CORONAVIRUS IN ITALIA. INDIVIDUIAMO I PUNTI CRITICI VECCHI E NUOVI

CORONAVIRUS IN ITALIA.  INDIVIDUIAMO I PUNTI CRITICI VECCHI E NUOVI

Coronavirus, aggiornamenti in corsa con il tempo. E’ mentre scriviamo che i media ci aggrediscono con novità che non vorremmo sentire. Quella dei punti critici nuovi, che coincidono con paesi di dimensioni medio-piccole (10-20mila abitanti) in Emilia, Marche, Canpania. Se per l’Emilia il caso di Medicina, nato in una bocciofila nell’imolese, era già noto e la zona rossa è stata decretata per il suo aggravarsi, nelle Marche il caso dei 37 contagiati a Cingoli, in un ospizio, riguarda una di quelle province (Macerata) che solo pochi minuti fa avevamo scritto di tenere sotto controllo. Poi c’è il sud, con una Campania che gioca d’anticipo blindando comuni nell’avellinese (Ariano Irpino) e nel salernitano (il maggiore, Sala Consilina). Lì i casi non sono molto numerosi, ma la Regione ha deciso di intervenire dopo che si erano registrate assemblee dei neocatecumenali in netto contrasto con le disposizioni vigenti. No, la Campania non ci era sembrata una Regione tra le messe peggio, a parte la dovuta attenzione all’area metropolitana di Napoli. Ma lo stato d’allarme ormai, giustamente dilaga ovunque nel sud. La Sicilia pone un freno agli sbarchi (Lampedusa non c’entra). Nelle Puglie con qualche sintomo, fin qui non particolarmente grave, di aumenti, Emiliano scongiura i pugliesi residenti in Lombardia di non rientrare. Sassari e Catania negli ultimi giorni, paiono le aree con qualche sintomo in più nelle isole. Su scala nazionale il virus, stando ai dati del 15 c.m. registra solo una leggera frenata del suo tasso di crescita. Cosa significa? Non che i numeri giornalieri di nuovi casi si riducano, se non in pochi casi. Più modestamente significa che il tempo in cui i casi si raddoppiano si allunga di qualche giorno. Da 2/3 giorni a 4/5 e anche di più. Non è molto ma gli epidemiologi spiegano che potrebbe essere un sintomo del declino della diffusione del virus. In Cina è successo così e pure in Corea del Sud, E anche da noi, limitatamente però alle piccole aree rosse iniziali. In ogni caso è una lotta contro il tempo. Se i tempi del “raddoppio” si allungano ci sono maggiori speranza di farcela e che il sistema sanitario non collassi. Come giudicare allora la situazione? E’ possibile mappare le province italiane a seconda del grado di rischio corso da ciascune di esse? Qui si aggiunge un problema tecnico. I dati, giorno per giorno, non vengono quasi mai forniti in maniera omogenea. I campioni non vengono refertati in ogni provincia e regione contemporaneamente. Per questa ragione è quasi impossibile ricavare tendenze significative ogni 24 ore. E lavorare su periodi di 2 o 3 giorni impedisce di fornire con costanza il quadro evolutivo di ogni situazione.Proviamo comunque a dare un’immagine realistica di come stanno andando le cose, pronti agli aggiornamenti che potrebbe essere indispensabile effettuare, Innanzitutto i due casi di province sotto gli occhi di tutti, in Lombardia: Bergamo e Brescia. La prima oltre i 3mila casi, la seconda oltre i 2mila. La crescita pare essere finalmente scesa sotto il +20% giornaliero, ma il futuro rimane plumbeo. E’ come se stessimo parlando di una macchina che sta andando a sbattere contro un muro. La macchina ha cominciato a frenare, ma il muro è tremendamente vicino. In questo senso altre province della Lombardia hanno in buona parte iniziato a frenare prima (come Lodi). Oppure non hanno ancora iniziato, ma il muro è ancora abbastanza lontano (come Monza). Nessuno scampato pericolo, per ora, ma non si arriva ai livelli di drammaticità di Bergamo e Brescia. Un caso a sé è poi rappresentato da Milano. Gli osservatori, col fiato sospeso, dicono che non si può finora definire come situazione esplosiva, ma è chiaro che se lo dovesse diventare il caso milanese diventerebbe il “caso” tout court. Discorso parallelo per le province del Veneto. Qui, come altrove, non si arriva ai drammi della due province lombarde. Ma è lecito domandarsi se Padova e Treviso hanno iniziato a frenare sufficientemente in tempo. E se Venezia, ma soprattutto Verona, smetteranno quanto meno di mantenere il ritmo di crescita tenuto negli ultimi giorni. Tra le regioni più a rischio va poi analizzata l’Emilia Romagna. Qui c’è un medico assessore, Sergio Venturi, che parla con competenza insolita. Da un lato ci tranquillizza sulle dotazioni medico ospedaliere della Regione. Ma è lui stesso a dirci che, in generale, questa settimana sarà un test decisivo. Tanto per Rimini e soprattutto Piacenza che dovranno confermare il calo dei loro tassi. Quanto per Modena e Bologna, che non possono comunque accontentarsi dei tassi ridotti mantenuti finora. Quanto ancora per Ravenna e Forlì Cesena, ancora lontane dal muro, ma che dovranno quanto meno raffreddare le tendenze alla crescita degli ultimi giorni. Usciamo adesso dalle tre regioni che presentano criticità maggiori. Difficile da giudicare il Piemonte che fornisce i dati a singhiozzo e che teme l’espandersi a macchia d’olio dell’effetto Lombardia. Inoltre la presenza di un’area metropolitana come Torino costituisce comunque un segnale d’allarme. Finora però non si registrano tassi particolarmente preoccupanti. Tocchiamo ferro. Discorso più allarmante riguarda la Liguria e in particolare Genova. Ma anche Imperia, La Spezia e forse ancora Savona non lasciano spazio a sonni tranquilli. Il capoluogo è comunque la città-area metropolitana che da più tempo registra tassi molto preoccupanti con un raddoppio dei casi in meno di due giorni. Il numero assoluto dei casi si contiene ancora sotto i 3/400, ma di questo passo ci potrebbe mettere poco a raggiungere cifre che comportano rischi decisamente più elevati. Altro caso in netta crescita è quello della provincia di Trento. La preoccupazione è solo attenuata dal fatto che i casi si spalmano su tutto il territorio, dal lago di Garda (Arco) alla Valsugana (Pergine) e che quindi isolare i casi e contenerne la diffusione sia relativamente più facile. Finora però, forse perché siamo agli inizi, gli incrementi sono stati notevoli. Un discorso differente va fatto per le Marche. Qui a Pesaro si è potuto registrare da tempo una situazione grave. In analogia con quanto avvenuto nel contiguo riminese, ma anche a San Marino, la provincia è balzata ai primi posti in assoluto in Italia come presenza di contagi. Frenata ancora minima e decollo poco più a sud nell’anconetano. Ma proprio in queste ore i 37 contagiati in un ospizio a Cingoli, mettono anche il maceratese nell’occhio del ciclone. Su Lazio, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Abruzzi, Val d’Aosta e Umbria, non pare per il momento esserci una vera e propria emergenza. Ma i tassi di crescita degli ultimi giorni ci mandano segnali inquietanti un po’ dappertutto. Da Lucca come da Udine, da Pescara come da Aosta, da Perugia come da Terni. Senza contare che aree metropolitane come Firenze, ma soprattutto Roma, non ci consentono distrazioni, né di parlarne con superficialità e senza i debiti scongiuri. Bene gli altri. Ma gli altri sono solo Molise e Basilicata. Anche se qua e là, anche altrove, si possono ancora incontrare diverse province dove la situazione è relativamente tranquilla (molte di quelle che non abbiamo citato). Ma preferiamo non parlarne. Già pochi minuti fa abbiamo dovuto modificare quanto stavamo scivendo, pressati dalle agenzie di stampa. Prendiamo fiato, finché ne abbiamo.