CRONACHE DAL FRONTE ANTIVIRUS (8)
Ieri sotto casa mia ho visto un angelo. Si chiama Rosita, fa la giornalista come me ed è riuscita a stupirmi, con una sorpresa che di questi tempi grami non poteva essere più gradita. Non solo mi ha preparato una torta, infatti – un ciambellone cacao e vaniglia – ma si è anche levata il pane di bocca omaggiandomi con un assaggio di quelle leccornie che solo al sud sanno fare come si deve – le verdure sott’olio – preparate per di più da sua madre (i miei omaggi, signora, e sia orgogliosa di sua figlia). Viste le circostanze ho potuto ringraziare Rosita solo dal balcone. E anche se la vedevo piccola piccola perché abito al sesto piano mi è sembrata grande come un gigante per via della sua generosità. Peraltro, ho scoperto di essere il terzo collega in quarantena di cui lei faceva ieri l’angelo custode. E non mi sono affatto ingelosito, anzi. Alla sfilza di cuoricini che le ho mandato via whatsapp lei ha risposto: “Felice di portarti un po’ di lucanità in questa tristezza metropolitana. La terronia è dentro di noi. Baci”. Angelo mio, che dire? Mi viene in mente solo quello che diceva l’indimenticabile Massimo Troisi “La faccia mia sotto i piedi vostri. E vi potete pure muovere”. Rosita non lo sa ma c’è una ragione recondita che mi ha reso la sua sorpresa ancor più gradita. Quando ero all’università, da fuorisede, a Bologna, invidiavo segretamente i miei amici del Sud che ricevevano i famosi “pacchi” di sostentamento da casa. Sono calabrese, è vero, ma allora ero troppo impegnato a fare la Rivoluzione per potermi preoccupare di una cosa così banale come il cibo. Era la fine degli anni ’70, c’era altro a cui pensare, mi dicevo. E comunque la mia famiglia era troppo altera, o forse un po’ snob, per propormi questo tipo di sostegno alimentare che comunque, mai e poi mai, avrei ammesso di volere. Risultato: sbavavo tutte le volte che il postino suonava e i miei compagni di casa scendevano a ritirare i loro “pacchi”, poi mi sedevo con loro al tavolo della cucina e li aiutavo ad aprirli, trattenendo il fiato come solo un bambino davanti ai regali di Babbo Natale (forse oggi c’è Chef Rubio che fa così, ma è l’unico). Ah Rosita, hai fatto scattare in me una nostalgia indicibile, una “madeleine” di proporzioni gigantesche, che quasi quasi mi fa rinnegare il mio passato da Comunista & Rivoluzionario (a sinistra del PCI, prego, com’era doveroso a quell’età) e mi fa rimpiangere di non aver avuta la testa meno calda, da notabile democristiano. Inutile però rivangare il passato. Come mi ricorda oggi il mio amicoDaniele Raineri– di cui leggo scrupolosamente, tutte le mattine, il bollettino sulla diffusione del virus, qui sulla sua pagina Facebook – il 18 marzo, cioè domani, o al massimo entro domenica dovremmo toccare il picco nei contagi. Il che vuol dire che a partire da la curva della diffusione dovrebbe via via appiattirsi e il numero dei contagiati quotidiani scendere progressivamente. Dovrebbe, attenzione, il condizionale è d’obbligo, perché troppe sono le variabili in gioco. Io intanto tengo botta. Mercoledì comunque finisce la mia quarantena e dovrei tornare al lavoro. Ammetto di avere qualche problema con lo smaltimento della spazzatura, che accumulo da troppi giorni come uno scrupoloso collezionista, in attesa di qualche camorrista che venga a ritirala per seppellirla chissà dove. Ma per il resto va tutto bene. E anche oggi, almeno qui a Roma, splende il sole N. B. In foto, a destra la torta di Rosita, che ho un po’ menomato ma tanto non è un quadro e lei so che non s’incazza anzi apprezza. A sinistra invece, sorpresa sorpresa, un Ricucci d’annata che ho tirato fuori dai miei cassetti segreti, regalo del mio indimenticabile amico sardo, Gianni,Giovanni Pedranghelu. Era il mitico 1977, a Bologna, Piazza Verdi. A sinistra Giovanni Pesce, al centro Gianni, a sinistra Nadia Trebbi e all’estrema destra il sottoscritto. Che saudade…
