CRONACHE DAL FRONTE (30)

Ieri mi ha scritto un’amica. E mi ha raccontato di essere andata dalla madre – “vedova, anziana, curva e sola” – per portarle la spesa e farle dono di una pastiera, per Pasqua. Si è fermata il tempo di bere un caffè, un rito che per loro non è solo di cortesia. “Serve a fare in modo che lei percepisca di più la mia presenza” – mi ha spiegato. Ed ha aggiunto: “E poi so che il caffè che avanza lo beve la mattina dopo, così mi sente di nuovo vicino a sè”. Il momento del commiato non è stato facile. Prima di andar via, la mia amica si è rimessa infatti guanti e mascherina, poi ha chiesto a sua madre – che stava seduta – di alzarsi. “Volevo abbracciarla e appoggiare la testa sulle sue spalle”. Ma lei l’ha capito al volo e con un’espressione triste e impaurita l’ha bloccata: “Vattene – le ha detto – non farmi dispiacere”. Era l’espressione di chi sa di non aver più molte Pasqua da festeggiare. E infatti la mia amica ha sorriso ma in realtà voleva piangere. Poi, una volta salita in macchina, le ha mandato un bacio con la mano. “So che lei avrà pianto non appena sarà rientrata in casa – ha concluso – Io no. Ma sento ancora un nodo alla gola”. Ho voluto raccontarvi questa storia perché dell’immane tragedia che stanno vivendo gli anziani oggi, ai tempi del coronavirus, si parla secondo me troppo poco. O meglio, se ne parla solo con numeri e diagrammi, quasi fosse colpa loro se affollano i reparti di terapia intensiva e muoiono come mosche. Come se fossero una zavorra di cui ci si dovrebbe liberare. Un peso, per la società, e non una risorsa. ancora preziosa In Svezia hanno addirittura sancito l’esclusione dalle terapie intensive per i pazienti di oltre 80 anni e anche per quelli oltre i 70 se presentano patologie gravi. A legger meglio il documento svedese si scopre in realtà che il criterio che verrà adottato sarà quello di non sottoporre a terapia intensiva i pazienti che non abbiano speranza di poterla affrontare e uscirne vivi. Dunque si tratterebbe solo di un rifiuto dell’accanimento terapeutico e non di una crudeltà bell’e buona. Ma è in ogni caso la spia della triste condizione a cui gli anziani sono condannati in questo momento. Un destino cinico e baro. Da quello che vedo in giro pochi sono quelli che cedono agli anziani il posto nelle lunghe file davanti ai negozi. Già non lo facevano prima – negli autobus, sulla metro – figuriamoci adesso con il nervosismo che serpeggia. E ancor meno sono quelli che provano ad allievarla, questa loro solitudine, mai così tragica. Io invece mi emoziono, quando incontro un anziano. E da sempre. Lo guardo in faccia e intravedo una miniera inesauribile di racconti, una vita e una saggezza a cui abbeverarmi, da cui imparare il senso vero della vita, che spesso perdiamo. Forse non ci si rende abbastanza conto del fatto che questo maledetto virus sta spazzando via, giorno dopo giorno, la nostra memoria collettiva, decimando la generazione che con i suoi sacrifici ha fatto la nostra Italia: gli uomini e le donne cioé che sono nati negli anni ’30, ’40 e ’50, che hanno visto la guerra – loro sì – e hanno avuto la forza di rialzarsi, rimboccarsi le maniche e costruire un futuro per noi. Con gli anziani se ne vanno la gentilezza e la pazienza, la dignità, il rispetto e l’esperienza: valori antichi, a cui nessuno ormai fa più caso ma che sono il vero sale della convivenza civile. “Se ne vanno – le parole sono del mio amico Roberto Morgantini, il fondatore delle Cucine Popolari di Bologna – quelli della Lambretta e della 500, dei primi frigoriferi e delle prime televisioni. Se ne vanno le mani indurite dai calli e i visi segnati dalle rughe. Se ne vanno senza una carezza, soli, senza neanche un bacio. E’ l’Italia intera che deve dirvi grazie e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio, con 60 milioni di carezze”. Mentre scrivo sento il cinguettio di una rondine – o di un passero? – che, non so come, si è infilata nella tromba delle scale. E’ una piacevole sorpresa, musica per intenditori. Mi rasserena. E trovo che sia di buon auspicio.