SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA? NO, ALCUNI VANNO A VELA, ALTRI SULLO YACHT

SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA? NO, ALCUNI VANNO A VELA, ALTRI SULLO YACHT

«Siamo sulla stessa barca».Un’espressione super inflazionata in questi ultimi tempi, che ormai ha stancato, perché di uguale vi è solo la situazione che stiamo vivendo. Il come invece differisce nettamente a seconda del senso di responsabilità, di approccio con la realtà, di mezzi e possibilità differenti per ognuno di noi.Una pandemia, i decreti, i divieti, un nuovo stile di vita richiesto per far sì che prosegua la vita. I risultati? Palesi, dinnanzi agli occhi di tutti, anche dei più distratti, che ovviamente negheranno, che troveranno mille giustificazioni pur di rendere leciti e necessari i loro spostamenti ingiustificati ed ingiustificabili.Molte persone chiuse in casa, ancor prima che scattasse il primo decreto, non semplice dover dimenticare le abitudini precedenti, limitare le uscite destinandole solo per fare la spesa, non vedere più i famigliari, gli amici, gli affetti, eppure si prosegue imperterriti.Perché? Perché non si tratta solo di sé stessi, ma di voler bene a questo mondo, di rispettare le altre persone, di aver recepito che tutto quel correre ha portato a dimenticare la vita.Si tratta di sentirlo davvero il dolore altrui, non di limitarsi ad avere gli occhi lucidi quando si vedono immagini di morte ogni giorno in tv e si chiamano eroi i medici, salvo poi tradirli adottando proprio quelle condotte vietate.Trascorrono i giorni, tutti scanditi da bollettini che angosciano ulteriormente uno stato d’animo già di per se, non propriamente spensierato.Poi ci sono gli articoli dei quotidiani, le parole degli esperti e i sermoni degli approssimativi tali.Ci sono spot martellanti che invitano alla cautela, allo stare in casa, alle norme igieniche da seguire.Alcuni si attengono, non si comprende se per timore o per reale convinzione.Altri, i «soliti furbetti» ma questa volta del quartierino blindato, approfittano del fatto di avere un animale che solitamente vivono come un peso da dover gestire, e lo accompagnano più volte al giorno, fuori, con la scusa dei bisogni, quando il bisogno di prendere aria è il loro.Li osservi, sono sempre gli stessi, più volte al giorno, e pensi a quel povero cane, costretto ad uscire pur non avendone nessun reale bisogno.La situazione precipita, i contagi salgono, i decessi aumentano, tanto da non riuscire ad accoglierli nei cimiteri delle cittadine piegate da tanto dolore.Si trasportano altrove, senza un saluto ai propri cari, senza una parola di conforto, senza una cerimonia funebre.Si ritovano su camion militari, centinaia di bare, che si recheranno in altri luoghi, dove questi poveri corpi, verranno cremati, magari contro la propria volontà, magari senza aver mai pensato che la loro fine potesse essere quella, magari senza essere d’accordo.Tutti vedono, tutti si dicono colpiti, feriti, tristi ma poi, il giorno successivo si volta pagina, si torna a quella pseudo esistenza, si torna a pensare al modo per poter eludere i controlli e si prosegue.Nelle telefonate con gli amici, nelle ospitate in tv via Skype, quella frase riecheggia come un mantra:«siamo tutti sulla stessa barca!» e nessuno vede lo yacht, che non perde occasione per fare sfoggio di sé.Il cielo è terso, l’aria è tornata ad essere respirabile, animali che non avevamo mai avuto opportunità di vedere circolare liberi nelle strade delle città, tornano ad occuparle.I rumori del traffico, sono spariti, il canto degli uccelli è tornato udibile. Gli alberi sono fioriti, sul Pirellone di Milano è tornata la coppia di falchetti per nidificare. Hanno deposto tre uova che nei giorni scorsi si sono schiuse. Nel cielo di Milano è tornata anche un’aquila, cosa impensabile fino a poco tempo fa.La primavera ha bussato prepotentemente alle porte e ci regala fioriture che colorano le strade occupate da rari passanti. Tutto sembrerebbe anche «accettabile», in fin dei conti siamo vivi, stiamo bene, ma…Le aziende sono chiuse, non si lavora, la cassaintegrazione peserà sicuramente sul bilancio economico di quella famiglia che già arrancava di suo e faticava ad arrivare a fine mese.Le scuole sono chiuse, le lezioni si svolgono via web, peccato che non in tutte le case sia presente un pc o un tablet che possa diventare strumento quanto mai utile per seguire le lezioni.In molte case ci sono persone che lavorano in ospedale, infermiere, oss, personale addetto alle pulizie. Rientrano a casa spossati, con lo sguardo fiero ma al tempo stesso triste e disorientato per ciò che vedono e vivono in prima persona. Avrebbero bisogno di un abbraccio, di sentirsi protetti, accolti, supportati e l’unico supporto che possono ricevere sono sguardi colmi d’amore, che emergono da quella mascherina che divide invece di unire, chi sta facendo tanto per gli altri ma non può ricevere il giusto supporto.Divisi in stanze che diventano lontane pur trovandosi a pochi metri di distanza, erigendo muri di distacco dove prima si stava tutti insieme.«Siamo sulla stessa barca!», si continua a ripetere, invece ci sono donne che dividono i metri quadri della loro abitazioni con carnefici irreprensibili, che, nonostante la pandemia, non fermano la mano della loro pochezza e la scagliano verso chi ora non può neanche abbandonare quel «nido» trappola che la «ospita». Si subisce violenza sempre e comunque, nell’indifferenza generale, nel silenzio delle mura, nel giorno che non ha mai fine, nella notte che non culla, ma regala interminabili incubi.Ma no, :«siamo sulla stessa barca!», perché guai a fare distinzioni tra chi non perde occasione per accentualerle, chi vede anche lo yacht, sicuramente esagera, distorce la realtà, è polemico, e l’elenco potrebbe continuare all’infinito, peccato che sia palese, quanto avviene nonostante tutto, nonostante la morte.Il qualunquismo imperante di chi lavora da casa perché la sua azienda glielo consente, a scapito di chi a lavorare vi si deve recare perché non ha scelta. Alcuni possono riposare in questi«arresti domiciliari»forzati, altri non riposano, pensano alle bollette da pagare, al mutuo da onorare, alle spese condominiali da pagare. C’è chi si arrovella la mente cercando soluzioni, mascherine protettive, e spera di non ammalarsi mai perché non riceverà il tampone facilmente, così come non avrà diritto a nessuna corsia preferenziale una volta giunto in ospedale. Anche durante le festività pasquali c’è stato chi, nonostante fosse vietato, ha cercato di raggiungere la seconda abitazione, incurante di tutto e tutti, sferzante del pericolo, incurante delle sanzioni che comunque il suo conto in banca, gli permette di pagare. C’è chi ha la fortuna di avere una casa con giardino magari spaziosa e piena di luce.Altri, costretti in pochi metri quadri, in quartieri popolari, dove il cemento ha fagocitato ogni cosa.I più semplici, sono anche i più concreti, quelli che di andare fuori porta inquinando paesi, riempiendo strade, riversandosi in ristoranti o nei prati, lasciati sempre sporchi, se ne sono da sempre ben guardati.Non siamo affatto tutti sulla stessa barca, sfidiamo la stessa onda forse, mentre la piccola imbarcazione cerca di non ribaltarsi, lo yacht, lussuoso, dotato di ogni confort, domina la tempesta, uscendone vittorioso alle spalle di chi non smette di arrancare.Vincerà la sfida con l’ostentazione ma perderà sicuramente quella con il rispetto per la vita sua e altrui e tutto questo, tutti i soldi del mondo, non lo possono comprare.Ci sono barche, piccole, solide, che veleggiano fiere la dove inizia una nuova vita che attende di essere vissuta.Intanto, il panfilo, cerca attracco nel porticciolo della superficialità, senza conoscere mai una strambata, senza aver mai ammainato una vela, lasciando solo sporco in mare dopo il suo passaggio…