LETTERE DA UN PAESE CHIUSO 67- L’ULTIMO PONTE E LA PRIMA SPIAGGIA
E di cosa dovremmo parlare ? Delle fatture per le cremazioni dei defunti che arrivano alle famiglie bergamasche ? O del bagno di folla del premier all’inaugurazione del ponte di Genova, il distanziamento sociale per loro non vale ? Mi piacerebbe vivere in un paese che vive il ponte di Genova come un successo italiano, il segno che si può fare presto e bene, e che riconosce lealmente i meriti. Nelle cronache di ieri non si capiva. Cioè si capivano i meriti di Renzo Piano, del commissario e sindaco Marco Bucci, delle imprese e delle maestranze, e di Genova, città che ha onorato le sue 43 vittime costruendo il ponte in 20 mesi. Però la politica, questa passione sfrenata di noi italiani, porta sempre a fare il gioco delle tre carte. Sono andato a vedere l’iter e mi pare che ci sia qualche merito da attribuire al più deriso ministro della Repubblica, ed era una gara affollata, il pasticcione Danilo Toninelli. Che salutò a pugno chiuso l’approvazione, il 15 novembre 2018, al Senato, della Legge Genova, 600 milioni, tra ponte e il resto. Già, come avevano votato i nostri partiti ? La legge era passata in Senato con 167 sì (M5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia), 49 no (PD) e 53 astenuti (Forza Italia e 10 grillini). Alla camera era passata due settimane prima con gli stessi partiti che avevano votato sì, gli stessi no, gli stessi astenuti. Ma come sempre la vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana, e le cronache si fanno con il senno di poi, e il pensiero libero è più arduo di un ponte. La storia per immagini della tragedia e della rinascita è anche di Paolino Micai, portato via da Covid 19. Dal ponte si vede il mare, e pensiamo al mare, che è meglio.Almeno per noi che non viviamo del mare, che non dobbiamo decidere adesso se mettere a posto il locale, se assumere stagionali, se mollare -molte concessioni scadono a dicembre e finora non c’è proroga – saltare un giro, o rischiare. Noi che possiamo permetterci il modestissimo lusso di dirci: farò un bagno quest’estate ? Naturalmente beati quelli che vivono sul mare, triestini o catanesi, tarantini o genovesi. E per ora abbastanza beati quelli che vivono in regioni affacciate sul mare, poveri noi di Umbria e Lombardia. Però per tutti vale una cosa. Invece della domanda che ci facciamo ogni anno- quando farò il primo bagno – guardando le previsioni meteo per i fine settimana o l’inizio della vacanza, abbiamo delle domande che sono come certe gite al mare con i figli piccoli: sedie, berretti, creme, palette, secchielli, borsa frigo, merenda, palla, non sai più dove mettere le mani. Prima le domande per gli esperti: l’acqua salata, e quella dolce, sono sicure (quella salata hanno già detto di sì) ? E la sabbia, e la doccia di spiaggia ? E devo sanificare io la sdraio a noleggio e devo aprire l’ombrellone con i guanti (già mi immagino, nella risacca, insieme con le vecchie bottiglie di plastica, onde di guanti bianchi, blu, neri…) ? E il pedalò, e lo scivolo per i bambini ? Quello che mi turba è che tutte queste domande sommergono la sensazione più bella: togliersi le scarpe per la prima volta, sulla sabbia, dopo l’inverno, come una rinascita, e la prima acqua ancora un po’ fredda, le braccia ancora indolenzite, la pelle ancora chiara: la prima spiaggia.Ho pensato alle prime spiagge della mia vita, alle spiagge che anno dopo anno ho calpestato, quando non immaginavo che mi sarei ritrovato in questa situazione. Sono tante, perché ho tanti anni. Ma non dimenticherò mai la prima volta che ho saputo di avere visto il mare. A un pranzo di nozze, nella bassa friulana, in un’aia di maggio, tutti in camicia bianca, e riuscii ad allontanarmi nell’allegria generale, e dopo essermi annoiato cercando invano di aizzare un tacchino con un panno rosso, traversai un campo verso quella che sembrava una collina regolare, la salii ed era il mare, da togliere il fiato. Quando arrivai al liceo e trovai una scena simile in un libro di Ippolito Nievo stavo per alzare la mano in classe, ma poi mi ricordai che in realtà il mio mare, quel giorno, era laguna, el palùo, e la tenni sotto il banco. Il mare delle colonie, tutti in riga sulla spiaggia come gli italiani il giorno prima della Fase 3, impazienti. Le signorine che ci tenevano fermi, la direttrice con un grande termometro di legno che entrava in acqua, solenne e per un tempo troppo lungo indecifrabile e poi un segno sbrigativo: facciamoglielo fare ‘sto bagno. Il resto della colonia, il formaggio giallo degli americani, i soldi per spedire le cartoline, le divise odiose, lo lascio perdere, è fuori tema. Le spiagge dell’adolescenza, gli amici, il vino, il falò la sera e il juke box di giorno, ma in quell’estate stavamo con i maglioni fingendo che il mare ci annoiasse. Le spiagge delle prime fidanzate, tutte maniache di abbronzatura, e resistere fino a sera era una prova d’amore arrossata che la sera bruciava ancora. Le spiagge dello Yucatàn, dove ho imparato che non devi mai tornare nei posti che hai amato, perché la seconda volta, vent’anni dopo, nella spiaggia dove correvo da solo e dormivo in un’amaca, c’erano ormai undici campeggi. Le spiagge africane, con mia moglie incinta, e le foto ricordo. Le spiagge con i bambini piccoli, i castelli, il vulcano di cui sono specialista, il servire da trampolino umano per i tuffi. La spiaggia di Villasimius dove c’è un ristorante sulla sabbia, i piedi giocano nella sabbia e le candele illuminano il bicchiere di vino che si appanna per il freddo, la spiaggia di Costa Rei dove potevi portare i cani (quando non sapevo che il terzultimo cane della mia vita sarebbe morto in vacanza, e l’avrei sepolta nella macchia mediterranea sopra una scogliera lontana, la più bella tomba per cani del mondo). Il mare in sé, i fondali, il mar Rosso, quello lo lascio da parte perché è fuori tema.Ora devo confessare una cosa. Con il tempo, ho preso ad amare di più gli scogli. Non perché sia gran nuotatore, anzi, e neanche perchè mi dia fastidio la sabbia tra le dita. E’ perché, essendo scomodo c’è meno gente, e meno rumore. Un po’ è parte del mio carattere (mi sono sempre piaciute le minoranze: quando da ragazzino sentivo quella pubblicità di Camay il sapone di nove stelle su dieci mi chiedevo sempre che sapone usasse la decima), un po’ è l’età, sei meno curioso degli altri. Così in questo tempo perfetto per gli asociali lo scoglio è un isolotto da naufraghi e la spiaggia qualcosa che non sappiamo. Abbiamo visto il plexiglass, i bagnini con il metro, ma solo a Ferragosto potremo dire che estate è questa. Una cosa mi fa sorridere. Tre anni fa, mi pare, feci per Matrix un servizio in Sardegna, dalla parti di cala Gonone, sul numero chiuso per proteggere delle spiagge minacciate dal troppo affollamento. Intervistai sindaci e gente del posto, perché era il classico scontro tra rispetto dell’ambiente e guadagni turistici, tra turismo elitario e turismo di massa. Non avrei mai pensato che avrebbe potuto esserci tre anni dopo, un problema simile, Bibione che passa da 18mila a 7 mila ombrelloni, e ovunque i numerini come in posta, il chiringuito a turno, i rider della sabbia che ti portano la caprese sotto l’ombrellone, che spiaggia prenotiamo, cara, per domani mattina ? Le spiagge come i motel americani, la bandiera rossa non per il maltempo, ma tutto pieno. I tornelli come la metro viola dopo le partite di San Siro. E le spiagge libere ? E i campeggi ? E il bagno di mezzanotte ? E il bonus vacanze ? E come camperanno i venditori che si fanno chilometri. Con le rime del cocco o Ciapa qui ciapa là è arrivato Mustafà ?Leggo, guardo come si organizzano, mi faccio domande, non ho risposte, mi immagino le ragazze in tanga e mascherina. L’altro giorno me ne sono dimenticato, e sono uscito senza mascherina come uscissi in un mondo senza virus, e ormai non volevo risalire a casa, era solo il tempo che serve al mio cagnolino. Mi sembrava di essere nudo, e non in una spiaggia nudista, e sentivo gli sguardi addosso.Ogni crisi è un’opportunità: mi piacerebbe dichiarassero pericolose le moto d’acqua- il sedile è portatore – e anche le animazioni dei villaggi in spiaggia, perché il megafono può essere infetto. Guardo curioso ai romagnoli, perché sanno inventarsi la qualunque. «I miei genitori aprirono il bagno Milano a Milano Marittima nel 1948, poco dopo la fine della guerra” ha detto Danilo Piraccini “quest’ estate sarà un disastro, perché ci sarà un calo della clientela enorme e non potremo di certo aumentare i prezzi, ma è necessario immaginare la ripartenza già da ora; anche solo far finta di aprire aiuterà a sperare che vada meglio». Però sono contento di aver letto che il 16 maggio a Grado inaugurano la stagione turistica. Inaugurazione virtuale, e sperando che gli austriaci, più liberi di noi, si affaccino all’estate italiana. Ho visto spiagge bellissime, dall’Honduras a Porto Cesareo, e surreali come quelle di Rosignano Solvay, bianca di carbonato di sodio o quelle libiche con il suo bianco surreale frutto dell’inquinamento, quelle libiche o siciliane con le tracce di chi è partito o arrivato. Perché mi piace Grado, che ha una spiaggia senza infamia e senza lode ? Perché sembra un’isola, ha i giardini, e le Terme. Ho presentato qualche libro vicino al repàro, la diga che protegge una bellissima città vecchia. Perché sa di un mondo perduto, sa di anni ’50, con il vantaggio che non mi ci hanno mandato lì, in colonia. Perché è il posto di Biagio Marin. Vi saluto con una sua poesia. Che è un omaggio al paese cresciuto sulla spiaggia, e senza volerlo, un omaggio ai nostri vecchi andati via. Si chiama Paese mio, Paese miopicolo nioe covo de corcalipusao lisiero sora un dosso biondoper tu de canti ne faravo un mondoe mai non finiravo de cantarliPer tu ‘sti canti a siò che i te ‘ncoronacome un svolo de nuòli matutinie uno solo su la fossa de gno nonaduta coverta d’alti rosmarini«Paese mio, / piccolo nido e covo di gabbiani, / posato leggero su di un dosso biondo, / per te di canti ne farei un mondo / e mai non smetterei di cantarli. / Per te questi canti, perché ti incoronino / come un volo di nuvoli mattutini / e uno solo sulla fossa della nonna mia / tutta coperta di alti rosmarini,da “Cansone picole”, 1927
