IL CORONAVIRUS VISTO CON GLI OCCHI DI UNA VENTENNE
Coronavirus: la più grande crisi sanitaria ed economica del secolo, ma anche unaferita per l’umanità tutta, difficile da rimarginare. Quasi un milione e mezzo di contagiati nelmondo, numero destinato a salire. Il Coronavirus è spietato e idati sono sotto gli occhi di tutti. Però non è quello che voglio comunicare. Non voglio snocciolare dati su dati, non è la competenza che cerco al momento. Vorrei solo raccontarmi, raccontare di come la mia generazione stia vivendo tutto questo.In realtà non dovrei lamentarmi. Non ho la casa di Will Smith: l’attore americanoaveva lanciato pochi giorni fa, un giusto appello per i suoi fan e “ a non uscire di casa”.Diciamo che è più semplice quando hai parchi, campi da tennis e palestre nella tuaproprietà. Ma Will Smith mi piace, e in fondo anche io ho una stanza mia, internet, libri e a casanon manca il cibo, a dispetto di chi già si sta costruendo un bunker con i panetti dilievito.Le giornate scorrono, sembrano tutte uguali. Sono grata di passare il mio tempo conmio padre, con la donna che mi ha cresciuto negli ultimi quindici anni, provando aprendere rispettosamente l’irraggiungibile posto di mia madre, e con sua figlia. Parliamo dell’assurdità della situazione, cerchiamo di esorcizzarla con una risata. Abbiamo anche uncane, in casa. Camminare per le strade deserte di Roma -anche solo perquindici minuti al giorno -, mi fa sentire come se fossi Will Smith, per citarlonuovamente, in Io Sono Leggenda. In giro vedo principalmente anziani, i primi giorni c’era sempre un signore vestito molto elegantemente, l’ho salutato ogni volta che lo incontravo e lui ricambiava con un sorriso. Osservandolo, nel susseguirsi dellegiornate, ho capito che si vestiva così solo per arrivare all’inizio della via e ritornare acasa. Saranno stati 100 metri, ma si vedeva quanto se li godeva.Mi mancano i miei amici, mi manca il mio ragazzo e mi manca mia nonna. Spessopenso a lei, la chiamo tutti i giorni, mi racconta di ogni singolo parente in vita e diquando a diciannove anni , giovane sposa, si era ritrovata a vivere in un palazzetto d’epoca con un figlio appena nato. Anche quel periodo, per lei, non deve esser stato facile. Non fa mai paragoni con la Seconda GuerraMondiale, e sì che l’ha vissuta in pieno. Forse il confronto è impietoso, un virus èdiverso dalla cupidiga umana. La spesa le arriva direttamente a casa, grazie al lavorodei riders, figure indispensabili in questo momento. Le lasciano i beni necessarisull’uscio di casa, senza possibilità di contatto. È molto anziana, ma per fortunaautosufficiente. È cocciuta, poteva passare la quarantena a casa di uno dei suoi figli,ma dice che vuole le sue “comodità”. Quando mi chiama sento quanto è spaesata,quanto si annoia e mi ripete che le manco. Non ha molto tempo da vivere, ma è unpeccato che il muro che la pandemia ha messo tra lei e i suoi cari, sarà uno degli ultimiindelebili ricordi. So che sta pregando molto, sono contenta che abbia qualcosa di così forte a cui attaccarsi. Dice che il mondo sarà migliore dopo tutto questo. Le persone saranno migliori. Io voglio credere in questo.Il primo giorno del Decreto Conte dell’9 marzo, ero un po’ agitata, ci metto sempremolto ad abituarmi alle cose. Il momento più difficile, però, è stato superare laseconda settimana. Iniziavo a sentire la costrizione, non riuscivo a mangiare, astudiare, tanto le date degli esami sono slittate. A volte penso ai giovani lavoratori o studentifuorisede che sono scappati dal Nord, per tornare nel caldo abbraccio delle lorofamiglie. Il gesto di per sé, è irresponsabile, trattenersi per senso civico, ma anche peramore dei propri familiari, sarebbe stato assennato. Tuttavia, non mi sento di muovere alcuna critica, quando erano partiti per la loro personale avventura, nessuno li aveva avvertiti che sarebbe arrivata una pandemia globale a sconquassare i piani. E tutto ciò che volevano, come tutti, è avere qualcuno che amiamo con cui condividere ciò che ci spaventa.So che la didattica a distanza sta funzionando da un punto di vista partecipativo, ibambini ed i ragazzi sono assetati di cose da fare. Ma i professori non eranopredisposti ad una simile eventualità, la colpa non può che essereanche della miriade di tagli all’istruzione. Nessuna preparazione alla didattica adistanza, tecnologie non adeguate, il solito problema dei professori sottopagati eprecari, famiglie con un solo computer a casa, in un caso su tre. L’insegnamento è una missione delicata, da cui parte la formazione di una persona, ma come possono gli insegnanti essere soddisfatti di svolgerla cosi? Lacultura, l’empatia, la socializzazione sono la base, ogni ragazzo che èstato sui banchi di scuola, dovrebbe sentirle come legge interiore. L’unica cosa percui dovevamo lottare era ed è questa. Non voglio parlare per frasi fatte, vorrei soloche poter imparare a pensare con la propria testa, fosse un bene inalienabile, non cidovrebbero essere problemi familiari o povertà che tengano. È così ingiusto.Accantonato lo studio per un poco, altro non potevo fare che mettere in pratica gli hobbydel terzo millennio: cucinare e guardare film e serie tv. Soprattutto la serialità, mirilassa. Forse è questo il segreto del suo successo, seguire le storie di personaggicarismatici che non ti abbandonano subito, ma anzi ti fanno compagnia per interegiornate, a volte per anni. Il loro sviluppo è lento e graduale, come il tuo modo diaffezionarti a questi irrealistici protagonisti.Ultimamente sto facendo anche attività fisica, sia chiaro: sono stata costretta. Sonoancora un tronco, ma inizio a vedere i primi miglioramenti (o almeno così vogliocredere).Insomma, il mio angolo di pace l’ho trovato e stare nella comodità delle proprie case,è al momento, l’unica soluzione. Il problema è che io ce l’ho, la pace a casa. Ma perchi non ce l’ha? Ho tante inquietudini sparse: penso agli operatori sanitari, terrorizzatima con l’animo forte, penso a chi non può scappare da casa propria, uomini o donne vittime di violenze domestiche o penso a chi sta vivendo in prima persona il drammadel coronavirus. Penso al mio futuro e a quello degli altri ragazzi, avevamo tutti pauradi diventare grandi, ma era anche eccitante esserne spaventati. Spero che questa sial’unica paura che torneremo ad avere. Sì, tutto sommato, stare rinchiusi in casa a vent’anni è forseancora più difficile, senti che stai sprecando dei mesi utili, magari ci saremmo divertitiin queste belle giornate primaverili. Se dovessi vedere un lato positivo in tutto questo,è che adesso la pausa, lo stallo, è di tutti e per tutti, nessuno deve più provare la colpa disentirsi indietro rispetto agli altri. Non c’è fretta. Adesso vogliamo ripartire, ma perora ci stiamo abituando. L’uomo è pur sempre l’animale con il senso di adattamentopiù forte al mondo.
