Pescando di tanto in tanto citazioni di agghiaccianti dichiarazioni dell’élite tedesca riportate nel suo ultimo libro, scritto a quattro mani con William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, Meltemi, 2018), Thomas Fazi si è focalizzato sulla decostruzione delle narrazioni a dir poco fiabesche che il mainstream ha fabbricato per noi negli ultimi 30 anni per evitare che ci accorgessimo di quello che stava succedendo.Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Ha esordito ironizzando sul 2015, quando si usò la parola “trattativa” a proposito del brutale scontro a seguito del quale la Germania ha piegato e umiliato il governo greco in cui ministro delle finanze era Yanis Varoufakis.Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Definire quell’episodio una “trattativa” è come dire che lo Stato di El Salvador, a seguito di un incidente diplomatico, sta trattando con gli Stati Uniti. La trattativa presuppone parità, ma la parità nell’Unione Europea non c’è mai stata.I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] I Paesi europei sono per la Germania quel che il Sudamerica è per gli Stati Uniti e quel che i Paesi asiatici sono per la Cina: il cortile di casa.La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] La peculiarità della Germania è che non punta a un’egemonia culturale, applica una banalissima logica gerarchica ricorrendo a strumenti coercitivi.Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Secondo la narrazione dominante, l’Unione Europea è nata dalla furbizia dei francesi, che grazie ad essa sarebbero riusciti a imbrigliare la spaventosa potenza economica tedesca mitigando così il potere della Germania. È falso: quando una superpotenza aderisce ad una sovrastruttura, lo fa solo se le viene permesso di imporre regole che garantiscono i suoi interessi. E infatti così è stato: l’architettura europea altro non è se non la cristallizzazione in forma giuridica delle disuguaglianze esistenti.Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Secondo la narrazione dominante, la Germania ha subito l’Euro per il bene dell’Europa. È falso: l’Euro era indispensabile per evitare la crisi di tutto il sistema produttivo tedesco.Soprattutto era fondamentale per la Germania che nell’Euro ci entrasse l’Italia, che per la Germania è sempre stata la minaccia principale.Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Grazie all’Euro in pochi anni la Germania è riuscita a deindustrializzarci e a realizzare il maggior avanzo commerciale della sua storia, arrivando alla cifra record di 250 miliardi di euro. Neanche la Cina arriva a una cifra del genere.Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Per fare tutto questo è stato usato un potente dispositivo ideologico che già aveva usato la Germania nazista: l’europeismo federalista. Per giustificare le sue aggressioni, il Terzo Reich usava quella stessa retorica in cui vivono immersi da decenni i “cittadini” europei: la necessità di superare gli stati nazionali e la necessità di unificare l’Europa per renderla competitiva nello scenario globale.Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Da un punto di vista economico, la risposta è la messa in discussione del mercantilismo, perché un sistema economico orientato principalmente all’export è necessariamente classista: se vendi all’estero puoi permetterti di non aumentare i salari. Se invece punti soprattutto sulla domanda interna devi necessariamente aumentare i salari riducendo le disuguaglianze.Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Da un punto di vista culturale, la risposta passa attraverso la comprensione di quello che le élite capitaliste, passata l’ubriacatura della globalizzazione, hanno già capito benissimo: dallo Stato non si può prescindere.Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Il Capitale vuole fortemente lo Stato, ma si batte perché sia il meno democratico possibile e forte solo quel tanto che basta per imporre il dominio incontrastato del Mercato.È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] È urgente che anche la classe politica reclami lo Stato, ma inteso diversamente, come motore centrale dello sviluppo.Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Da un punto di vista politico, la risposta è la messa in stato di accusa della classe politica che, per ignoranza o per corruzione, ci ha portato dove siamo oggi, ovvero in una drammatica empasse per uscire dalla quale ci vorrà un secolo.Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com] Per concludere questa cronaca filosofica di un pomeriggio assai difficile da digerire, non resta che rimandare al momento peggiore, quando qualcuno ha ricordato che nel 1940, Hermann Göring, criminale di guerra tedesco, presentò al Reichstag un piano dettagliato per “l’unificazione economica su vasta scala dell’Europa”. Esso includeva un’unione doganale, un mercato unico e l’istituzione di cambi fissi tra paesi, “nell’ottica della creazione di un’unione monetaria europea”.[fonte:andreavelluto.wordpress.com]
