RISCOSSA NEI MERCATI FINANZIARI, CHE IGNORANO ANCHE L’ALLARME DELL’INDICE PMI
Un buon risveglio per le Borse di tutto il mondo, Piazza Affari, che ieri ha chiuso la seduta in perdita diell’ 1,7% (comunque la meno negativa tra le piazze europee), oggi fa un bel balzo superando il 5%. Il là è stato dato dalle piazze finanziarie asiatiche, partite con ottimismo in seguito alle dichiarazioni della Fed e alle misure di politica monetaria di stimolo senza limiti di tempo. Con l’imperversare del Covid-19 negli States la situazione diventa sempre più seria, nonostante il presidente Trump tenti di ridimensionare il dramma che inevitabilmente si rifletterà nell’economia. Del resto, secondo analisti ed esperti, la recessione a livello globale è ormai inevitabile, considerato il blocco dell’attività produttiva e lockdown seguito alle severe misure di emergenza sanitaria. L’ottimismo dei mercati finanziari parte anche dalla valutazione di qualche timido spiraglio di ripresa in Cina, che ad aprile spezzerà il muro di protezione intorno all’area del dragone più colpita dal virus, la provincia di Hubei, riaprendo i cancelli di tante realtà produttive sospese. Ma non sfugge certamente neanche il timido segnale di rientro dell’epidemia in Italia, anche se è presto per una conferma del trend. La spinta propulsiva arriva soprattutto dalle nuove dichiarazioni di sostegno espresse dalla presidente della Bce e da Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, entrambe concordi sulla necessità di supportare con qualunque mezzo l’economia dell’Ue messa a ferro e fuoco dall’emergenza Covid-19. Si tratta di misure importanti in questo momento, una terapia d’urto per le ferite già consistenti rilevate nell’attività produttiva che, è ragionevole pensare, lasceranno il segno. Per valutare la reale portata dei danni è comunque necessario attendere la fine di questo incubo. Tutte queste spie verdi che lampeggiano nel nero processo innescato dal coronavirus, non passano inosservate al vaglio degli investitori. Buone iniziative sono previste dalla riunione dei ministri finanziari del G7 con i Governatori delle Banche Centrali. Il respiro più disteso si avverte anche nel versante dello spread. Il differenziale di rendimento tra i due decennali, ossia tra Btp e Bund, oggi apre in netto calo, riprendendo un sentiero più sicuro a 190 punti base. In calo anche un indice diventato protagonista da alcune settimane: il Vix, che valuta tensione e paura nei mercati, questa volta innescate dalla diffusione del virus. In mattinata l’indicatore che mette in rilievo la volatilità sugli scambi americani è rientrato a 60 punti, ossia 20 in meno rispetto ad alcuni giorni fa, allorché aveva superato il record, raggiungendo quota 80,70 – limiti che non si riscontravano dal 2008. Una delle ripercussioni attribuibili al disastro coronavirus è la contrazione dell’Indice Pmi, uno dei dati macro che misura la salute dell’economia, atteso in netto calo, considerata la congiuntura in atto. E’ come si sa il termometro dell’attività manifatturiera, il dato di marzo non è certo lusinghiero. E’ anzi in evidente flessione non solo in Italia, ma in tutto il continente europeo, in lotta contro la pandemia. Chiusure di industrie, e misure lockdown al seguito, soprattutto dopo l’ultimo decreto Conte, non sono certo incentivi per uno scenario economico edificante. Il Pmi, ovvero l’Indice dei direttori degli acquisti (Purchasing manufacturing Index), è sprofondato a livelli minimi: a 31,4 punti nel mese di marzo. Una bella differenza con il dato di febbraio, che era stato pari a 51,6 punti, ossia al di sopra dei 50 punti, considerata la frontiera che determina il sano andamento dell’economia, al di sopra ovviamente si va in positivo, al di sotto si contano i danni nella produzione industriale, e quindi della crisi. E’ un’Europa che rischia la recessione, ma il calo dell’indice è atteso un po’ ovunque a livello globale, specie in quei paesi nei quali la diffusione dei contagi ha colpito di più, che poi sono anche le economie più avanzate. Il dato Pmi di marzo è andato peggio di quello previsto, e segnala il calo più forte dal 1998, che è poi l’anno in cui è stato creato l’indicatore. Di buono c’è che i mercati finanziari gli hanno dato meno peso di quanto si pensasse. Almeno per il momento.
