CIAO GIAMPAOLO, GIORNALISTA E STORICO SCOMODO

Ieri il giornalismo italiano ha perso un protagonista del ‘900 che ha raccontato con sagacia e attezione minuziosa ogni particolare della sfera politica italiana di mezzo secolo.Giampaolo Pansa era uno dei maggiori cronisti d’Italia, è scomparso all’età di 84 anni. Nato il primo ottobre del 1935 a Casale Monferrato, esordì a 26 anni a La Stampa, ma poi divenne firma eccellente del gruppo Repubblica L’Espresso e altre testate autorevoli, lasciando un’impronta della sua forte personalità. Controcorrente, pungente, fino ad essere in taluni casi una spina nel fianco del politico che la sua penna trattava.Carismatico, caratteristico, unico nel suo genere, Giampaolo Pansa ha narrato i capitoli più importanti della storia italiana, a cominciare dalla tragedia del Vajont, raccontata per il quotidiano diretto da Giulio de Benedetti. Ha saputo raccontare ai lettori la trasformazione di un’Italia che, grazie al boom economico, spostava la propria asse verso la realtà industriale, abbandonando gradualmente la connotazione di “Paese contadino”.Percorse i capitoli neri della storia italiana, per La Stampa nel 1969 fu incaricato da Alberto Ronchey di scrivere della strage di piazza Fontana. E pochi anni più tardi, al Corriere della Sera, firmò insieme a Gaetano Scardocchia l’inchiesta che contribuì a svelare lo scandalo Lockeed. Nel 1978 è nominato vicedirettore de La Repubblica affiancando Scalfari nelle delicate scelte editoriali nel periodo degli anni di piombo. Aveva iniziato un anno prima la sua collaborazione con il quotidiano e da subito ci fu grande intesa professionale con Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo.Disse di se: “Credo di essere il cronista che ha lavorato per più giornali: ma sono ancora qui, a rompere le scatole”.Poi Giampaolo, dopo un’esperienza al Giorno e il ritorno a La Stampa, passò al Corriere, e per il giornale intervistò il padre di Alceste Campanile, smascherando un ignobile montatura. Fece dire a Enrico Berlinguer che si sentiva più al sicuro con la Nato che con il Patto di Varsavia. Prima aveva strappato le interviste più importanti su piazza Fontana, dalla vedova Pinelli, che apprese da lui la morte del marito, al tassista comunista Cornelio Rolandi, che piangendo e vomitando mentre Pansa gli reggeva la testa disse di non essere certo che l’uomo che aveva portato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura fosse davvero Pietro Valpreda. Fango, sangue, lacrime, vomito: il giornalismo di Giampaolo era impastato con la vita. Emblematica la descrizione della canottiera madida di sudore di Craxi a Bari, che Giampaolo Pansa colse col binocolo, e la trasformò nel simbolo di una difficoltà politica. Una sfumatura catturata nel momento apicale del leader socialista.Pioniere del giornalismo, un cesellatore della storia italiana, un pittore che ha fermato nel tempo momenti tristi e bui del ‘900, come il quindici aprile 1982. Quel giorno sulla prima pagina di “Repubblica” c’è il reportage sull’apertura a Roma del processo alle Brigate rosse per il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro e gli altri delitti nella Capitale. L’articolo ha come titolo: “Le donne in nero senza più lacrime”. La firma è di Giampaolo Pansa. Giampaolo Pansa era uno che andava ai congressi di partito con il suo inseparabile binocolo. Mentore di uno stile giornalistico che ha fatto scuola. “Giornalista dimezzato”, “Dalemoni” (sull’intesa tra D’Alema e Berlusconi), “Parolaio rosso” (Bertinotti), “Balena bianca” (la Democrazia Cristiana) sono soltanto alcuni sostantivi di un suo personalissimo lessico con cui ha rinnovato la cronaca politica italiana. Pochi come Pansa hanno avuto il passo del rubrichista: per l’Espresso nel 1984, direttore Giovanni Valentini, ideò la fortunata rubrica “Chi sale e chi scende” (che ancora oggi vanta molti imitatori) e nel 1987 esordì su Panorama con il Bestiario (direttore Claudio Rinaldi), poi trasferito su L’Espresso. Anche i titoli dei suoi saggi restituiscono la verve polemica, rivolta soprattutto al mondo dei giornali: “Comprati e venduti”. “Carte false”. “Lo sfascio”. “Il malloppo”. “Carta straccia”. Rivendicava con orgoglio il ruolo di “rompiscatole”, epiteto che diede anche il titolo a un libro autobiografico. Parallelamente all’impegno giornalistico durato per oltre cinquant’anni, è stato anche uno storico. Una tesi di laurea dedicata alla “Guerra partigiana tra Genova e il Po”, sotto il magistero di Guido Quazza. Ma ad appassionare il giovane Pansa verso gli studi storici fu anche Alessandro Galante Garrone, suo professore di Storia moderna e contemporanea negli anni torinesi dell’università. Convintamente antifascista, Pansa rivide le sue idee tra gli anni Novanta e il nuovo secolo, quando si occupò delle zone oscure del partigianato.Dopo tante pagine scritte sulla Resistenza e sulle atrocità commesse dai Repubblichini, Pansa scrisse su Repubblica, “mi è sembrato giusto vedere l’altra faccia della medaglia. Ossia quel che accadde ai fascisti dopo il crollo della Repubblica sociale”.Lo fa con il saggio “Il Sangue dei vinti” che pone interrogativi e polemiche non indifferenti. I partigiani nelle vesti di aguzzini e seviziatori, tra il maggio del 1945 e la fine del 1946, s’incontrano dopo aver liberato il Paese da nazisti e fascisti. Storie di stupri e di torture, di cadaveri irrisi e violati, di fucilazioni di massa e crimini gratuiti. Alla passione storiografica lo scrittore affiancava la bellezza di una scrittura narrativa trasparente, limpida: il libro divenne subito un bestseller, segnando l’avvio di un “ciclo di vinti” dedicato alle “efferatezze” della Resistenza: una serie di libri destinati a scalare le classifiche dei più venduti. Intorno alle sue opere nacque un accesso dibattito.Anche Repubblica discusse i presupposti e il metodo del suo lavoro storico-narrativo, in un passaggio politico in cui la destra berlusconiana cercava di demolire la storia antifascista da cui era nata la Repubblica italiana. Alle critiche Pansa reagiva protestando con veemenza, dedicando alle polemiche pagine di libri successivi, ma senza mai negare l’abbraccio affettuoso del vecchio collega.Giampaolo Pansa lascia la sua compagna amatissima Adele Grisendi. Due anni fa la scomparsa del figlio Alessandro ex amministratore delegato di Finmeccanica, gli fece perdere la voglia di vivere.