LIBANO: I PARTITI CONFESSIONALI TRA PANDEMIA E STATUS QUO. UNA PANORAMICA VOLANTE

Libano: i partiti confessionali tra pandemia e status quo. Una panoramica volante In Libano da alcuni giorni sono ricominciate le proteste, stavolta anche più violente, complice l’aggravarsi della situazione economica connesso al lockdown forzato, che in alcune città come Tripoli – che aveva il 60% di disoccupazione giovanile già prima della pandemia – risulta ormai insostenibile. Le misure restrittive decise dal governo Diab hanno mostrato la loro efficacia e sono apparse tempestive. L’attività di supporto messa in modo dai partiti confessionali, poi, si è rivelata utile e funzionale. Come è ormai noto i primi casi di Covid-19 in Iran sono stati riscontrati in due donne, musulmane sciite, che erano appena tornate da un pellegrinaggio in Iran assieme ad altre 70 pellegrine, tutte madri di ragazzi caduti in guerra, in onore delle quali era stata organizzata una cerimonia nel mausoleo dell’Imam Reza a Mashhad. Hanno fatto ritorno in Libano il 24 febbraio. Hezbollah – il cui contributo singolo è stato più rilevante, vista anche la maggiore disponibilità di fondi e strutture già esistenti – ha messo in piedi diversi programmi di sostegno nelle aree in cui è più popolare, in particolare il sud di Beirut, la Beqaa orientale ed il sud del Paese. Come ha spiegato su Al Manar anche il capo del consiglio esecutivo del partito, Hashem Safi al Din, l’Islamic Health Center ha sguinzagliato 140 ambulanze, 25 delle quali dotate di ventilatori, invitando anche i giornalisti occidentali a registrare i suoi sforzi soprattutto a Tiro e Dahye. Sono stati poi messi in campo 1500 medici, 3000 infermieri (inclusi alcuni del comparto militare, che con gli ingegneri del partito si stanno occupando anche di produrre in prima persona nuovi ventilatori), 5000 funzionari ospedalieri e 15.000 volontari sul campo, incaricati di testare la popolazione e di indirizzarla negli ospedali in caso di sintomi. Per il supporto psicologico sono stati coinvolti un centinaio di psicoterapeuti, oltre alla immancabile attività di circa 400 mujtahid (religiosi sciiti). In concreto, una delle prime misure decise da Hezbollah è stata quella di svuotare gli 86 posti letto dell’ospedale St George (omonimo di quello nel quartiere cristiano di Hikme), di proprietà della Fondazione dei Martiri, per convertirlo in un centro anti-Covid19. Sono stati poi aperti altri 4 piccoli ospedali privati, ed un laboratorio per l’esame dei tamponi. Tra Beirut e il sud, poi, sono stati allestiti 17 punti di isolamento per infetti e 23 centri diagnostici, tutti situati nel sud del paese (tra le aree più povere e a grande maggioranza sciita), dove sono state avviate anche diverse campagne di donazione ai poveri da parte di imprenditori legati al partito (anche una avviata dalla vicina emittente Al Mayadeen), come quella della fondazione Al Qard al Hassan. Secondo Safi al Din, le donazioni hanno raggiunto la cifra di 2 milioni di dollari. Sheikh Hussein Zain al Din, vice capo dell’unità culturale di Hezbollah, lo scorso 15 marzo su Twitter ha chiesto a “chiunque conceda in affitto un appartamento o un negozio di posticipare la riscossione del pagamento”. La Fondazione Al Imdad ha lanciato una campagna di donazione di fondi e cibo a beneficio di 14000 famiglie, mentre lo staff dell’Islamic Health Center si è occupato anche di “sanificare” luoghi di culto – moschee ma anche chiese, come quella del villaggio cristiano meridionale di Aishiya – nel sud del paese e di portare scorte di cibo (organizzate nei punti di raccolta di Abba e al Zrariya, sempre nel sud) alle persone costrette in isolamento. Amal, l’altro partito sciita, ha aperto 25 centri di isolamento per pazienti affetti da Covid-19 in aree a maggioranza sciita. La Corrente patriottica libera (FPM), principale partito cristiano maronita, fondato dal presidente Michel Aoun e oggi presieduta dal suo genero Gebran Bassil, ha aperto 19 centri di isolamento nei distretti di Metn, Keserwan e Batroun, aree a maggioranza cristiana. Anche il FPM ha avviato campagne di raccolta fondi. Il partito cristiano Marada, che fa riferimento al clan dei Franjieh, ha aperto due centri di isolamento nel distretto di Al Koura (vicino Tripoli) e nella città settentrionale di Zgharta, feudo di questa formazione storicamente vicina alla Siria. Il partito socialista progressista guidato da Walid Jumblatt (principale partito druso, rivale del Partito democratico libanese di Talal Arslan, vicino ad Hezbollah) ha aperto 3 centri di isolamento nello Chouf, sua roccaforte, insieme ad altri nelle vicine Aley e Hasbaya. Il partito Mustaqbal (Futuro) di Saad Hariri ha aperto due centri nella poverissima regione settentrionale dell’Akkar, a maggioranza sunnita. Mentre le autorità gestiscono sorprendentemente bene il virus – i casi sono poco più di 700 e da qualche giorno è stato avviato un programma di 1500 tamponi casuali e quotidiani in tutti i villaggi del paese, dal quale per ora emergono al massimo 8/9 casi giornalieri in più -, coadiuvate in qualche modo dalle iniziative dei partiti, le casse dello Stato sono ormai prosciugate, e gli spazi di manovra molto ridotti. Poi, c’è anche chi guadagna dallo status quo. La scorsa settimana il Parlamento libanese si è riunito in seduta a Unesco square, location scelta per poter applicare le misure di distanziamento sociale, ed è interessante registrare le attività parlamentari – passare un po’ in sordina – durante questi giorni di subbuglio. Si è parlato molto della legalizzazione della marijuana a scopi medici e industriali ma nel majles non si è votato solo questo. Nel giro di pochi giorni i parlamentari hanno anche bocciato lo stop d’urgenza dei lavori di costruzione di una diga nella valle del bisri, un’area dall’immenso valore paesaggistico che rischia di essere definitivamente deturpata. Al centro delle proteste della società civile già molto prima dell’inizio delle proteste, la diga di Bisri doveva essere finanziata dalla Banca mondiale, che invece pochi giorni fa ha annunciato il ritiro del sostegno, dimostrando di ascoltare le campagne degli attivisti libanesi più di quanto non facciano i partiti locali. Il secondo giorno di seduta “speciale”, il parlamento ha votato contro una legge per la rimozione dei ritratti dei politici locali dai luoghi pubblici, e “contro” (perché è venuto a mancare il quorum) un pacchetto di aiuti da 400 milioni di dollari al settore privato, sopratutto alle piccole e medie imprese. Il giorno prima, era invece approvata la restituzione di circa 150 milioni di dollari a ospedali privati che vantavano dei crediti nei confronti dello Stato, oltre ad un paio di leggi sulla amnistia e per la riduzione di una serie di condanne (sopratutto legate al narcotraffico). Mercoledì scorso 18 parlamentari, come Paula Yacoubian e una quindicina di membri delle Forze libanesi e dei Falangisti, hanno votato a favore di elezioni anticipate, cioè una delle richieste iniziali della piazza in protesta sin dal 17 ottobre. Anche qui il quorum nn è stato raggiunto. Una settimana fa – la notizia è stata sottovalutata forse anche per ragioni politiche – i parlamentari si sono poi riuniti per votare una importante legge proposta dal parlamentare Michel Daher (nonché magnate nel campo alimentare, patatine in particolare), cioè sulla discussa rimozione del segreto bancario. Hanno votato tutti contro, tranne Hezbollah e le stesse Forze libanesi di Geagea, forse il partito più ostile alla formazione filo iraniana. Stesso destino, lo stesso giorno, per una legge connessa (nel senso che riguarda l’accountability dei pubblici ufficiai) introdotta dallo speaker della camera Nabih Berri, e presentata da due parlamentari di Hezbollah, cioè Hassan Fadlallah e Hani Qobaisi. La proposta di legge chiedeva la rimozione dell’immunità per i ministri. L’assemblea l’ha ritenuta non urgente. La corruzione e il clientelismo (riconducibile alla parola “wasta”) in Libano sono problemi seri, e nel Corruption Perceptions Index il paese si piazza 137esimo su 180. Secondo il Global Corruption Barometer, dal 2009 al 2018 nelle elezioni parlamentari e municipali si è fatto largo uso del voto di scambio (io stesso conosco personalmente chi ha ricevuto fino a 200 dollari per votare un determinato partito), e nelle elezioni del 2018 le agenzie dello stato hanno illegalmente corrisposto a 4500 persone vantaggi legati alle borse di studio, prestazioni ospedaliere e lavoro in cambio del voto. Secondo le stime del Barometer, nel 2018 un libanese su due si è visto proporre “incentivi” in cambio del voto. Uno su quattro, invece, viene sottoposto a pressioni di vario tipo nel caso si rifiuti di dare la sua preferenza in cambio di soldi. Nel frattempo la Germania ha deciso di classificare l’intera Hezbollah – e nn più solo la sua ala militare come in UE, posto che…vabbè – come organizzazione terroristica, bandendo le sue attività di qualunque genere sul territorio tedesco (secondo le agenzie tedesche ci sono un migliaio di membri di hezb in Germania). Decisione accolta con calore e puntualità da Israele (che la scorsa settimana ha intensificato nuovamente le sue attività sui cieli libanesi) e Stati Uniti. Che per uno strano paradosso sono tra l’altro i principali finanziatori dell’Esercito libanese, oggi alle prese con la protesta, il quale opera secondo le indicazioni di un governo appoggiato esternamente proprio da Fpm (che esprime anche il presidente della Repubblica) ed Hezbollah. Nb stamattina il parlamento ha approvato un piano di aiuti più strutturato (update)