IL GIARDINO DI ERICE. VITO TRAPANI: L’ARTE AL SERVIZIO DELLA SOLIDARIETÀ.
Intervista a Vito Trapani, marsalese, artista, pittore, scultore e creativo. Ciao Vito, sei un’artista eclettico che ha sempre sperimentato i campi più vari. Tra le tue produzioni anche modelli di abiti e scarpe. Cosa significa per te essere un artista oggi? Negli ultimi anni ci si misura quotidianamente con la tecnologia, ma si sta investendo troppo su essa, a discapito delle opere artistiche. Non si compra un’opera d’arte, piuttosto si preferisce acquistare un oggetto tecnologico. C’è una notevole mancanza di sensibilizzazione ed educazione nei confronti dell’arte a vantaggio di una fruizione di prodotti di massa, quindi un’eccessiva omologazione delle cose che ci circondano quotidianamente. L’eccessiva attenzione verso i prodotti di largo consumo comporta, inoltre, scarsa attenzione verso ciò che rappresenta l’arte del riciclo. Se poi vogliamo analizzare la funzione dell’artista sicuramente non ha lo stesso ruolo nella società che aveva un tempo. Ad esempio ci sono molti amanti della fotografia che si ritengono artisti. Ma l’arte richiede i suoi tempi. La società ormai è sopraffatta dalla digitalizzazione. Non ci sono più tante persone che commissionano opere d’arte. Sicuramente la situazione economica ha influito notevolmente. Negli anni ’90 il giro economico, ma anche la sensibilizzazione nei confronti dell’arte, era di gran lunga superiore ad adesso. Oggi è improbabile che qualcuno investa in un’opera d’arte. Le gallerie d’arte sono sempre meno frequentate e quindi ci sono meno occasioni per farsi conoscere. In più un artista, per come vivo io l’arte, non può esimersi dal manifestare un messaggio per l’umanità. Non può solo contemplare il mondo, la natura, la vita. Io sono come i bambini, perché cerco sempre di capire cosa c’è dietro ogni cosa. Ciò mi porta ad un eclettismo che fa parte piena della mia natura. Il messaggio però deve esserci sempre. Egli deve essere libero di esprimere il suo mondo con i suoi mezzi. E senza dubbio un artista non si può e non si deve “comprare”. Qual è tra le tue opere quella che, secondo te, ti rappresenta maggiormente o mette in risalto la tua personalità? Non credo ci sia un opera che mi rappresenti maggiormente. Ci pensavo tempo fa. Sono una persona che vive costantemente di ricerca, ogni lavoro è un mezzo di passaggio. Semmai i percorsi sono più interessanti rispetto all’opera stessa, ma l’opera mai. Se una persona si affeziona ad un’opera significa che si ferma là. Certe volte, dopo aver finito un lavoro, penso che avrei potuto fare di più. Nel momento in cui abbiamo ultimato un’opera siamo diversi da quando l’abbiamo iniziata. Siamo cambiati. Non siamo più quelli che l’hanno cominciata. La tensione va scemando, è una situazione diversa dal momento in cui lavori. L’opera finita è un momento statico. Il momento in cui lavori è un momento dinamico. Io amo molto la dinamicità. Sei nato e vivi in una terra bella ma difficile come la Sicilia. Come vedi il futuro artistico di questo luogo unico? La Sicilia è la musa ispiratrice ideale per un artista. Luce, atmosfera, mare, terra, luogo di contrasti. Si potrebbe creare un centro culturale europeo. Negli anni ’80 qualcosa esisteva. C’era il museo di Godranopoli, Scicli ma anche Fiumara d’Arte. Qualcosa resiste ma ormai siamo quasi al limite per mancanza di contributi. Ci si può dare da fare ma senza l’aiuto dei ministeri non si può andare avanti. Si trovano i soldi per gli F35 ma non ci sono per sovvenzionare la cultura. A breve il patrimonio culturale italiano sarà sempre più di proprietà degli stranieri. Eppure sappiamo bene che la cultura può essere veicolo di benessere economico. Da qualche tempo hai cominciato una nuova avventura artistica ma non solo. “L’altalena per i bambini speciali” è un progetto ormai ben avviato. Come è nato e di cosa si tratta esattamente? Una sera, trovandomi al computer su un social network, mi proposero l’iscrizione ad un gruppo che si occupava di promuovere progetti per la collettività. Successivamente vidi per caso una foto di un’altalena per disabili e la ragazza che mi aveva proposto il gruppo mi disse quanto sarebbe stato bello avere anche nella nostra città un oggetto del genere, per consentire ai bambini sulla sedia a rotelle di potersi dondolare come tutti gli altri bimbi. Fu così che, essendo una persona “d’azione” decisi di avventurarmi in questo progetto. Esistono altalene per disabili già pronte ma io volevo realizzare qualcosa di unico. La condizione che mi sono posto è stata di non chiedere aiuto a dei sponsor, poiché avrebbero preso il plauso della realizzazione del progetto. Invece volevo che la cosa avvenisse, seppur molto lentamente, grazie all’aiuto della gente comune. Volevo realizzare un progetto che appartenesse a me ma anche e soprattutto a tutta la gente che avrebbe voluto parteciparvi. Le parole chiave sarebbero state “mente e cuore”. Nel gruppo parlammo di questa iniziativa. Chi avrebbe voluto partecipare da privato cittadino sarebbe stato il benvenuto. Così piano piano ci fu il primo che mise un tubo, qualcun altro aveva delle boe di plastica, un altro offrì la sua officina per assemblare i pezzi e in seguito ci fu anche l’aiuto di un elettricista. Abbiamo iniziato accettando tutto quello che gli altri potevano mettere a disposizione, utilizzando la pagina del social network come un tam tam. Quando mi mancava qualcosa mettevo l’annuncio sul gruppo nella speranza che qualcuno avrebbe risposto e provveduto. Ma nel frattempo dissi tra me e me che, anche se non avessi trovato tutti gli aiuti esterni, avrei comunque ultimato il lavoro da solo. Invece è stata un’iniziativa che ha avuto un grande successo. Ho conosciuto tanta gente che non avrei mai avuto occasione di conoscere senza questa situazione. La pagina del gruppo viene seguita quotidianamente e ognuno può vedere i progressi che vengono fatti giorno per giorno, settimana per settimana, verso il completamento dell’opera, grazie a foto e video che vengono pubblicati. Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate finora? L’impatto iniziale è stato duro. Ma all’inizio non ci pensi. Pensi solo a realizzare il tuo progetto. Non è una cosa semplice perché hai a che fare con persone che non conosci e tutte diverse tra loro. Così la tua vita incrocia altre vite. Quelle della gente che incontri lungo il cammino e che ti aiuta a terminare il progetto. Ancora mancano tante cose ma sono fiducioso, soprattutto grazie all’entusiasmo con il quale tutto ciò è stato accolto. Quanto è stato importante l’aiuto di un social network? Importantissimo. La cosa bella è che sono le persone a sceglierti. Prima per curiosità e poi per un aiuto concreto. Il social network, che spesso viene demonizzato per caratteristiche di superficialità, può essere usato per un aiuto sociale concreto. Perché hai voluto dare all’altalena una forma di libellula? Perché mi dava l’idea di un vivente senza barriere, grazie alle sue ali. Un significato di libertà. Prima di iniziare a costruirla ho fatto un sogno ad occhi aperti. All’inizio pensavo ad una farfalla. Poi siccome vorrei poterla istallare vicino al mare ho preferito la libellula. Il suo corpo adesso somiglia ad un bozzolo armonioso. Non ad una gabbia, come spesso ho visto in alcune altalene già precostruite. Quando verrà inaugurata immagino un evento senza sponsor e senza bandiere politiche, ma un momento che appartenga a tutta la gente che ha contribuito, anche con poco, alla sua realizzazione. Tirando le somme “l’altalena per i bambini speciali”, al di là del suo utilizzo finale, rappresenta una nuova frontiera di solidarietà in un momento economico così difficile per il mondo? È un nuovo modo per sentirsi utili e solidali in un clima di austerità economica. Una solidarietà fatta non di soldi ma di oggetti, di gesti e di passione. Non accetto soldi dalla gente. È un modello di vita sperimentabile anche in altre situazioni. Anche nell’arte. La gente si sente partecipe della realizzazione di un oggetto anche artistico. Ci sono persone che mi hanno donato un metro di tubo e vedendolo piegato ed usato si stupiscono della cosa pensando che per anni è stato relegato in un angolo della loro casa senza alcuna funzione. Un modo anche di esercitare l’arte del riciclo delle cose, in una società schiacciata dallo smodato consumismo. Ognuno mette ciò che può e ognuno è parte di questo progetto. È un ritorno al senso di collettività. Tanti stanno partecipando, chi con tre viti, chi dando cose più sostanziose e chi offrendo il suo tempo per aiutarmi ad assemblare i pezzi. In questo momento qual è il tuo desiderio più grande? Vedere finalmente un bambino disabile dondolarsi sulla libellula. Questo, alla fine, è il vero motivo per il quale ho intrapreso quest’avventura de “l’altalena per i bambini speciali”. E ho fatto in modo di inserire anche una postazione per chi non ha disabilità, in maniera che ci si possa dondolare insieme. Perché non devono esserci differenze tra chi è disabile e chi non lo è. Dondolarsi insieme senza barriere fisiche, sociali e soprattutto nel divertimento e nel gioco.
