TROTE E AQUILE
Dal diario di vita. Era una calda sera d’estate alla fine degli anni ’70. La corrente del Nera premeva forte sulle mie gambe, imprigionato com’ero negli stivali alti fino al petto. La giornata non era stata un granché, soltanto due trote di medie dimensioni riposavano nella tasca posteriore del gilet avvolte da grandi foglie verdi. Ormai sera, sempre più montava la voglia di catturare qualcosa d’importante. Il tratto di fiume era un lungo rettilineo di acqua corrente che andava a infilarsi sotto il ponte stradale di Sant’Anatolia di Narco nella bellissima Valnerina, in Umbria. Pescavo a mosca stando in acqua risalendo la corrente a una quindicina di metri più su del ponte. La lenza, a coda di topo, filava dritta in aria sotto i colpi dell’Hardy jet in fibra di carbonio da sette piedi, avanti e indietro, ritmicamente, fino a raggiungere la lunghezza voluta sull’acqua. Sul terminale di nylon avevo fissato la mia mosca preferita, la Tup’s indispensable: corpo di lana rosa con piume di gallo marrone e coda grigia. Le trote ancora non bollavano in superficie ma questo non escludeva che non ce ne fosse qualcuna pronta a ghermire la mosca galleggiante.A volte, pescando, il pensiero mi andava altrove. Immaginavo così di essere Nick Adams, personaggio dei ‘Quarantanove racconti’ di Hemingway, che, sceso dal treno ancora in movimento, finisce per immergersi, senza stivali, nel vicino fiume ricco di grosse trote che insidia lanciando contro corrente una lenza rudimentale con una grossa cavalletta attaccato all’amo. Altre volte mi ricordavo di particolari momenti di pesca emozionanti, come quella volta che di mattina presto mi ero calato nella ‘stretta di Biselli’, un’angusta gola scavata dal torrente Corno, affluente del Nera. Quella volta pescando a mosca avevo agganciato una bella trota fario che però non ne voleva sapere di entrare nel retino. Da alcuni minuti me ne stavo in equilibrio precario con la canna piegata dal tiro della trota e i piedi malfermi sul fondo del torrente, avvertendo nettamente lo spostamento dei sassi sotto la pianta dei piedi finché, a un certo punto, persi l’equilibrio e scivolai lungo dentro la corrente fredda. Mi ritrovai così seduto dentro l’acqua, immerso fino al collo, la mano sinistra appoggiata goffamente al fondo del torrente e la destra che stringeva l’impugnatura della canna tenuta a fatica verso l’alto fuori dall’acqua. Fu a questo punto che guardando poco sopra la corrente vidi la testa della trota, anch’essa poco fuori dell’acqua, che…sembrava mi guardasse! Una situazione incredibile, quasi comica, con risvolti di grande disagio e pericolo, vista la temperatura dell’acqua che mi avvolgeva. Per anni non ho dimenticato l’accaduto.A un tratto la voce di due persone sopra il ponte poco lontano mi riportò alla realtà del momento — ”Guarda so’ due!…quanto so’ grandi!….”–. La frase non mi sfuggì. Davanti a me la superficie della corrente appariva mossa e in controluce. Mi sforzavo con gli occhi per scovare le due grosse trote che le persone sul ponte avevano visto nell’acqua. Niente da fare, non riuscivo a vederle. Tuttavia cercavo di stendere la lenza sull’acqua nel migliore dei modi possibili così da porgere la mosca artificiale a una delle due trote.Intanto i due vecchietti sul ponte continuavano con le loro esternazioni — ”Guarda, guarda che belle! So’ il maschio e la femmina”– A questo punto qualcosa cominciava a non tornare: maschio e femmina? I locali in genere esagerano nel parlare, spesso sono presuntuosi perché pensano di conoscere le loro cose meglio di chiunque altro ma ora, distinguere una trota maschio da una femmina standosene comodamente a osservare il fiume dalla spalletta di un ponte, mi sembrava un po’ troppo. Eppure tanto mi concentravo a lanciare e distendere la lenza sul pelo dell’acqua al meglio delle mie possibilità, sperando di affascinare una delle due trote in questione, pur non vedendole, tanto i miei due amici continuavano con le loro frasi di ammirazione per quello che stavano osservando. Mi stavo innervosendo, fino a quando, smesso di pescare, mi girai verso il ponte per guardare i due tizi. Fu allora che capii l’equivoco. I due se ne stavano girati verso la montagna con il naso verso il cielo a osservare due grandi uccelli scuri che volteggiavano lentamente. La vista di queste due grandi sagome scure che, senza battere le ali, eseguivano una serie infinita di volute, quasi che all’unisono uno dei due inseguisse lentamente l’altro, mi aveva completamente disorientato, o meglio, affascinato. Era ormai sera e il cielo era di un azzurro intenso tendente al blu. I due grandi uccelli scuri continuavano il loro volteggio lento a ridosso del fianco boscoso della montagna. Fu allora che, avvicinatomi al ponte, ruppi gli indugi e chiesi ai due che uccelli fossero. –“So’ aquile!” — mi rispose bruscamente uno dei due – “Aquile?” — gli ripetei meccanicamente – “Sì, aquile…aquile! C’hanno pure il nido!” — Qualcosa mi diceva che aveva ragione. Ma davvero erano aquile? In Italia? Mi sembrava incredibile. Ancora qualche minuto di volteggio nel cielo azzurro ormai carico dei colori della sera e poco dopo i due grandi uccelli scomparvero dietro la montagna. Rimasi per qualche istante ancora a guardare la porzione di cielo blu, nella quale avevano volteggiato le aquile, quasi a voler chiedere loro il bis come per gli artisti che si sono appena esibiti. Niente, le aquile erano scomparse ma la loro visione era ormai impressa indelebile nella mia memoria. Rimasi ancora un po’ a osservare l’acqua del fiume che ormai si era fatta scura per il sopraggiungere della sera; poco lontano si sentiva il rumore secco della bollata di una trota che saliva a prendere gli ultimi insetti sul pelo della corrente. Smisi di pescare e me ne andai in albergo. Seppi poi che quella sera avevo visto l’Aquila reale e in particolare la coppia che da sempre vive e si riproduce al centro della Valnerina, decantata dal grande naturalista scomparso Bernardino Ragni nel suo bellissimo racconto ‘Mal d’aquila’.Da allora fui preso da un nuovo forte interesse, trasformatosi presto nella passione che mi ha cambiato la vita traducendosi in impegno costante per la conservazione di questi splendidi rapaci, che ha significato combattere numerose battaglie per la conservazione del loro ambiente naturale. Oggi le aquile reali stanno meglio rispetto al passato, volano alte e si fanno ammirare da chi, camminando zaino in spalla lungo i sentieri montani, le incontra con emozione.
