FUOCO IRACHENO

FUOCO IRACHENO

Le milizie sciite irachene sfidano costantemente gli Usa in Iraq. Un fuoco lento e continuo alimentato da lanci di razzi. Dopo un recente attacco, il Pentagono era pronto ad una rappresaglia massiccia, una vera campagna. Ma – come ha rivelato il New York Times – è arrivato lo stop del comandante delle forze americane nel settore iracheno, generale Robert Whites: a suo giudizio un’offensiva totale potrebbe avere conseguenze ancora peggiori e portare a un conflitto diretto con l’Iran. Meglio procedere con cautela. E domenica è stato annunciato lo sgombero dalla base K1 (area di Kirkuk), trasferita nelle mani delle truppe locali. Passo che si inserisce in una riorganizzazione dello schieramento che sarà presto seguita dal ritiro da altre installazioni. Il problema, però, resta. E le fonti ufficiose lasciano trapelare ipotesi, scenari, possibili mosse su come gli Stati Uniti possano accrescere la deterrenza nei confronti dei gruppi sostenuti da Teheran, in particolare Kataeb Hezbollah, organizzazione decisa a proseguire la vendetta dopo l’uccisione da parte di un drone statunitense del generale Soleimani, il grande regista delle iniziative sciite e guida dell’apparato Qods, quello delle operazioni speciali. Le frontiere contano poco. Lo dicono due notizie collegate. Le autorità turche hanno raccolto elementi sul coinvolgimento di due agenti iraniani nell’uccisione di un esule, Masoud Vardanjani, assassinato a metà novembre a Istanbul. La coppia era in servizio presso il consolato ed avrebbe appoggiato o istigato i killer dell’oppositore, considerato pericoloso dai mullah in quanto diffondeva informazioni su pasdaran e regime. Una copia, con meno risalto, del delitto Khashoggi. La seconda news arriva dalla Danimarca. Ed è simile. La magistratura ha incriminato un cittadino danese sospettato di preparare un agguato contro un dissidente iraniano residente nel paese e membro di una fazione della minoranza araba dell’Avhaz.