IN IRAQ CI SONO PROTESTE REPRESSE NEL SANGUE, MA SE NE PARLA POCO

IN IRAQ CI SONO PROTESTE REPRESSE NEL SANGUE, MA SE NE PARLA POCO

Delle proteste in Iraq represse nel sangue se ne parla poco.Si parla del Cile, si parla di Hong Kong, si parla di Greta Thunberg, si parla dei giovani contro Putin. Benissimo, perché c’è un movimento mondiale per la giustizia e la libertà.Ma c’è anche una rivolta giovanile in Iraq che è semplicemente straordinaria. Da oltre dieci settimane, le strade di Baghdad e di altre città del sud dell’Iraq, tra cui Basra, Najaf, Kerbala, Babel, Nasiriyah, Amara, e Muthana, sono, infatti, occupate da migliaia di giovani iracheni, con un telefono cellulare in una mano e la bandiera nazionale nell’altra. Sono laureati e disoccupati, delle classi popolari e della medio borghesia. Sunniti, sciiti, curdi e cristiani. Uniti, senza riferimenti politici e religiosi, intonano “La gente vuole abbattere il regime”, “Un altro Iraq è possibile” e “Vogliamo una patria”. Rivendicano diritti, lavoro, giustizia sociale e la fine di un sistema politico su base confessionale, che dal 2003 ha acceso le divisioni settarie tra le comunità. Nonostante la repressione sanguinosa -più di 440 vittime e 20.000 feriti- la mobilitazione popolare non si arresta, la piazza si colora di graffiti, i giovani si riappropriano degli spazi pubblici e degli edifici abbandonati.