QUALE MONDO DOPO TRUMP?

Possibile che il presidente americano riesca a superare la crisi di rigetto determinata dal “virus di Wuhan”. O, più esattamente, dalla sua pretesa di addossare alla Cina, per colpa o, detto tra le righe, per dolo, la responsabilità per lo scoppio e la diffusione della pandemia. Così da essere sconfitto nell’appuntamento di novembre (a meno di rinviarlo o di affrontarlo con regole tali da scoraggiare l’afflusso degli elettori democratici).Oggi, la sua versione dei fatti è accolta e avallata solo da quei settori della società americana, politici o di intelligence, comunque vicini al presidente e, quando accompagnata da richieste di risarcimento e in ordine di importanza, dall’Australia, dalla regione Lombardia e dal principale albergo di Cortina.Difficile pensare che la visione del mondo che ne costituisce la base (una specie di isolazionismo imperialista in cui l’America da una parte fa quello che vuole, seguendo i propri esclusivi interessi mentre, dall’altra, pretende che gli altri l’assecondino in ogni sua richiesta) potesse reggere nel tempo.Ma era, comunque, assolutamente certo che l’idea di trascinare il mondo intero in una specie di crociata contro Pechino e, per la proprietà transitiva, contro il partito di Biden e la comunità scientifica americana, e sulla base di ipotesi senza alcuna prova a loro sostegno, fosse, in partenza, votata al fallimento.E fallimento è stato. Con il pieno sostegno a Fauci, accompagnato da reazioni di vario tipo (panico nei mercati e nelle borse, di fronte all’ipotesi di uno scontro frontale tra le due superpotenze; collaborazioni tra esperti europei o tra scientifici cinesi e americani per capire la genesi dell’epidemia; proposte di commissioni internazionali per dirimere la questione, contestazioni generali della linea dell’Amministrazione sino ad arrivare all’aperta irrisione: “La Casa bianca a caccia di pipistrelli” , questo il titolo di un recente articolo di Repubblica).Una situazione, almeno in Europa, perfettamente sintetizzata in una recente intervista del nostro ministro degli esteri: gli Stati uniti come alleato privilegiato, i cinesi come partner. In questa formula c’è un delizioso profumo di “dèjà vu”; in linea con la linea costantemente praticata dai governi italiani dalla fine del centrismo sino ai giorni nostri; ma anche l’idea che il recupero della comunità atlantica non implica necessariamente la subalternità passiva nei confronti delle richieste dell’attuale amministrazione e può anche trarre vantaggio dalla sua probabile caduta. Con la conseguente valorizzazione (ci torneremo) dello spazio comune europeo rispetto al quale le resistenze tedesche appaiono sempre più come reazioni passatiste.In questo quadro, attenzione, la sconfitta di Trump non rappresenta affatto un successo per la Cina. Perché rimangono tutti quanti gli interrogativi sulle sue responsabilità nella nascita della pandemia e anche nella sua versione più probabile: un rapporto antico e un tantino inadeguato tra uomini e animali; il diffondersi del contagio a partire da qualche area periferica; la lentezza di un amministrazione “so tutto e faccio tutto” nel riconoscere e nel comunicare il suo iniziale fallimento. Una debolezza solo parzialmente compensata dal suo successo nel bloccare il contagio; un punto su cui torneremo tra poco.E’ poi certamente vero che nel ritardo nel capire, comunicare e provvedere, la Cina è stata affiancata, anzi largamente superata da americani e inglesi; ma ciò non toglie nulla al fatto che ritardo ci sia stato; e che i cinesi siano tuttora restii a spiegarne le ragioni.Di qui una prima duplice risposta all’interrogativo posto nel titolo del nostro post: scomparsa del disordine mondiale alimentato da Washington; ma, al tempo stesso, nessun ritorno all’ordoliberismo con volto cinese. Un progetto che non potrà più godere del livello di pacifico consenso che sembrava alla sua portata qualche tempo fa; che presuppone la ricostituzioni di reti e di filiere distrutte dalla pandemia; e che, soprattutto, si urterà contro la resistenza soggettiva di una serie di stati sovrani ansiosi di difendere la propria indipendenza economica e politica e soprattutto con le priorità oggettive del mondo che verrà dopo la fine della pandemia, tutte convergenti nel costruire ruoli, obbiettivi, regole, priorità, controlli che con l’ordinamento nato dopo la caduta del muro non hanno nulla a che fare.Rimane, a questo punto, in piedi un altro fondamentale quesito. Che riguarda il “durante”, e cioè gli stati e/o i regimi che stanno beneficiando, oppure no, dalla crisi in atto sia in rapporto con altri ordinamenti sia nei loro rapporti con il proprio popolo. Fermo restando, come abbiamo detto in precedenza, che la gestione della crisi sanitaria da parte di Trump come di Xi Jin Ping ha eroso il loro consenso interno così come il loro prestigio internazionale.Tutto ciò premesso l’opinione, diffusa ad arte che la crisi avvantaggi di per sé gli stati autoritari è semplicemente falsa.Cominciamo col dire che la “capacità di imporre” (magari fino al punto di limitare ulteriormente le libertà dei cittadini) non è il requisito essenziale per un efficace controllo della pandemia. Mentre sono invece assolutamente decisivi gli strumenti tecnici di controllo così come un ambiente naturalmente portato alla solidarietà e all’autodisciplina. Tanto per fare un esempio, ai primi posti nell’uso del tampone troviamo, in ordine decrescente (dati forniti da Internazionale, numero del 30 aprile) Vietnam, Taiwan, Nuova Zelanda, Australia e Corea del Sud), tutti paesi o vicini della Cina o investiti nella prima fase della pandemia; mentre agli ultimi posti, sempre in ordine decrescente, troviamo Italia, Stati Uniti, Spagna, Ecuador e Regno Unito. Una statistica, come si può constatare a prima vista, assolutamente irrilevante sul piano ideologico; e semplicemente rilevante nel valutare la funzionalità dei vari sistemi nell’affrontare situazioni di emergenza.Per altro verso, non è affatto vero che il coronavirus giovi in qualche modo ai regimi autoritari; nei loro rapporti con l’esterno e con i propri cittadini. E basti qui citare per memoria i totali disastri del Brasile (dove Bolsonaro, abbandonato da tutti salvo che dagli evangelici e avviato verso l’impeachment) o dell’Ecuador di Lenin Moreno. E ancora la crisi umanitaria in Venezuela bisognoso di tutto meno che di crisi violente. E ancora la ripresa del ciclo protesta/repressione in Cile come in Bolivia, in Libano, come in India e in Arabia Saudita; per arrivare, nei casi migliori alla generale ripresa del protagonismo popolare in Algeria e nel Sudan. E, nel peggiore, alla indizione, da parte del governo polacco, di elezioni che gli ambienti di Bruxelles giudicano “né libere , né oneste” e che potrebbero esser boicottate dall’opposizione.In tutto questo, sono particolarmente interessanti i casi di Russia e Iran. Qui abbiamo, come dire, una crisi a somma zero: da una parte due stati le cui ambizioni strategiche, in contrasto con l’intollerabile pressione americane, perdono forza perché non più sostenibili da adeguate risorse inerne. Portando la Russia a ridurre la propria pressione in Siria e a cessare la guerra del petrolio contro i produttori americani; e l’Iran a ridurre il suo sostegno ad Hezbollah e a ridurre la propria presenza in Siria (ricorrendo, contestualmente al sostegno economico e finanziario della collettiva internazionale); fatto espressamente e curiosamente portato all’attenzione del mondo proprio dall’arcinemico israeliano.Una sconfitta, insieme, per la Russia e per la Cina, così come per la strategia di Trump; ma, forse proprio per questo, un punto a vantaggio per un nuovo ordine mondiale.Un elemento, questo, che può aiutarci a capire come potrebbe essere un mondo senza Trump e senza pandemia. Un mondo che sicuramente troverà davanti a sé maggiori contrasti, maggiore povertà e più drammatiche disuguaglianze; e che si troverà di fronte ad opzioni magari radicalmente diverse sul come porvi rimedio.Si camminerà a tentoni. Ma, proprio per questa ragione, non ci potrà proprio permettere che il percorso venga bloccato da aspirazioni egemoniche e da un sistema basato, come l’attuale, sul confronto tra due aspiranti all’egemonia totale e sulla lotta di tutti contro tutti e assolutamente priva di regole e di possibilità di mediazione,E allora avremo la necessità di ritornare, per potere ripartire, a una sorta di nuova Yalta planetaria che attenui e regoli i conflitti tra stati e schieramenti in contrasto. Nel quadro di un confronto che esalterà e fatalmente il ruolo degli organismi internazionali e segnatamente dell’Europa. Un’Europa che, piaccia o no, avrà un peso importante nel determinare il corso degli eventi; sempre che, nel frattempo, abbia riscoperto le ragioni della propria esistenza..