A PROPOSITO DELL’OMICIDIO DI SOLEIMANI
Ho diverse decine di amici e conoscenti sciiti nella regione, passando per tutto lo spettro di appartenenza culturale, religiosa e politica. Dai sostenitori subase nazionalista del regime iraniano a quelli su base religiosa, a quelli che si oppongono concettualmente al sistema istituzionale iraniano, sia su base religiosa che politica. Laici, atei, religiosi conservatori, residenti negli Usa, in sudamerica, in Canada, in Libano, Siria o nello stesso Iran, interessati alla politica o totalmente estranei, ricchi, meno ricchi, intelligenti, meno intelligenti, istruiti in scuole laiche o studenti di hawza sciite, groupies di Khamenei o gente che se fosse per loro lo manderebbero in pensione o peggio, addirittura qualche nostalgico dello shah. C’è ovviamente, certamente gente che lo detestava ma ecco, decine di persone, forse una cinquantina, e qualcosa come il 97% di esse a prescindere dalla postura, ha deposto le “armi” che normalmente usa nel criticare la repubblica islamica e sta esprimendo o ha espresso cordoglio per la morte di Suleimani, visto come un uomo che ha letteralmente dato la vita per il suo paese, nonostante verso i 23 anni avrebbe potuto comodamente continuare a svolgere il lavoro “sicuro” che aveva faticosamente trovato in una municipalità vicino Kerman, per cercare di affrancarsi dalla povertà in cui era nato nel 1957. Che 30 anni fa, senza alcuna rilevante esperienza, guidò un manipolo di uomini che furono uccisi dalle armi chimiche irachene, nel silenzio-assenso occidentale, per poi rendere personalmente visita alle 80 famiglie delle vittime, sparse per il paese. Sulaimani si è guadagnato il rispetto di iraniani e musulmani sciiti anche agli antipodi rispetto alla sua visione della società, delle relazioni internazionali, dell’iran stesso e del mondo, e probabilmente se fosse morto Khamenei le reazioni non sarebbero state così unitariamente, universalmente solidali. Aggiungerei che qualcuno ha fatto male i calcoli, perché c’è una differenza (che gli americani nn hanno, a questo punto, proprio gli strumenti per capire, ne’ oggi ne’ ieri) tra opporsi politicamente o anche ideologicamente a un regime e arrivare a gioire perché il paese guerrafondaio per eccellenza, situato a 10mila km di distanza da quel regime, ammazza un suo generale, peraltro in un luogo in cui entrambi i paesi hanno sempre perseguito i loro interessi, col beneplacito dell’altro. Gli iraniani mediamente non ci stanno nella parte della claque, del coretto, o peggio ancora delle testuggini, delle marionette. C’è gente atea, e dico atea, che vi lascio immaginare cosa pensi degli ayatollah, che magari vive a Toronto, ma che in caso di guerra all’Iran si arruolerebbe domattina nell’esercito iraniano. Ma proprio domattina col primo aereo. Perché la religione (Suleimani non particolarmente religioso, ha pure una delle figlie che studia in Malesia e si dice faccia vita licenziosa) e financo il fanatismo, anche se parliamo di una repubblica islamica, qui nn c’entrano proprio nulla. È una banale questione di dignità, di orgoglio di un paese che ha gli stessi confini da 3000 anni e un popolo che nelle difficoltà si compatta. Al di là dei desiderata o delle pericolose quanto astruse proiezioni d’oltreoceano
