IL MIO (IL NOSTRO) INCONSCIO OMICIDA
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis/ e terra magnum alterius spectare laborem;/ non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,/ sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.Come dà conforto, quando sul vasto mare la tempesta sconvolge le onde, assistere sicuri da terra al gran travaglio altrui: non perché ci dia piacere vedere qualcuno che soffre, ma perché è dolce vedere quali mali ci sono risparmiati.Sono passati più di venti secoli da quando il poeta romano Lucrezio inaugurò con questi versi il secondo canto del suo “Poema sulla natura delle cose”. Vi sembra che da allora siano cambiati di molto i sentimenti umani davanti alle disgrazie del nostro prossimo? Il Coronavirus ci sta ricordando di che pasta siamo fatti. Non che ci dia piacere vedere qualcuno che soffre, ma che conforto sapere che non è noi e ai nostri cari che quella disgrazia è capitata! Partecipiamo al dolore dell’altro, certo, ma non vorremmo fare cambio. Non è questo il sentimento costante che ci accompagna ogni volta che i giornali e la tv sgranano le cifre delle vittime del contagio e ci mostrano le immagini delle ambulanze e dei reparti dove si accalcano destini a rischio che non sono però nostri.E’ così che siamo fatti e fingere il contrario non sarebbe neanche giusto. E’, semplicemente, la nostra natura: cioè l’instinto di sopravvivenza che governa l’intera nostra esistenza. E quando un amico al telefono ci rassicura sul fatto che “i suoi” stanno tutti bene non tiriamo un sospiro di sollievo, sentendoli in qualche modo come anche “nostri”? Non siamo cattivi e non godiamo del male altrui, ma meglio che il Virus colpisca degli sconosciuti piuttosto che qualcuno che conosciamo personalmente, perché così quel dolore resta più lontano: difficile immedesimarci in chi non conosciamo.Del resto è quello che accade quando il nostro cuore viene allagato di comoda “commiserazione” (non è la stessa cosa della compassione) davanti allo spettacolo, solo per fare qualche esempio, di un barcone di migranti in balia delle onde o di una colonna di profughi che dalla Grecia tenta di entrare in un paese confinante.E vi invito a considerare quella parola perfetta che Lucrezio ha usato nel secondo verso: “spectare”, cioò l’atto di guardare da una posizione di sicurezza che ci rende “spettatori” (non siamo forse “la società dello spettacolo” come ci ha insegnato Guy Debord?) Nel bene come nel male, noi osserviamo dal nostro da fuori, da un posto sicuro e garantito. A meno che…A meno che la tempesta che ha provocato quel naufragio di cui dalla riva siamo spettatori non rischi di carpire anche noi. Ci teniamo ben lontani dalla riva, perché un’onda troppo lunga potrebbe catturaci e trascinarci nel gorgo del pericolo mortale. Da spettatori diventiamo potenziali vittime della stessa sventura che ha già compito altri. Ed è ciò che stiamo vivendo tutti noi, con esclusione di medici, infermieri, sanitari, assistenti che nei modi più diversi recano aiuto a chi ha fatto naufragio e giace in un letto di terapia intensiva, dovendo troppe volte raccogliere le salme di chi non ce l’ha fatta.Allora ci assale una sensazione profonda di insicurezza, ci sentiamo in pericolo di vita, temiamo fortemente per noi stessi. La riva non è più una massicciata sicura ma assomiglia a una spiaggia che una semplice ondata potrebbe cancellare. E allora lo spettacolo cessa di essere tale: è un rischio reale. Non è più una rappresentazione televisiva, ma un insidia che può venire a ghermirci alle porte di casa…Che fine fa, in casi come questo, la nostra capacità di identificarci gli altri, se siamo atterriti a tal punto da vederci forse già aggrediti dal pericolo che esce dallo schermo e si materializza nel nostro contesto reale? Il rischio fortissimo è che prevalgano in noi le pulsioni irrazionali che emergono dal profondo el nostro incontro: pulsioni delle quali ovviamente non siamo responsabili né colpevoli, ma che se prendessero il sopravvento ci negherebbero di gestire il nostro presente in maniera razionale, o almeno ragionevole, e non disumanizzante. La compassione può svanire e anche la semplice e comoda commiserazione può dissolversi, per questa regressione a uno stato pre-razionale.No, non siamo cattivi, siamo semplicemente fatti così, perché la com-passione non è un sentimento spontaneo e naturale. E’ un’acquisizione della nostra umanità che va scoperta e conquistata giorno dopo giorno, passo dopo passo. Ecco perché mi chiedo: nel mio, nel nostro inconscio, non viaggia forse in questi giorni un pensiero recondito, mai verbalizzato né concettualizzato, diciamo pure uno stato emozionale, che se potesse parlare ci farebbe dire sinceramente queste parole: “Beh, sì, mi dispiace per tutte quelle bare che i camion militari stanno portando in altre città: sono così tante perché che non è possibile cremare tutti i malati che sono morti contagio… Poverina, tutta quella gente, così tanti…” . Ma anche, non detto per la vergogna della nostra bassezza, c’è il sollievo di essere scampati, la soddisfazione di non conoscere personalmente nessuno dei deceduti e anche lo scongiuro di poter sfuggire alla malattia mortale). Manca però la domanda decisiva: perché loro sì e noi no? Abbiamo più diritto noi di loro a salvarci dal contagio?Capite che questo non è un giudizio morale, è la pura e semplice presa d’atto dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri latenti. Fin qui non ci sarebbe di che stare troppo allegri sulla nostra capacità di autentica empatia. Ma c’è anche qualcosa di più allarmante che si nasconde nel nostro inconscio e con cui, in momenti come questi, faremmo forse bene a riflettere: cioè la disponibilità segreta all’omicidio pur di avere ragione e anche di avere la nostra vendetta..Provi a spiegarmi descrivendo quello istintivamente mi sono ritrovato a sentire e a pensare quando ho letto le notizie relative alle politiche molto disinvolte di Johnson e Trump agli esordi del contagio, quando da noi già contavamo migliaia di contagi e centinaia di vittime. Tanta era in me la rabbia quando al primo ho sentito dire che gli inglesi dovevano abituarsi a vedere morire i loro cari più vecchi che spontaneamente mi è venuta da augurargli: “Speriamo che il primo a crepare sia tuo padre! così vedrai cosa di prova!” Ora leggo che è lui stesso positivo e istintivamente ne giosco.Quando Trumph dichiarò solennemente con la sua tronfia supponenza che negli USA non sarebbe mai accaduto quello che era già capitato in Cina e stava accadendo in Europa istintivamente, in preda a un’ira incontenibile, mi sono ritrovato a pensare: “Come vorrei che in America morisse più gente che da noi, brutto bastardo!” E il virus purtroppo ha accontentato il mio desiderio: al momento in cui scrivo gli Usa sono il paese al mondo con il più alto numero di contagiati e i morti solo a New York sono già 365 e la strage è destinata ad aumentare, forse in progressione geometrica…Vedete che corto circuito perverso ha fatto il mio pensiero inconscio! E a voi non è capitato di augurare a Trump, il borioso saccente e prepotente, gli effetti di una devastante epidemia, per provare la soddisfazione di vedere il blocco totale di New York e di gran parte degli USA, con grande umiliazione del presidente che si definiva fino a ieri per niente preoccupato dal Coronavirus? Non gli avete augurato di infettarsi come Johnson?Insomma, amici: capite come sono andate le cose nel mio inconscio? Mi è venuto spontaneo predisporre al sacrificio della vita, nella mia immaginazione, migliaia e migliaia di innocenti americani e inglesi colpiti dal virus pur di punire la boria di Trump e il cinismo di Johnson. Quando me ne sono accorto non ho potuto che vergognarmi di me stesso perché ho dovuto constatare che nel mio inconscio così civile e altruista l’istinto omicida del primo homo erectus sopravvive intatto, perfino a scapito di migliaia di ammalati innocenti, e continua a farmi pensare come proprio non vorrei. Non lo credevo possibile, ma anche in me la pietà può scomparire senza che neanche me ne accorga. Cos’accadrebbe dentro di me, mi sono chiesto, in caso di un conflitto armato se un’epidemia ha scatenato in me istinti e pensieri come questi?Ne ho di strada da fare per diventare un po’ più umano, non vi pare? Con il consenso di Lucrezio e, se mi è permesso dirlo, anche del Vangelo che non augura il male a nessuno, nemmeno ai peggiori nemici.
