CRONACHE DAL FRONTE (PUNTATA N. 42)

CRONACHE DAL FRONTE (PUNTATA N. 42)

Ho scoperto che c’è un paese in Europa dove il coronavirus non è mai arrivato. Almeno ufficialmente. E’ la Bielorussia, unica fra le 15 repubbliche della defunta Unione Sovietica ad essere ancora prigioniera del passato, quando c’era la Cortina di Ferro. Il suo ineffabile padre-padrone, Aleksandr Lukashenko – che dai suoi compatrioti si fa chiamare “batka”, babbo – si vanta infatti di non aver avuto nemmeno un decesso in questi due mesi che hanno invece devastato il nostro continente. E ironizza pure, dicendo in tv che questo virus “si ammazza bevendo vodka, purché non al lavoro, e facendo la sauna tre volte alla settimana”. Per fortuna molti dei suoi compatrioti non gli credono – forse sanno che anche i papà dicono le bugie – e perciò si sono inflitti una quarantena volontaria. Il governo idi Minsk invece non ha ritenuto necessario adottare nessuna misura di contenimento. Eppure, stando ai dati forniti dalla Johns Hopkins University, in Bielorussia i casi accertati sarebbero già 7281, i morti 58, e c’è il sospetto è che sia i contagiati che i deceduti siano molti di più. Il problema è che lì nessuno li cerca. Li si occulta per ragion di patria. E’ come se nulla fosse cambiato dai tempi di Chernobyl. Era il lontano 1986 e, come si è visto nella bellissima serie televisiva prodotta dalla HBO, anche quel disastro venne occultato in un mare di bugie ed errori, da addebitare tutti alle storture del socialismo reale. Quei morti – secondo le stime ufficiali furono poco più di 4mila, altre stime dicono invece: da 30 a 60mila – furono il frutto avvelenato della presunzione cieca con cui l’Unione Sovietica viveva la sua competizione all’ultimo sangue con l’Occidente capitalistico. E quello fu solo uno dei tanti disastri sociali ed ecologici che provocò. Le bugie in ogni caso erano un ingrediente basilare di quella feroce competizione est-ovest, di cui la corsa agli armamenti nucleari fu solo la perversione più nota. A Mosca ho un amico fraterno amico, Yasha, dal quale ho capito che la storia della Guerra Fredda è completamente diversa se la si guarda dalla prospettiva russa o meglio ancora sovietica. Diversi sono i punti di riferimento e diverse sono le ricostruzioni dei vari avvenimenti. E a far la differenza sono spesso delle colossali bugie. Faccio solo un esempio. Il giorno che ho detto a Yasha, tutto tronfio, che era stato Guglielmo Marconi a inventato la radio, lui prima si è messo a ridere e poi, tutto sprezzante, mi ha risposto: “Ma che dici? La radio l’ha inventata Aleksandr Popov”. Ed è vero, perché così c’è scritto nei libri di storia, russi e prima ancora sovietici. C’è scritto che Popov ha trasmesso il suo primo messaggio radio senza fili, con il codice Morse, almeno un anno prima di Guglielmo Marconi. Nulla però si dice della Conferenza Radiotelegrafica di Berlino, nel 1903, dove Popov riconobbe pubblicamente di non aver mai usato un telegrafo senza fili prima del rivale. E non si cita nemmeno il Congresso Mondiale di Elettricità, del 1904, in cui la diatriba fra i due venne archiviata e Guglielmo Marconi fu proclamato ufficialmente l’inventore della radiotelegrafia. Non c’è dunque da stupirsi per le bugie di Lukashenko sul virus-che.non-c’è. D’altronde non è l’unico. A minimizzare o a insabbiare le cifre reali della pandemia sono diversi capi di stato e di governo, anche fra quelli a noi vicini. E’ un vizio, antico, del potere. Ma per fortuna, ai tempi della Rete e con la rivoluzione digitale, il re è nudo. P.S. In foto una statua in miniatura del presidente bielorusso in vendita su Amazon, (Al momento però non è disponibile).