CORONAVIRUS E LIBERTÀ DI INFORMAZIONE
1) Posso dire che mi ha profondamente deluso il modo in cui Downing Street ha gestito la malattia del premier Boris Johnson, minimizzando e deviando l’attenzione fino al punto di far girare un incredibile tweet in cui Johnson si proclamava “in good spirits” e in contatto (di lavoro) col suo team, mentre, in realtà, le sue condizioni di salute si aggravavano al punto di renderne necessario il ricovero in reparto di terapia intensiva e di costringere il premier a passare le consegne al ministro degli Esteri, Raab? Questi tentativi di confondere, o, peggio, di occultare la verità intorno alla vita (e alla morte) dei governanti erano e sono pratica diffusa nei regimi autoritari dove la trasparenza dei comportamenti istituzionali e il dovere di informarne l’opinione pubblica non sono principi osservati. Valga per tutti la letteratura del falso fiorita intorno ai gerarchi sovietici, o all’interno abile agonia di Francis o Franco. Di contro i tentennamenti sullo stato di salute del premier inglese, da parte di un governo che ha fatto del diritto all’informazione un cardine delle sue libertà democratiche appaiono inspiegabili. 2) dobbiamo essere grati a Report e au suoi giornalisti. La puntata di lunedì sera del Settimanale della terza rete è un documento indispensabile quando verrà il momento di ricostruire le ragioni che hanno spinto la Lombardia a diventare, nonostante il suo giustamente celebrato sistema sanitario, un focolaio pressoché inarrestabile dell’epidemia del Covid19. Quando il virus ha cominciato a farsi largo nel bergamasco, aveva già colpito nel lodigiano e in provincia di Padova (Vò Euganeo) dove erano state istituite le prime due “zone rosse” d’Italia, caratterizzate del divieto assoluto di entrare ed uscire dalle aree inducate come off limit, con risultati dal punto di vista della lotta all’epidemia estremamente positivi. In sostanza sindaci, amministratori regionali, autorità sanitarie e governo sapevano tutti cosa sarebbe stato necessario fare per fermare la pandemia ad Alzano Lombardo e a Bergamo, impedendo che si avvicinasse pericolosamente a Milano. Ma non è stato fatto. Tutti hanno aspettato l’istituzione delle zone rosse: chi con la speranza impotente di veder arrestarsi lo stillicidio dei contagi, chi con l’egoistico timore di veder sfumare i propri profitti in seguito all’ inevitabile chiusura delle fabbriche. Cosa che il vastissimo tessuto imprenditoriale della zona, uno dei più ricchi d’Europa, non solo temeva ma ha cercatoNei contrastare. L’ignobile messaggio mandato in giro da una delle grandi fabbriche della zona per rassicurare i propri clienti stranieri che, nonostante tutto, da noi “business as usual”, resta inciso come un marchio d’infanzia su tutta questa tragedia. Così, non è stato fatto (quasi) niente. O per meglio direi quando il governo ha deciso di chiudere tutta la Lombardia, ma, ovviamente, in una maniera che non poteva essere così ermetica come sarebbe stata una vera zona rossa istituita tempestivamente, era già troppo tardi. E a questa clamorosa, tragica sottovalutazione hanno contribuito in po’ tutti, con un rimbalzo di responsabilità che acquista i connotati di una tragica farsa e che, anche se la regione Lombardia avrebbe ben potuto istituire le zone rosse tempestivamente e nell’ambito dei suoi stessi poteri, non assolve il governo dal dovere, in quanto principale responsabile dalla gestione dell’emergenza, resistere alle pressioni e decidere in nome dell’interesse generale. Invece è prevalsa la logica della produzione e del profitto. Le fabbriche sono rimaste aperte. I medici di base sono stati mandati a combattere contro il virus a mani nude. Gli ospizi si sono infettati e anche gli ospedali. Le stese case si sono invivibili e la Lombardia è diventata il terreno di cultura di un virus assassino e inarrestabile. Oggi, mentre il presidente dell’istituto Superiore della Sanita, Brusaferro, invita caldamente a non dimenticare i 16.325 uccisi dall’epidemia (stasera ahimè sono diventati 17127 per la precisione) verrebbe voglia di rispondere: ma voi, cari scienziati, dove eravate? Perché non avete fatto valere il vostro alto avviso contro il cinismo degli uni e gli equilibrismi degli altri? Secondo me, il caso Bergamo basta e avanza per chiamare in causa l’intero vertice della sanità pubblica e di quella regionale, per il 50 per cento in mano privata, ma verrà il tempo di approfondire queste ed altre questioni, e stabilire le responsabili ai vari livelli, in modo da poterne fare tesoro per il futuro. E se questo sarà possibile il merito va anche a Report.
