TUTTI VOGLIONO LA FASE 2, MA I NUMERI SONO ANCORA DRAMMATICI

TUTTI VOGLIONO LA FASE 2, MA I NUMERI SONO ANCORA DRAMMATICI

“Quando comincerà la fase 2, avete già una data””, chiede la collega al capo della Protezione Civile, Borrelii, il quale fa notare, per l’ennesima volta, che l’unica data da tener presente è quella del 13 aprile fissata dall’ulltimo decreto del Presidente del Consiglio. E che alla base di ogni decisione che sarà presa dopo il 13 aprile dovrà esserci il parere dei tecnici, gli epidemiologi, gli esperti del comitato. Insomma, sarà l’andamento della lotta contro il virus a determinare i tempi e i modi di un rilascio graduale delle misure più rigorose. Ma la collega insiste. Vuole sapere, come lui, Borrelli “vede la fase 2, come se l’immagina?”. Insomma, a seguire la conferenza stampa quotidiana sull’andamento della pandemia in Italia sembra che le misure di distanziamento, la chiusura, sia un capriccio, se non qualcosa di più malizioso, architettato dai nostri governanti, qui rappresentati dal Capo della Protezione Civile, per tener un’intera popolazione ai domiciliari. Mentre loro, i governanti, con alla testa il “perfido” Conte, avrebbero già preparato i piani e deciso le date del fatidico “ritorno alla normalità”. Che la curva dei contagi, pur rallentando, non si decida ad imboccare la discesa (oggi i nuovi casi accertati sono stati 4585, ieri erano stati 4073) come quella delle morti (766, contro i 760 di ieri)non conta niente. Ancorché gli esperti parlino di una “tendenza in calo” dell’epidemia, i numeri son ancora drammatici. Ma noi. vogliamo la fase 2. Tuttavia, su una cosa fra le molte dette oggi, a proposito e a sproposito, in conferenza stampa, mi sento di essere d’accordo: sulla necessità di un’informazione univoca e coerente da parte delle autorità, sull’andamento della pandemia. Perché tra esperti di complemento e in servizio attivo, luminari veri e presunti, ministri del governo, “Governatori” assetati di notorietà (chi si sarebbe mai accorto del siciliano Musumeci se dopo aver invocato l’intervento dell’esercito, non minacciasse adesso di avocare poteri militari che non ha?) e assessori regionali baciati dal dono del protagonismo, spesso la cacofonia è assordante. Ma a questo coro stonato contribuiscono tutti, chi più chi meno, anche noi giornalisti. Non deve essere facile, dunque, per quelli che si stanno adoperando ad arginare il virus, assistere a questo show d’impazienza quotidianamente imbastito dai media, pressoché senza eccezione alcuna. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente quando uno dei cosiddetti “poteri forti”, come la Confindustria, lascia cadere ogni remora e fa scendere in campo la vicepresidente Licia Mattioli. Secondo la quale le industrie italiane avrebbero fatto tutto quello che occorreva fare in materia di distanziamento sociale e sicurezza dei dipendenti, “mascherine”, comprese e che adesso è il momento di ripartire perché “c’è il rischio che !alcune fabbriche non riaprono per niente”. E’ vero che l’economia italiana, come quella di tutti i paesi sviluppati colpiti dalla pandemia, rischia molto. Ma io credo che una delle lezioni con cui saremo tutti costretti a fare i conti, “dopo”, è che con la salute pubblica non si scherza, a cominciare da quella dei lavoratori che fanno girare le fabbriche. E se gli imprenditori avessero veramente fatto, come dice Mattioli, i compiti a casa in materia di misure di contenimento, mi chiedo perché il sindacato ha dovuto minacciare lo sciopero generale, denunciando che le fabbriche del Nord erano diventi potenziali focolai di contagio? Capisco la fretta degli industriali, tutti siamo preoccupati per l’economia, ma come fa Mattioli ad affermare che “l’emergenza va affrontata con mezzi diversi da quelli finora adottati”. Per cui: tamponi, tamponi, tamponi e passa la paura?