GIOVANI COME STATE DI QUESTI TEMPI IN CASA ?

GIOVANI COME STATE DI QUESTI TEMPI IN CASA ?

Sento un amico psichiatra (no, non è per me, a NOI non ne basterebbe uno ) e mi conferma una cosa che avevo già notato parlando con alcuni colleghi e ragazzi del mio corso. Ovvero che a molti giovani (diciamo 17-25?) non è che sto fatto di restare a casa dispiaccia poi troppo, anzi. Sembra paradossale, essendo da sempre l’età che più vuole stare fuori casa, scrollarsi di dosso i genitori, che più ha energie, curiosità, voglia di avventure… Invece un senso ce l’ha.Intanto non ti devi cercare qualcosa da fare nel fine settimana per raccontare sui social che hai una vita interessante.Poi sei esentato dal dover trovare un partner, tendenzialmente fallendo.Hai una scusa per non andare in palestra e non fare altre mille cose che per convenzione sociale devi fare perché sennò sembri da meno degli altri.E poi – vero che stare in una casa con il terrazzo non è lo stesso che stare in un basso -, ma in qualche forma distorta ora siamo tutti più uguali, si gode tutti di meno, si è tutti un po’ prigionieri e un po’ più simili, sicuramente più di quando tutto scorre normalmente… Ecco, è come se l’attuale situazione ci sollevasse da quell’imperativo “devi godere!” che contraddistingue i nostri tempi, dall’ansia di doverci confrontare con un mondo così competitivo, con le sue gerarchie di perdenti e vincenti. Diverse ricerche negli ultimi anni hanno descritto i giovani italiani come impauriti, in particolar modo dalle relazioni, come i più conservatori politicamente e i meno attivi sessualmente d’Europa, ripiegati sulla famiglia o comunque su dimensioni ristrette, più controllabili, rispetto a un futuro e un contesto che non danno certezze. Seguendo queste letture, la quarantena potrebbe rafforzare queste tendenze, e rendere i giovani ancora più timorosi, separati, tesi al salvataggio individuale. Anche se preferisco sempre la presa di parola autonoma dei soggetti, credo ci sia qualcosa di vero in queste ricerche, così come nelle osservazioni empiriche fatte da me e dagli stessi ragazzi. Ma credo anche che – siccome quell’antropologia “conservatrice” dei giovani dipende dalla lenta decadenza dell’Italia, che ci spinge ad aggrapparci più che a rischiare – nel momento in cui alla decadenza subentra un brusco collasso, si potrebbe produrre un effetto diverso… Nel sollievo che deriva dall’interruzione di un imperativo da cui ci sentiamo sovradeterminati, c’è anche un’implicita protesta contro questo modo in cui è organizzata la società. Che nell’interrogarsi su questo innaturale sollievo davanti al disastro possa maturare una nuova presa di coscienza della gioventù italiana?