MILTON FRIEDMAN FINISCE QUI ( PRIMA PARTE)
Quando scrivo questo post ho appena saputo (12 marzo, ore 17) del crollo della Borsa Italiana a -17%, mentre le altre europee le vanno dietro preparandosi di qui a qualche giorno ad analoga pesante amputazione dei valori di mercato. Nei giorni scorsi Piazza Affari di Milano ha già perso il 10, il 7 % e così via. Credo che ormai le perdite siano al 35% almeno. E nei prossimi giorni cos’accadrà? Là fuori intanto dilagano gli scioperi perché operai e tecnici si rifiutano di andare allo sbaraglio nei capannoni dove le garanzie di non rischiare il contagio non sono (o non possono essere) sicuramente garantite. La vita non si baratta con il mantenimento della produzione, ma senza produzione le cose non potranno che peggiorare e la Borsa non potrà che proseguire la sua vertiginosa corsa verso il basso. Vista da vicino, anzi dal mio appartamento in cui mi trovo da tre giorni praticamente blindato in osservanza scrupolosa ai decreti di Conte e alle ordinanze regionali, la cronaca di queste settimane non può che farmi paura, soprattutto pensando ai più giovani, per il domani che li aspetta. Ma lagnarmi non serve a nulla, recriminare su questo o quel provvedimento non abbastanza restrittivo è un’inutile processo alle decisioni dei politici e degli esperti che li hanno guidati. Provo allora a distanziarmi un po’ da ciò che sto io stesso sto vivendo e per capire se questi eventi potranno servire forse a qualcosa nel nostro futuro sono costretto a guardare indietro, riandando agli anni ’70.Fu proprio allora che, per contrastare non solo le economie pianificate (e poi crollate) del socialismo sovietico, maoista e dei paesi dell’Est europeo ma anche le “economie sociali di mercato” (quelle per intenderci delle socialdemocrazie del nord Europa e del centrosinistra a trazione democristiana e socialista in Italia) che la “scuola di Chicago” del futuro premio Nobel dell’economia Milton Friedman cominciò a predicare al mondo il vangelo del nuovo turboiperliberismo che fu subito assunto da Regan e poco dopo dalla Tatcher come rotta sicura e indubitabile verso un futuro radioso e l’indubitate vittoria dell’Occidente capace di imporre a livello globale il proprio modello. Fu proprio in quel periodo che lo storico nippo-americano Fukuyama giunse a teorizzare “la fine della storia” perché l’umanità, giunta al proprio apice di potenza tecnologica al servizio del Mercato, non avrebbe più potuto ottenere di meglio di questo capitalismo trionfante. Il Mercato, appunto, come dio supremo, come unico e assoluto regolatore dei rapporti fra le nazioni e gli individui, capace di trascinare verso traguardi di benessere sempre più alti una società atomizzata permeata dall’etica e dalle leggi della concorrenza più sfrenata.Reagan, convinto da questa inossidabile ideologia, piegando l’intera politica dell’amministrazione americana alla tutela di uno sfrenato neocapitalismo mediante la deregulation. Ma la campionessa del nuovo modello sociale atomizzato fu la Tatcher (ricordiamolo: la maestra dell’attuale Boris Johnson realizzatore della Brexit) che non ebbe timore ad affermare che “la società non esiste” perchè esistono solo gli individui in competizione fra loro. E la Tatcher vinse, stroncando con la fame lo sciopero dei minatori inglesi che ancora credevano al patetico mito della solidarietà (almeno di classe) e attuando uno smantellamento progressivo del welfare e dello stato sociale inglese. Tutto doveva essere privato e privatizzato, lasciando allo Stato solo le funzioni di polizia, di gestione dei tribunali e di difesa militare nazionale. Di lì a qualche anno, con il crollo nell’89 del Muro di Berlino e il collasso del sistema sovietico in Russia (e dei suoi socialismi satelliti nell’Est Europeo) il trionfo del neoliberismo fu totale e si impose come ideologia globale: lo fecero proprio anche Eltsin, che consegnò l’economia russa agli oligarchi e alle mafie, e anche la Cina, che si inventò il capitalismo privato più sfrenato sotto il tallone, comunque, del partito Comunista.La crisi dei subprimes del 2007 (quella della Lehman Brothers, per intenderci) sembra che non sia servita a niente: tutto è rimasto come prima, anzi il progressivo rafforzamento dei grandi gruppi economici mondiali a scapito di un pur minimo controllo sociale da parte delle sinistre e dei sindacati si è progressivamente consolidato, di pari passo con l’affievolimento dei partiti socialisti e la ratifica del Mercato come supremo sovrano delle dinamiche sociali. Chi mai osava dubitare, fino a un mese fa, di questo dogma diventato fondamento unico e indubitabile della stessa Unione Europea? Quell’Europa, non dimentichiamolo, che è stata pronta a chiudere gli occhi sugli esodi biblici dai paesi in guerra in medio Oriente e dai territori africani dal Sahel, inariditi dalle mutazioni climatiche causate proprio dal dissennato mito della concorrenza planetaria anche se a scapito dell’ambiente?
