RITROVARE UN PAESE, RITROVARE LA PROPRIA VITA

RITROVARE UN PAESE, RITROVARE LA PROPRIA VITA

Una sorta di piccolo paese creato ed abitato da chi soffre di demenza Alzheimer, con il fine di rendere più autonomi e donare più autonomia ai malati. Questo serve per rallentare il decadimento cognitivo, oltre che a dare la possibilità di interagire a chi lo abita. Due esempi, quello del Paese Ritrovato sito a Monza e del Villaggio Emanuele a Roma. Un modo per fornire assistenza a chi soffrendo di lieve e moderata forma di demenza, non si vede più costretto a trascorrere i suoi giorni in una RSA oppure presso l’abitazione di famigliari. Questi piccoli villaggi dove sono stati appositamente ricreati sia gli spazi abitativi che le strutture come: qualche negozio, la chiesa , il bar, il parrucchiere. Ma senza dimenticare giardini, panchine su cui sedere, il cinema e l’orto, consentono di muoversi nella massima sicurezza, e di essere seguiti e supportati dal personale medico presente nel villaggio.Da non sottovalutare resta sempre, la sensazione positiva di non essere rinchiusi, di non essere considerati soltanto come“malati”, ma di riprendere coscienza dell’essere persone. Strutture adeguate alle possibilità di chi le vive, che non tralasciano i bisogni riducendo al minimo le disabilità che si incontrano nel quotidiano, rallentando il decadimento cognitivo, diventando un luogo reale in cui continuare a vivere una vita ricca di stimoli e di interazioni personali. Un modo per non essere a casa che non impatta su quanto invece si riceve in casa. Un modo per ricevere attenzione e cure pari a quelle che si ricevono in casa, perché il villaggio diventa casa. Un villaggio in cui ci si riesce a muovere in modo autonomo, recandosi nelle sue vie, nei suoi esercizi, studiato su misura per i suoi abitanti, in cui chi lavora nel bar, il giornalaio, la parrucchiera sono operatori socio-sanitari o professionisti formati proprio per entrare in relazione con le esigenze dei pazienti.Un villaggio autosufficiente, dove al posto delle case ci sono stanze singole su cui viene indicato all’esterno della porta il nome del proprietario.Non si chiudono le porte dei condomini ma non vengono chiuse neanche le porte al tempo libero, alle esigenze di continuare ad esistere e di sentirsi parte integrante del contesto che si occupa. Chi soffre di demenza torna così ad essere autonomo ma anche a riscoprire il piacere di dialogare con gli altri, di non continuare ad osservare il mondo attraverso le stanze di una camera, ma di diventarne, per quanto possibile, componente attiva. Un nuovo modo di assistere, di non vedere le strutture come gabbie, di stare accanto a chi possiede una sua storia che merita di raccontare e di ricevere attenzione.Progetti validi, da non sottovalutare ma piuttosto da replicare. Avere la possibilità di non vedere più la demenza come una malattia invalidante, da vivere sopravvivendo all’emarginazione che il ruolo di“malato”impone. Troppe le famiglie dimenticate durante queste esperienze che trasformano totalmente anche le vite di chi si ritrova a gestire l’ammalato.Rinunce, sacrifici e isolamento che rendono i giorni tutti uguali, ma anche la privazione per chi viene visto solo come qualcuno non più in grado di gestire emozioni e libertà, di rapporti con gli altri, del dialogo, della sua volontà. Tutte cose che invece ci sono ancora e mantenendo vive e attive, fanno sì che non venga peggiorato lo stato cognitivo.In un paese in cui sempre più si dimentica di chi non ce la fa a correre, ogni tanto, prendere atto che esiste ancora qualcuno che si ferma per aspettare chi è in“ritardo”, fa ancora sperare.