BUENOS AIRES: UNA MARCIA LUNGA 43 ANNI IN CERCA DI VERITÀ E GIUSTIZIA

BUENOS AIRES: UNA MARCIA LUNGA 43 ANNI IN CERCA DI VERITÀ E GIUSTIZIA

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE A BUENO AIRES Ogni tanto, il giovedì pomeriggio, prima dello scoppio della pandemia, sentivo il bisogno di venire qui, per marciare con loro. “Qui” è Plaza de Mayo, a Buenos Aires, intitolata alla rivoluzione del 1810 che portò l’Argentina all’indipendenza dalla Spagna. “Loro” sono las Madres, che da 43 anni, dal 30 aprile 1977, si ritrovano in questo luogo tutti i giovedì. Per tenere viva la memoria dei 30mila argentini desaparecidos durante la dittatura che governò il paese dal 1976 al 1983. Per chiedere giustizia e verità sui legami tra i militari e i poteri economici di allora, gli stessi di oggi. Per lottare contro le forze che vorrebbero realizzare, in democrazia, il programma economico e sociale dell’epoca: liberismo selvaggio, riduzione dei salari, indebolimento dei sindacati, deindustrializzazione a favore del settore agricolo e di quello finanziario, fine dello stato sociale. Non era solo un progetto latinoamericano. Era anche il Piano Rinascita 2: all’epoca progetto eversivo, applicato in America Latina “per vedere l’effetto che fa”, (sono noti i rapporti tra i militari golpisti e Licio Gelli), poi diventato programma di governo di troppi sedicenti partiti di centro-sinistra italiani e non.Ma questo, all’epoca, le Madri non lo sapevano. Erano donne di estrazione piccolo borghese, che non si erano mai occupate di politica, che in alcuni casi avevano addirittura visto di buon occhio l’arrivo dei militari. Erano madri che cercavano i loro figli e avevano iniziato a trovarsi in piazza per confrontarsi, elaborare strategie comuni, capire come muoversi. E siccome la polizia vietava loro di fermarsi a parlare – tre persone ferme per strada a chiacchierare potevano essere arrestate – pensarono bene di mettersi a camminare. Non che questo garantisse loro l’impunità. Una delle fondatrici del movimento, Azucena Villaflor, venne sequestrata il 10 dicembre 1977 e non è più tornata.Fu grazie a queste riunioni, a questa piazza, che il mondo seppe cosa succedeva in Argentina. Nel 1978, per i Mondiali di calcio, arrivarono a Buenos Aires giornalisti da tutto il mondo. Le donne li avvicinavano, chiedevano aiuto, raccontavano le loro storie (https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=DCCwQQdCtLg&feature=emb_logo). Le autorità militari avevano consigliato ai giornalisti accreditati di occuparsi di calcio e soprattutto di ignorare “quelle povere pazze” che stazionavano in piazza e i loro deliri. Ma anche tra noi giornalisti c’è sempre qualcuno che decide di fare sul serio il proprio lavoro. Che non vuol dire obbedire agli ordini, come pretendono i burocrati del genocidio, ma l’esatto contrario. E il mondo seppe cosa stava accadendo in Argentina. Perché qui, a differenza di quanto avveniva in Cile, con gli arresti di massa negli stadi, i sequestri avvenivano in modo clandestino, silenzioso, anonimo. Tutti immaginavano, nessuno commentava se non per scuotere la testa e dire: “Qualcosa avranno fatto”. Nessun alzava la testa quando vedeva una Falcón senza targa (l’automobile in uso alle forze di polizia per sequestrare le persona) accostare, fermare qualcuno e caricarlo a bordo con la forza. Anche perché rivolgersi denunciare i sequestri non sarebbe servito a nulla. Perché la fonte della violenza erano proprio le forze armate e le forze di polizia. Terrorismo di Stato.Oggi le Madri non camminano più: marciano. Alle spalle della piazza, c’è la Casa Rosada, il palazzo del governo. Più lontano, il Rio della Plata, il fiume-oceano, dove i militari buttavano, narcotizzati, dagli aerei, i prigionieri, dopo mesi di detenzione e torture. Qui ha chiesto che fossero disperse le sue ceneri Nélida Gómez de Navajas, morta nel 2012, per ricongiungersi con la figlia Cristina, sequestrata incinta di due mesi nel 1976. Fu grazie all’ostinazione di Nélida nel cercare il nipote nato in prigionia che si iniziò a far luce su un altro delitto contro l’umanità compiuto dalla Giunta: l’appropriazione dei figli dei sequestrati, che venivano poi adottati illegalmente da famiglie vicine ad ambienti militari. Centotrenta uomini e donne, su circa 500, oggi hanno ritrovato la loro identità.Marciano le madri, perché il loro non è mai stato un girare in tondo. Con la schiena ogni giorno più curva, ma al tempo stesso più dritta. E come la madre di Cecilia del Manzoni, i loro occhi non hanno lacrime, “ma portavan segno di averne sparse tante”. Eppure, non è una veglia funebre la loro. Al contrario, è la celebrazione della vita, degli ideali di giustizia sociale in cui hanno creduto i loro figli. Tutti 30 mila, nessuno deve essere dimenticato.