MILANO-CHAKAMA, IN UNA GIORNATA BELLISSIMA

MILANO-CHAKAMA, IN UNA GIORNATA BELLISSIMA

In via Casoretto a Milano, dove Silvia Romano abitava, a metà pomeriggio esplode la festa. La notizia della liberazione è arrivata da poco. In bicicletta accorrono gli amici, i vicini di casa si affacciano tutti ai balconi ad applaudire, qualcuno suona l’inno d’Italia. Si canta, si balla. “Vogliamo solo riabbracciarla!” esultano i ventenni dal marciapiede mentre sui social la notizia del rilascio a quasi diciotto mesi dal sequestro fa il giro del mondo. Nello stesso istante a Chakama, il villaggio vicino a Malindi dove è avvenuto il rapimento, nessuno sa ancora niente. Eppure anche lì c’è una compagnia di ragazzi che per un anno e mezzo ha aspettato. Uno in particolare: Ronald Kasungo, il keniota amico di Silvia e degli altri cooperanti internazionali, che era con la ragazza al momento del sequestro ed è stato bastonato per avere provato a salvarla. Il Corriere gli annuncia la liberazione via whatsapp. Lui richiama subito in video, con il wi-fi che va a singhiozzo. Piange. “Non ci posso credere, dov’è Silvia, dov’è?”, chiede commosso. Fatica a crederci. “Il rapimento mi ha lasciato senz’anima, Silvia mi aiutava a studiare”, dice con parole semplici, in un inglese stentato. Lui e gli altri faranno una festa domani, nel piccolo villaggio dove il coronavirus per ora non allontana gli uni dagli altri. In contemporanea Silvia arriverà a Roma, e poi a Milano. La mamma Francesca e la sorella Giulia in tutto questo tempo non si sono mai stancate di tenere la linea: “Crediamo nello Stato e in quello che stanno facendo”, dicevano ogni volta che qualcuno chiedeva notizie. Hanno avuto ragione. Emozionatissimo il padre Enzo: “Non ho mai perso la fiducia. Sono un egoista adesso, la felicità è talmente grossa che scoppia, non mi interessa di nessun altro, non voglio nient’altro, solo riabbracciare Silvia dopo un tempo infinito, ho contato i giorni, i secondi”. E ancora: “Fino a che non la vedo non mi sembra ancora vero. Sono qui e non riesco a pensare a niente a dire niente. Lasciatemi respirare. Le parole verranno”. Con il trascorrere dei minuti si accavallano le dichiarazioni di gioia, dal sindaco Beppe Sala (“La nostra concittadina è libera! In un momento così difficile questa notizia è ancor più straordinaria”) al governatore lombardo Attilio Fontana, a Giuliano Pisapia. Qualcuno ricorda però che ai tempi, in mezzo a ondate di solidarietà e affetto, sui social c’era stato anche chi aveva dato dell’irresponsabile a Silvia e ai ragazzi che partono per i Paesi in via di sviluppo come volontari. Lei, 24 anni, laureata in mediazione linguistica, voleva lavorare nella cooperazione internazionale. In Kenya si era trovata con tre coetanei italiani: zaino in spalla, stessa voglia di aiutare, di conoscere la gente del posto. “A Chackama ci sono una casa per i volontari, di mattoni, tutto il resto capanne, due bancarelle per comprare il cibo, un fiume meraviglioso dove portavamo i bambini a fare il bagno al tramonto”, raccontano i ragazzi, finalmente sollevati. Niente elettricità: “Ci illuminavamo con le candele e caricavamo gli apparecchi elettronici nella cava, facendoci aiutare dagli amici locali che sostenevamo nello studio. La sera, sul sentiero sterrato, giocavamo a cuscinate, prima di prepararci con loro la cena”. I tre erano ripartiti da poco per l’Italia, quando Silvia è stata rapita. Era rimasta lì in attesa dei nuovi volontari che dovevano arrivare.