PARLA UN OPERATORE DEL 118: CERTE STORIE TI SI APPICCICANO ALL’ANIMA
Il nome di Paolo Baldini lo incrociai una mattina quando la Gabri, mia moglie, condivise un post su una storia di coronavirus. “Leggilo” mi disse con gli occhi lucidi. Era il racconto di una telefonata al 118 in cui una donna che, dopo aver perduto il fratello, e col marito in fin di vita, rifiutò il ricovero per la madre a casa con lei. “Preferisco esserle vicina quando se ne va” disse all’operatore, non voleva vederla portare via come il marito, come il fratello, e rischiare di non rivederla più. Al 118 Baldini ci lavora da anni. La sua postazione è al San Matteo di Pavia, che fa capo all’AREU Lombardia. Al telefono non ci si improvvisa, occorre la capacità di comprendere al volo la situazione, di dare spiegazioni chiare a un interlocutore naturalmente agitato, decidere se è il caso di mandare un’ambulanza. In tutto questo tempo Baldini ha sentito e visto situazioni che non potrà mai dimenticare; ‘cose che voi umani…’ mi dice con quella leggera autoironia che è il tratto caratteristico. Adesso però è diversa. Il coronavirus sarà ricordato come il momento dopo il quale nulla sarà più come prima. E noi lo stiamo vivendo adesso. Prima, ad esempio, quando dicevi ‘pronto’ sentivi quasi sempre voci incazzate perché avevano aspettato a lungo che rispondessimo – mi dice ancora – Oggi, anche se le statistiche dimostrano che chiamando il 118 aspettano molto di più, dall’altra parte trovi gente educata, che non ti aggredisce. Mi dice anche che le donne sono le più chiare a spiegarsi e che i bambini, quando capita, sono i più attenti e reattivi alle istruzioni che ricevono. ‘Ci stanchiamo oltre il tollerabile, quando mi appoggio a letto mi addormento stecchito, ma quando ci si rialza, pensando all’orrore che hai sentito e che hai visto si parte per il 118 più decisi di prima. Perché noi, come dice l’hashtag che ho creato, #nonsimollauncazzo ‘. Non chiamatelo angelo e non chiamatelo eroe perché potrebbe reagire male. Anzi, ascoltatelo dalla sua viva voce.
