LETTERE DA UNA CASA CHIUSA 1

LETTERE DA UNA CASA CHIUSA 1

Le case chiuse erano i bordelli che una legge abolì più di sessant’anni fa. Ma siccome devo e voglio stare il più possibile a casa, d’ora in poi raccoglierò solo commenti da letture, limitate impressioni dalle uscite per spesa e cane, ricordi. Non voglio chiamarlo dramma, quel che ci sta succedendo, anche se ne ha tutte le caratteristiche (l’inventore della definizione “cigno nero”, che immagina un evento epocale inaspettato e destinato a modificare tutto, dice che non è il coronavirus) ma certo è un bel casino. Da qui “casa chiusa”. Ho letto (mi ricordo come ne parlavano i grandi, dei casini della mia infanzia, ma io sono cresciuto che era già un’attività stradale) che a ogni bisettimanale cambio delle prostitute, veniva fatto un giro in città per esibire la mercanzia al pubblico maschile. La chiamavano, questa parata, “la quindicina”. Noi siamo in una collettiva quarantena, e questa spero sia l’ultima volta che questa pagina, in una specie di supplemento domenicale, si occupa di politica, fino a quando dura l’emergenza. Sto a Milano. Nella regione che, la si ami o meno, è la locomotiva d’Italia. Nove milioni di persone che, giustamente, sono state recintate: non possiamo uscire, non si può entrare. Si tratta di arginare un contagio, di vincere una gara contro il tempo. Nelle terapie intensive della Lombardia i medici – quanta tremenda responsabilità ci vuole a essere medico oggi – devono decidere chi va salvato e chi perso: l’ossigeno a chi ha più probabilità di salvarsi. Era qualcosa che aveva visto in guerra: prima le donne e i bambini, prima sotto i ferri chi può cavarsela. Il resto, antidolorifici. Ed ero cresciuto in cinema fumosi dove raccontavano la morte del soldato- in genere quello giovane, più puro e indifeso – con il sergente che gli accende una sigaretta, gliela mette in bocca e gli dice che se la caverà anche stavolta. Qui, nell’Italia più attrezzata, dove c’è perfino nel dramma l’orgoglio di dire che se succedeva ad altri era peggio, ci sono persone in camice bianco lasciate a decidere di staccare o attaccare una spina: dovrebbero ricordarsene, i politici dei talk show che esordiscono sempre con un omaggio, e spesso ci aggiungono la parola magica: “eroi” (non la sopporto perché ho visto troppi funerali di uomini in divisa che volevano fare, in posti lontano e sfortunati, bene il loro lavoro e tornare a casa, missione compiuta. Ci tornavano in una bara, e le istituzioni li chiamavano eroi, bella parola che non costa nulla. Quando sei vivo e sei un marò accusato ingiustamente, o un ragazzo che ha un tumore da uranio impoverito, poche parole, invece). Ieri sera ho parlato al telefono con un medico dell’ospedale di Crema: “Siamo in guerra” mi ha detto. Duecento casi di polmonite in 72 ore. Come possiamo aiutarli ? Stando a casa, intanto. Venerdì ho ringraziato due programmi televisivi che mi avevano invitato e ho detto no grazie, me lo proibisce il medico. Sabato mattina, mi sono spinto fino a un negozio per cambiare il regalo a mia nipotina, un abitino primaverile. Avevo sbagliato misura, era una taglia più piccola (fosse stato più grande non ci sarebbe stato problema). Uno specialista dell’inconscio forse direbbe che è il segno di una paura di non vederli diventare grandi. Torno a dire: possiamo essere anche spavaldi con noi stessi e dire chi se ne frega o non ho paura di essere contagiato. Ma dobbiamo convincerci che possiamo essere noi la paura e la fregatura di qualcun altro, non i contagiati, ma i contagiosi. Tutti a casa, almeno qui. Se vogliamo rallentare, governare e fermare il contagio. UNA LUCEIl virus è stata come una luce improvvisa, un bagliore prepotente, che fa impallidire tutto il resto, rende opachi i colori. Come sembrano lontane le preoccupazioni sul razzismo, come sembrano sembrano appartenere a un altro tempo le discussioni sui vaccini o sul veganesimo, le sardine o le elezioni emiliane (l’unica a salvarsi è Greta, perché forse dello scioglimento dei ghiacci possiamo fregarcene, ma dell’incrocio tra civilizzazione e vita selvatica no, quando si tratta di virus). Certe volte mi chiedo dove sia finito il terrorismo islamico, se le cellule dormienti rischiano anche loro il contagio e se qualche dotto spieghi che il virus è la punizione di Allah per i miscredenti. Poi vedo che c’è stato l’altro giorno un attentato in Tunisia, e mi è sembrato paradossalmente un conforto: il mondo non è cambiato, qualcosa dura per sempre, che c’è qualcuno inchiodato al passato, che il caro vecchio disordine non è tramontato. Capisci in quei momenti che qualunque cosa è un rifugio: anche darsi una ragione di vita e di morte facendo il terrorista islamico. Anche credersi un unabomber romano: è stato solo sfigato con il tempo, magari si intende di timer, ma ha scelto il momento più improbabile per le sue gesta. Anche continuare come prima, nei modi della politica, fare finta che non sia successo nulla. FORREST GUMPCerte volte sembrano più ragionevoli i tifosi del calcio, con le loro rivalità avvelenate. Può essere che sospendano il campionato e avvenne solo nella seconda guerra mondiale. Più ragionevoli dei tifosi della politica. Debbo una risposta a due persone molto diverse tra loro, Daniele Tagliabue, e Carmone Paudice. Hanno in comune solo una cosa, ed è qualcosa per cui li apprezzo: hanno un nome e un cognome, non nickname, e si firmano. Ma Daniele Tagliabue ironizza, tutto sommato gentilmente. Carmine Paudice mi manda un vaffa. Rispondo a loro, e chi gli assomiglia, nei diversi gironi dei contagiati della politica e dei contagiati dal vaffa.Daniele mi dice, dopo che io dico basta polemiche, facciamo quello che ci chiedo: bene, constato che la ventata salvinista Le è passata (più o meno, cito a memoria). Non sono mai stato salvinista – se lo fossi non avrei problemi a dirlo, e non me ne vergognerei – e ho sempre pensato che l’essere sempre pro o contro fosse un’ossessione di chi ha bisogno, per vivere, di un nemico. Prima era Craxi, poi Berlusconi. Poi Renzi, poi Salvini. Non appartengo a quelle passioni. Ho passioni civili, che sono tutt’altra cosa. E una di queste passioni è la libertà di critica. Che comprende criticare un governo. Sapete cosa penso di questo governo ? Che è nato per impedire una vittoria elettorale di Salvini, per eleggere con questo parlamento il prossimo Presidente della Repubblica, per fregare Salvini che pensava di fregare gli altri e invece si è fregato da solo mandando all’aria il governo gialloverde. Non essendo tifoso, guardo e basta, e adesso, guardando indietro, mi sembrano tutte Vispe Terese, intente a saltellare sull’orlo del burrone. Poi arriva il virus. Io ricordo in Friuli, nelle Marche, in Abruzzo, in Umbria, nei terremoti della mia vita da cronista, la lotteria dei sindaci. Tu hai eletto un vecchio sindaco onorato, tu hai eletto un giovane sindaco volenteroso, tu hai eletto un sindaco per rilanciare il turismo, tu un sindaco per difender e l’ambiente. E arrivano i compiti straordinari di un dopoterremoto, chi c’è c’è, non hai votato un sindaco per quello, può esserti andata bene o male. Insomma questo governo aveva, per dirlo con il cinico vocabolario di questi giorni, delle patologie pregresse. L’ho criticato su quello che non mi piaceva: la lotta al razzismo invece che la virus, l’impreparazione, la confusa prevenzione, la disastrosa comunicazione che ha gettato i cittadini prima nella sottovalutazione del rischio, poi nel panico, poi di nuovo nella sicumera (io faccio giornalismo fai da te, ma mi ricordo bene La Repubblica con “Milano riparte”, pochi giorni fa). Molti, infatti, un po’ egoisti, sono partiti, ma per le piste da sci trentine o le riviere liguri. Va da sé che nessuno ha la prova che un altro governo sarebbe stato meglio. Quanto a me, non lo credo, anche se penso che è una bella impresa battere questo governo approssimativo. Ma questo è il governo che ci è capitato con il virus, e questo ci tocca. E l’opposizione ? Intanto penso che si sarebbero dovuti incontrare prima, alle prime avvisaglie e concordare un tavolo comune, presentare al Paese una risposta comune (i 7 miliardi del governo o i 30 pretesi dall’opposizione. Facciamo 18 miliardi come in un bazar orientale, ma presentati insieme). Invece hanno tenute strette le loro asce di guerra di gomma, governo e opposizione. Ma adesso, constatata questa povertà della classe politica (se ha pazienza vada a vedersi il primo post di queste note casiniste), credo che le dimensioni del dramma siano tali da obbligarci, almeno noi cittadini, a superare ogni divisione, ascoltare le direttive del governo centrale, della propria regione, delle autorità in generale. Mantengo, caro Daniele, intatte le mie critiche. Le ho solo seppellite, e non mi piace chi le lucida (Zingaretti è contagiato ? Solidarietà. Non mi piace chi ricorda i suoi aperitivi. Salvini ha un agente della scorta contagiato ? Non mi piacciono i politici che ci speculano. Il sindaco di Firenze Nardella ha lanciato l’hashtag#abbracciamouncinese? Amen. I governatori del nord che chiedevano quarantene erano fascioleghisti ‘? Pazienza: per me solo un nodo a un fazzoletto messo nel cassetto . Speranza che mendica le mascherine in Europa ? Peggio per l’Europa. Certo, mi piacerebbe contare, per affrontare la sfida che ci aspetta, su un Churchill, o almeno un leader da prima Repubblica, o un Zamberletti, o un Bertolaso, o almeno un governo che non fa circolare le bozze di un decreto che rinchiude mezza Italia prima di averlo firmato. Non c’è, ci sono piccoli Forrest Gump capitati sulla scena in un momento più grande di loro, secondo me: una bozza di governo. Dovevano evitare le elezioni ? Devono evitare il contagio, ed è più difficile. Ma sono le ultime parole, e solo per rispondere a Lei, Daniele, che spendo contro di loro. Solo le persone stupide non cambiano mai idea, davanti alle lezioni della realtà. Sono uno che ama i dubbi, sono un esercizio di intelligenza e di libertà, per me. Se uno cerca qui conferme, certezze, appartenenze, ha sbagliato pagina. A cose finite, torneremo a discuterne: una Commissione parlamentare d’inchiesta è come il titolo di Cavaliere, in Italia, non si nega a nessuno. Per gli appassionati del genere si voterà, prima o poi. E ci sarà pure una discussione, ci sarà qualcuno a chiedersi se il pericolo era il razzismo, se Milano doveva ripartire, se alle porte c’era il fascismo o il virus. Ma dopo. Adesso, senza scomodare la frusta espressione del Bene Comune, riconosciamo che c’è un male comune, e affrontiamolo come si può e si deve.LATINORUMA Carmine Paudice debbo una risposta più breve, come spetta a un vaffa, dopo l’accusa di aver seminato paura con il mio servizio di ieri su Italia 1. Che aveva molti difetti, tecnici e no, ma non credo quello di essere allarmista. Caro Carmine, forse Lei non lo sa: sono un giornalista in pensione. Come le pensioni romagnole o liguri: casalinghe, ospitali, ma non a cinque stelle. Se Lei cerca qui la difesa d’ufficio del premier Conte e del ministro degli Esteri Di Maio come se fossero il governo Allende, ha sbagliato casa, si rivolga al giornalismo militante o simpatizzante. Se il suo cognome (sul quale non voglio scherzare perché i cognomi vengono dai padri, o forse perché da bambino mi prendevano in giro per il mio. Ma sui nomi si può, e sono stato tentato di evocare i Carmine Burina) se il suo cognome non è un atto di lealtà ma una sintesi di Pauca dicere, i miei ricordi liceali si fermano al “dire poco”. Poi c’è l’ “intelligenti pauca”: “all’intelligente bastano poche parole”. Ma non dev’essere il suo caso.