CRONACHE DAL FRONTE (PUNTATA N. 33)

CRONACHE DAL FRONTE (PUNTATA N. 33)

A Pasquetta qui a Roma c’era un sole così caldo e invitante che ho deciso di approfittare della corvée cui mi obbliga l’accresciuto accumulo di scorie causa cattività – le elimino un giorno sì e uno no, e guai a perdere il passo, altrimenti in casa non c’è più posto, neanche per me – e dopo aver visitato quindi i cassonetti più vicini sono andato a sedermi su un comodo muricciolo, nel cortile di casa, per fumarmi un bel sigaro in santa pace. Per finirlo mi c’è voluta una ventina di minuti buoni. E li ho impiegati pensando al mare. Al mio mare, quello che ho dentro di me fin da quando sono nato e che sono certo mi salverà da questo incubo, come ha già fatto in passato, tutte le volte che ho avuto bisogno di lui. Mi basterà guardarlo e tutta questa irrequietezza si placherà. Resterò seduto, immobile, a respirare il suo profumo fino ad ubriacarmi, e pian piano mi risveglierò da questo torpore. Lo accarezzerò e poi lo stringerò a me lentamente, bracciata dopo bracciata, e così sparirà tutta la fatica di questo isolamento sociale. Lo so perché è già successo, in altri momenti bui. Lo so perché il mare, solo il mare, ha questo potere rilassante su di me. Il mio mare non è però quello di cui parlano in questi giorni i nostri politici, sperando di rassicurarci. Loro parlano del mare degli stabilimenti balneari, degli ombrelloni attaccati gli uni agli altri col baretto subito dietro e il barbecue per la grigliata sempre acceso, il mare della musica a palla e degli happy hours infiniti fra tende da finto deserto e moquette stese fino alla battigia. E’ questo il mare che ci vorrebbero regalare per la cosiddetta fase 2, quando dovremo imparare a convivere con il virus. In realtà i nostri politici non parlano del mare ma dell’industria balneare. Io parlo invece del mare vero, delle spiagge libere e senza confort, del mormorio delle onde quando planano a riva, delle calette nascoste che ti vai a cercare scarpinando per i sentieri, del sale che ti resta appiccicato addosso perché non hai una doccia a portata di mano, eppure sei felice lo stesso. E’ questo il mare che ho sempre amato ed è questo il mare che voglio. E lo avrò. Mi sa infatti che il mio mare si prenderà adesso una bella rivincita. Perché le misure di sicurezza da adottare nella fase 2 renderanno ancora più asfissianti gli stabilimenti balneari, vittime della loro stessa mania di grandezza. Già si parla di box in plexiglass attorno agli ombrelloni e di schermi protettivi tra un ombrellone e l’altro, Sinceramente mi pare la Maledizione del Papeete, che arriva inesorabile come quella di Montezuma. E noi umili frequentatori delle spiagge libere, noi che il distanziamento balneare lo applichiamo da sempre con una devozione che rasenta l’ossessione – almeno 10 metri di distanza dall’ombrellone o dal telo da bagno più vicino – potremo finalmente goderci la nostra estate, pronti a difenderla con il coltello fra i denti da un eventuale arrembaggio di quelli che prima ci disprezzavano e che adesso saranno costretti a rinunciare alle loro stupide comodità. E’ questo che mi auguro. So bene che solo chi è nato al mare può capirmi. Io ho avuto questa fortuna e me ne vanto. Sono venuto al mondo in una splendida cittadina della Calabria tirrenica, Cetraro, che al mare deve tutto. Quel mare è il luogo della mia anima. Ed è lì che potendo tornerò, l’estate prossima. Per lasciarmi tutto alle spalle. N.B. In foto due scorci del mare di Cetraro, del mio mare. Le foto sono del mio amico Roberto Bianco