LA PRIMAVERA NEGATA, ROMA E PALAZZESCHI
“La primavera si avanzava con tutti i suoi tepori, i suoi inviti, i suoi incanti, i suoi inganni, innocente crudeltà della primavera; i romani erano mortificati di non aderire, di non poterle rispondere, simili al malato che dietro i vetri della camera osserva la vita svolgersi tranquilla ignorando la sua pena”. Sto leggendo “Roma” di Aldo Palazzeschi, che fu pubblicato la prima volta nel 1953. Un romanzo strano, considerato minore, non riuscito, irrisolto, senza finale, ma non da Eugenio Montale, che invece molto apprezzò e parlò di “un ritratto veramente straordinario ma poco o punto compreso dalla critica, disorientata di fronte a un romanzo che non era un romanzo e neppure un antiromanzo”. Quel brano che ho trascritto poco sopra racconta di una Roma ancora sotto l’occupazione nazista, nella primavera del 1944, e però a un passo dalla liberazione da parte degli americani. Tuttavia, nel leggerlo, senza azzardare paragoni incongrui, ho pensato subito alle lunghe giornate in casa, al sole che già cuoce in certe ore del giorno, a uno strano silenzio nell’aria; e m’è sembrato che Palazzeschi parlasse anche un po’ di noi.
