BUONGIORNO UN CORNO!, MERCOLEDI’ 15, FREE OF LAUGHTER EDITION …

L’arresto del sindaco di Bibbiano era infondato per “Insussistenza di indizi concreti” secondo la Cassazione. E’ bello che questa avvenga dopo che Salvini ha annunciato che chiuderà proprio a Bibbiano la campagna elettorale del fascio littorio per le regionali in Emilia Romagna. Ma a gente come Salvini e i 5 cosi non importa cosa dica la legge o cosa dica la storia o cosa dica chiunque non sia un esaltato. Andrea Carletti, il primo cittadino del comune al centro dell’inchiesta sui presunti affidi illeciti è stato additato per mesi come il nuovo Himmler, sterminatore di massa di famiglie e ladro di bambini e ha diritto alle scuse di tutti. L’indagine prosegue e senza quelle frasi retoriche sulla fiducia nella magistratura c’è una nazione intera che pretende di sapere cosa è successo a Bibbiano. Perché saltato il tentativo di politicizzare la vicenda resta il dubbio in tutti noi se davvero uno stuolo di operatori e dirigenti dei servizi sociali pubblici abbia alterato lo stato psicologico dei bambini per toglierli alle famiglie originali e venderli a famiglie affidatarie. Perché comunque finisca le vittime sono i bambini. E siccome non siamo degli esaltati che speculano sui drammi umani non ci arreca nessuna soddisfazione sapere che il sindaco di Bibbiano probabilmente non c’entra con questa storia, Il corpus documentale dell’indagine resta in piedi con 26 indagati e 108 capi d’imputazione, se qualcuno ha osato speculare sui bambini e su nuclei familiari economicamente deboli deve pagare il prezzo più alto che prevede la legge senza se e senza ma. Le ordinanze della magistratura vanno lette tutte, non soltanto le parti che ci piacciono. Leggeteil racconto del piccolo Tommy e i racconti di riti satanici e reti di pedofili messi in bocca ai minori, perché nell’ordinanza che spiega l’insussistenza di indizi per la parte politica della vicenda resta la sussistenza di ipotesi gravissime sull’operato dei servizi sociali che deve essere chiarita fino in fondo non per Salvini ma per i restanti 59 milioni e 999mila italiani. Nicola Zingaretti in pochi giorni sembra essersi destato da quel torpore di pigrizia romana che lo avvolge di solito e vuole rifondare un partito. Come la maggioranza degli italiani neanche a lui piace il Pd e allora lo vuole rifare da capo. Il documento elaborato s’intitola Oggi per un domani, che è un passo avanti per una formazione il cui motto sembrava essere Domani è un altro giorno. Cinque i punti elaborati per risollevare sinistra e Italia. Forse contiene troppi numeri: 4 pilastri, 5 obiettivi 1 rivoluzione verde e 2 Napoli al tavolo 7. Ci sono quelle cose lì con cui siamo un po’ fissati tutti noi pauperisti straccioni buonisti, tipo far studiare tutti, l’assistenza sanitaria a chi non ha soldi, diminuire le diseguaglianze, semplificare l’amministrazione statale, la rivoluzione verde. L’ho letto tutto, è bello, ma tutti sappiamo che la realtà purtroppo è sempre un’altra cosa. Perché poi finito di leggere alzi la testa e vedi una finanziaria come quella appena approvata piena di tasse, ci metti sei mesi per avere la carta d’identità elettronica a Roma, ti sventrano la montagna vicino casa per un’opera inutile, insomma vorresti credergli ma non ti puoi scordare che l’ultimo che voleva rivoltare come un calzino il Pd era Renzi e che si è portato via anche il calzino. Nel Pd vanno in giro ferri vecchi come Goffredo Bettini e Matteo Orfini che appartengono a stagioni fallimentari da cancellare ma appunto stanno ancora lì, c’è gente più bigotta del papa sull’eutanasia, c’è un Pd romano che dopo Mafia capitale in cui era coinvolto mani e piedi non ha fatto nessuna autocritica e non esprime nessun progetto serio per la Capitale. Insomma Zinga, se vuoi fare davvero Oggi per un domani e convincerci che è vero che vuoi dare una spallata a questa mondezza che ci circonda non usare le sardine, compra una vagonata di piranha e invita tutti gli attuali dirigenti del Pd a fare un bel bagno … di umiltà. Si rimane sorpresi a entrare nella testa dell’assassino, perché scopri che usa gli stessi elementi del buono solo che li mette in un ordine diverso. Il buono fa una cosa due volte per accertarsi che sia fatta bene e così fa l’assassino. Solo che il buono si preoccupa per due volte che le vite siano salve e l’assassino spara due volte per essere certo che non sia rimasto nessuno vivo. Questo è ciò che è passato per la testa di chi ha ordinato e di chi ha premuto il bottone nella strage del Boeing ucraino con 176 persone a bordo abbattuto da due missili iraniani. Devi essere pieno di scrupoli se vuoi entrare nel Guinness dei campioni dell’omicidio di massa, non puoi lasciare nulla al caso. I missili erano due a distanza di trenta secondi uno dall’altro per paura dell’errore. Cioè l’errore non era abbattere l’aereo sbagliato ma la paura di mancarlo. Professionalità, una parola che echeggia in tutte le sedi, quasi sempre a sproposito, che stavolta ha trovato la sua attuazione a Teheran. Professionalità del male che ti spinge contemporaneamente ad arrestare chi ha ordinato e chi ha eseguito la strage e poi l’autore del video in cui si vede il missile iraniano centrare l’aereo ucraino. I primi naturalmente hanno più possibilità di uscirne vivi del secondo. Già che c’erano hanno anche arrestato decine di studenti che protestavano contro l’abbattimento dell’aereo dopo avergli sparato contro. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha chiesto alla magistratura di istituire un “tribunale speciale” che indaghi sull’abbattimento del Boeing. Con la tipica ipocrisia dei preti fa finta che sia stato qualcun altro. Chi conosce le catene di comando militari sa che esistono procedure studiate nel dettaglio, a osservazione corrisponde reazione, ci sono delle istruzioni da seguire, nulla è affidato al caso, quando sei professionale. La banalità del bene, quella che si accerta due volte di non aver commesso errori nel salvare vite umane, vuole che questi assassini dal primo all’ultimo vengano spazzati via da una ribellione popolare spontanea. Quando in ballo ci sono centinaia di miliardi di dollari nel mondo le notizie le devi leggere con un’attenzione spasmodica. Pensate al mercato degli smartphone e in questa chiave concentratevi sulla sentenza della Corte d’Appello di Torino che stabilisce un nesso di causa ed effetto tra un tumore al cervello e l’abuso del cellulare. Va detto subito che la scienza sostiene che questa prova non c’è, ma a noi piacerebbe comunque evitare di fare la fine di Don Ferrante, il personaggio manzoniano che negando filosoficamente l’esistenza della peste in quanto né forma né sostanza morì di peste. Ci sono grandi interessi in questa storia e, con onestà, non solo quelli delle case produttrici di smartphone, pensate alle cause anche strumentali che potrebbero essere intentate dai cittadini. Basta usare il cellulare trenta minuti al giorno per otto anni per essere a rischio, hanno sostenuto gli avvocati dell’uomo colpito dal tumore a cui i giudici hanno riconosciuto il risarcimento. Adesso voi capite che quasi tutti ci passiamo molto più di trenta minuti e quindi la paura è inevitabile per noi e per i nostri figli. Per l’Istituto Superiore di Sanità però non c’è una base scientifica per queste affermazioni. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel 2011 ha classificato, sulla base di studi epidemiologici, i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibili cancerogeni, ma questa correlazione a differenza di quanto avviene per i raggi UV o le sigarette non è con certezza cancerogena. Va detto anche che gli smartphone di oggi sono diversi dai primi”mattoni” che usavamo anni fa. Resta il dubbio che, come nel caso dei tumori legati all’inquinamento delle macchine nelle città, gli interessi delle industrie continuino a mettere a repentaglio la nostra salute ponendo i fatturati al di sopra degli interessi degli esseri umani.