CRONACHE DAL FRONTE (29)

Questo è un virus che ammazza pure i proverbi, qualora non ve ne foste accorti. Li rende polverosi e li fa invecchiare di colpo, così come sta facendo con le nostre vite. Io ad esempio sono devoto all’adagio che dice “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”. E invece domani, per la prima volta da tanti anni, sarò costretto ad abdicare ai miei progetti – non ne avevo, in realtà, ma qualcosa mi sarebbe venuto in mente – e ad accontentarmi dei 60 metri quadri di queste mie quattro mura domestiche, al posto dei vasti spazi a cui ero abituato. Non che facessi chissà che, a Pasqua. Niente vacanze, niente resort di lusso e niente mojito al Papeete. Ho controllato. E ho scoperto che di solito lavoravo, senza per questo sentirmi frustrato come Fantozzi, visto che ho la fortuna di fare un lavoro che mi porta spesso in posti straordinari, che non figurano nelle rotte battute dai torpedoni dei turisti. A Pasqua del 2018, era il 1° aprile, stavo in mezzo a una tempesta di sabbia nel deserto algerino, nei campi profughi saharawi di Tindouf. Lì la gente vive veramente chiusa in casa, da 45 anni, in un fazzoletto di terra da cui non può uscire, controllata a vista dai militari algerini e dipendente in tutto e per tutto dagli aiuti della comunità internazionale. Chi si lamenta della cattività a cui siamo costretti a causa del Covid-19, tenga bene in mente che laggiù, nel deserto, la quantità d’acqua a disposizione di ogni profugo è di appena dieci litri al giorno, mentre noi ne consumiamo circa 300 a testa. Con Simone, il cameraman di cui vi ho già parlato, mio inseparabile pard – così Tex Willer chiamava i suoi fidati compagni di avventura – eravamo ospiti in una casa un po’ sgarrupata dove l’unico bagno era da dividere con una delegazione francese piuttosto nutrita e quando c’era da farsi una doccia, la sera, in modo da levarsi la polvere di dosso, ti veniva quasi da piangere per il lusso che ti veniva concesso. Ma la magia del deserto valeva ogni sacrificio: in quello spazio immenso, fra tutte quelle gradazioni di giallo, perdersi era un piacere senza pari; e la notte, poi, si poteva stare ore e ore a guardare il cielo stellato, vivido nel deserto come in nessun altro posto al mondo. Ci sarei rimasto per sempre, a bere il tè come lo fanno solo i popoli del deserto. Sono tre tazze, da bere una dopo l’altra e preparate con un lungo rituale: la prima amara come la vita, la seconda dolce e profumata come l’amore, la terza soave come la morte A Pasqua del 2017, era il 16 aprile, stavo invece a Mosul, nel Kurdistan iracheno, a seguire l’offensiva militare contro l’ISIS. Faceva già caldo, molto, e ogni volta che si rientrava dalle incursioni giornaliere sulla linea del fronte, dove si combatteva casa per casa, strada per strada, la camicia te la ritrovavi incollata alla pelle ed era un sollievo, a sera, potersi levare prima l’elmetto e poi il giubbotto antiproiettile che ti soffocava. Eravamo però dei privilegiati rispetto ai civili rimasti per tre anni sotto il giogo di quei fanatici e che ora lasciavano la città, finalmente liberi ma sporchi e affamati: lunghe code di famiglie allo sbando, che arrancavano nella polvere della Piana di Ninive con 40 gradi all’ombra. Questa è la guerra, la vera guerra. E forse, prima di lamentarsi per le privazioni a cui siamo costretti noi di questi tempi, sarebbe il caso di ricordarselo. Domani me ne starò a casa. Ma in famiglia, per fortuna. Mia nipote Stefania, che abita al piano di sotto e che per un mese mi ha schivato manco fossi un appestato – siccome tu vai a lavorare, mi diceva, è rischioso starti vicino; poi però mi lasciava dei bei risotti sullo zerbino di casa – ha sentito infatti e finalmente il richiamo della foresta e ha deciso di derogare alle sue fobie sanitarie, concedendomi il piacere di vederla qui a pranzo. A dire il vero non so ancora se mangeremo nella stessa stanza oppure se ci parleremo urlando da una stanza all’altra, visto che l’interfono non ce l’ho. So però che mi deliziera con le sue ultime scoperte in fatto di app – ogni istante della sua vita è regolato dalle app – e che parleremo con un pizzico di nostalgia della pastiera che preparava per Pasqua sua nonna, mia madre. In ogni caso ci divertiremo. Come voi, spero. Buona Pasqua a tutti. N.B. Foto scattata a Pasqua del 2018, nei campi saharawi