L’UNICO MODO PER PERSEGUIRE CON QUALCHE CREDIBILITÀ L’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI

Tenere il conto delle basi militari americane nel mondo è quasi impossibile, e si fa letteralmente molto prima ad elencare i paesi in cui gli americani non sono ufficialmente presenti. Solo in medioriente le basi militari proprie, o ad agile usufrutto, sono più di 60. Io comprendo tutte le posizioni, purché siano esplicite e purché aderiscano ad un sistema coerente di valori, preferenze e prospettive, senza remore. Capisco chi oggi è preoccupato per la condotta proattiva di una serie di attori (Cina, Iran, Russia) percepiti come ostili a un sistema che ha negli Stati Uniti il proprio architrave. Eppure sono convinto che per far valere delle argomentazioni, anche in geopolitica, bisognerebbe sempre immaginarsi al cospetto di un giudice terzo, incaricato di ascoltare i nostri punti e quelli dei nostri avversari, o percepiti come tali, per poi emettere sentenze o perlomeno pareri su ciò che è giustificato e ciò che non lo è. Viviamo in un periodo nel quale questo ipotetico confronto sarebbe dialetticamente disastroso: come farebbero gli Stati Uniti, per esempio, a denunciare e convincere quel giudice “dell’espansionismo iraniano” in Siria e in Iraq, paesi in cui la presenza militare iraniana è esplicita e talvolta formalizzata (altre volte semi clandestina), ma dove in ogni caso non esistono strutture complesse come quelle americane nella regione, e anche nello stesso Iraq? Come potrebbero (e come potreste voi smemorati) dire che quella iraniana è una “presenza ostile, ingiustificata”, quando l’Iran ha 900 km di confine con uno Stato fallito da 15 anni, e dal quale era stato attaccato militarmente 20 anni prima, laddove la distanza tra Baghdad e Washington ammonta a 9962 km? Dimenticate per un attimo che dall’altra parte non parliamo di democrazie liberali (anche perché normalmente le missioni/presenze militari all’estero bypassano l’elettorato anche nelle più fulgide democrazie): è possibile pensare che anche con un governo del tutto liberale, del tutto progressista, del tutto placido, un paese come l’Iran possa accettare di ritirare da ogni paese confinante (non certo dal Belize o dall’Honduras) le sue truppe o i suoi consiglieri militari, o possa ingiungere alle milizie paramilitari locali, ad esso fedeli, di dedicarsi al giardinaggio, mentre in quegli stessi paesi sono operativi contractor militari americani ben più equipaggiati, basi militari americane grandi come città, decine di migliaia di uomini, tutte ivi collocate con l’obiettivo di “contenere” paesi come l’Iran, senza mai peraltro escludere l’opzione di una invasione o intervento militare? Seriamente c’è qualcuno che pensa che nel mondo esista un paese di grandi dimensioni (e di millenaria longevità, e posto al centro dell’Asia, ma è un’altra storia) disposto a sancire ed accettare pubblicamente la propria subalternità, la propria inaffidabilità, la propria sottomissione, peraltro col rischio connesso, concreto e immediato che esse siano funzionali al suo isolamento e premesse del suo accerchiamento? Quando scrivete, dite, invocate con toni trascendenti ed ecumenici (perché vi dichiarate contro “qualunque presenza” straniera, se non fosse che nessuno fa o dice nulla per metterla in discussione, sotto sotto perché considerata orientalisticamente più “accettabile” e rassicurante) la “fine della presenza iraniana in Iraq, Siria ecc”, chiedetevi sempre se sareste in grado di andare davanti a quel giudice, e davanti al vostro omologo iraniano, per convincerli dal punto di vista logico di quanto dite. “Lei deve capire che l’Iraq ha bisogno di essere indipendente, libero da interferenze e presenze straniere. Ritirate i vostri generali, così l’Iraq può prendere la sua strada” “In Iraq ci risultano basi americane grandi come lo Stato del Vaticano, messe in piedi diverso tempo fa, alcune delle quali in modo del tutto unilaterale (perché c’è pure la postilla della differenza tra rapporti bilaterali e rapporti basati sul ricatto), e molte delle quali a poche decine di km dai nostri confini. Ci ritiriamo dall’Iraq, ok, ma ci fate inviare una flotta nel golfo del Messico, visto che ne avete una nel Golfo Persico? Oppure potremmo costruire una base in Jamaica, per noi va bene”. Per troppo tempo ci siamo abituati ad un mondo in cui il concetto di deterrenza veniva percepito come unidirezionale: esiste la nostra deterrenza, da applicare nei confronti di paesi che non si allineano, e che non possono fronteggiare una minaccia militare. Oggi le cose sono diverse, siamo passati dall’illusione di un mondo unipolare (quello agitato da Fukuyama) alla realtà di un mondo in cui se non valuti bene la coerenza e la logica delle tue azioni puoi facilmente ritrovare i tuoi avversari a comportarsi in modo speculare al tuo, difendendo apertamente la legittimità delle proprie azioni. Sarebbe già un inizio accettarlo e cercare una strada che ne tenga conto. L’unico modo per perseguire con una qualche credibilità la strada della “autodeterminazione dei popoli” (quanto lo abbiamo stuprato sto termine negli ultimi anni..), della fine degli espansionismi, della ferma convinzione sullaintollerabilità delle ingerenze straniere, è quello che comincia col ritiro di tutte le truppe americane da paesi che con l’America non confinano e non condividono nulla, se non la disponibilità a farsi usare come piste di decollo e poco altro. In modo che, quando e se sarà, l’eventuale giudice non finisca per mettersi a ridere.