QUANDO SI DICE “DARE I NUMERI”

QUANDO SI DICE “DARE I NUMERI”

Da quando è scoppiata l’epidemia ogni giorno più o meno alle 18 viene diffuso quello che somiglia tanto a un bollettino di guerra, giusto in tempo per consentire ai telegiornali della sera di costruirci sopra quella notizia di apertura che riscalderà o congelerà i nostri cuori. Proprio come per un bollettino di guerra i numeri lasciano spazio a letture che vanno dal trionfalismo al catastrofismo, e quando i numeri proprio non si prestano a interpretazioni di parte arrivano in soccorso i confronti con quelli forniti da altri paesi, di chi sta meglio o peggio di noi. Normali dinamiche dell’informazione in tempi di crisi se non fosse che nessuno, proprio nemmeno uno di questi numeri rispecchia la realtà. Nuovi contagi, nuovi ricoveri, entrati e usciti dalla terapia intensiva, nuovi decessi e nuovi guariti nelle 24 ore precedenti.Una somma di dati relativi a uno spazio temporale irrisorio provenienti da 20 diverse regioni che a loro volta li raccolgono da centinaia di ospedali diversi, e ognuno di questi ospedali gestisce i pazienti in piena autonomia, dal triage fino al certificato di morte o di guarigione. In nessun campo un analista serio progetterebbe una strategia su dati così raffazzonati, se poi consideriamo che per ammissione degli stessi comitati tecnico-scientifici i contagiati potrebbero essere anche 10 volte di più, i decessi potrebbero avere altre cause e i guariti potrebbero non esserlo affatto, il suddetto analista farebbe meglio a compilare una bella autocertificazione falsa e andarsene a pesca. Come direbbe Ennio Flaiano “La situazione è tragica ma non è seria”