IL GOVERNO LETTA CI LASCERA’ SOLO IL LAVORO NERO.

IL GOVERNO LETTA CI LASCERA’ SOLO IL LAVORO NERO.

30 aprile 2013: il nuovo  premier Gianni Letta (Enrico, scusatemi, classica gaffe freudiana, con tutti questi parenti in politica) dopo aver incassato la fiducia da Camera dei Deputati e Senato inizia il suo tour europeo per presentarsi agli altri capi di governo e per “valutare politiche comuni”. Visita a Parigi, incontro con il capo di Stato francese Francois Hollande: e questo è ottima cosa, visto che il premier francese si è dimostrato valido, efficace e competente nelle misure antirecessive e di recupero di competitività dalla crisi, cosa in cui negli ultimi dieci anni l’ Italia ha toppato clamorosamente (o per meglio dire non ha fatto nulla). Imparato la lezione? Avuto buone ispirazioni? Propositi e spunti utili per costruirci per un futuro migliore? A margine degli incontri, una conferenza stampa; leggendone il contenuto riportato su un quotidiano nazionale (indubbiamente ben riportata visto che è uno di quelli più vicini all’ area governativa), ho modo di rabbrividire, leggendo dichiarazioni degne dei Ministri Maurizio Sacconi e Elsa Fornero nei loro momenti peggiori. “In una fase straordinaria come quella che stiamo vivendo, è necessaria meno rigidità”, riferendosi ai contratti a termine: come ribadito dai più grandi esperti d’ economia, la recessione, oltre che causata dall’ irrigidimento delle banche nella concessione del credito alle piccole-medie imprese così finite strozzate dai debiti, è stata causata anche dall’ annullamento del peso sul mercato e sul consumo da parte dei lavoratori: perdita del potere di acquisto dei salari mai adeguati al tasso di inflazione (nei termini previsti dal vecchio decreto Giugni sul costo del lavoro), incremento della disoccupazione soprattutto nella fascia dei quarantenni (coloro che una volta “muovevano” l’ economia costruendosi famiglia, comprandosi casa e gli altri beni durevoli) e rendendo precario il lavoro giovanile, ormai fatto di contratti atipici o a tempo determinato fino ad età avanzata, privando di fatto di ogni mezzo i migliori potenziali consumatori. Pretendere un mercato del lavoro flessibile solo quando si tratta di espellere lavoratori dal ciclo produttivo senza alcuna garanzia di rientro ne valido ammortizzatore sociale che sopperisca alla mancanza di reddito è come voler costruire coperchi senza pentole, misure pericolose che, come già dimostrato dalla dottrina della “flessibilità” attuata con la “Legge Biagi” inefficace  e controproducente. Il neo Premier spiega “la riforma Fornero va ridiscussa per consentire maggiore flessibilità, soprattutto per quanto riguarda i contratti a termine”. “In un momento particolare come questo – ha detto – è necessario essere un po’ meno rigidi. Alcune parti della riforma stanno creando dei problemi”, citando anche quanto già annunciato dal neo ministro del Lavoro Enrico Giovannini, secondo cui “la riforma Fornero è stata disegnata in modo molto coerente per una economia in crescita, ma può avere problemi per una economia in recessione. Bisogna capire cosa modificare, ma il mercato del lavoro ha bisogno di stabilità delle regole”. Calca ulteriormente la mano: “Mantenere il punto fermo sulla questione lavoro è importante”, ma al contempo – in una fase così “straordinaria” – è forse necessaria “meno rigidità” su alcuni punti fondamentali. La necessità di rivedere la riforma Fornero sui punti inerenti il lavoro a termine era stata evidenziata, a suo dire, anche dalla commissione di “saggi” nominata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (di cui faceva parte anche il neo ministro Giovannini)”. “Poiché l’attesa ripresa di fine anno sarà caratterizzata per un certo periodo di tempo da incertezze sulla sua durata e intensità, vi è il rischio che le imprese siano estremamente prudenti nel procedere ad assunzioni a tempo indeterminato: per questo sarebbe utile riconsiderare le attuali regole restrittive nei confronti del lavoro a termine, almeno fino al consolidamento delle prospettive di crescita economica”. Appunto: una economia stabile non può essere fungibile da un mercato stabile, e un mercato stabile non può essere costruito in mancanza di consumatori che possano avere una possibilità di spesa certa. E possibilità di spesa certa non li fanno i capitani di industria (poche centinaia) comprandosi lo yacht o la fuoriserie, lo fanno i lavoratori (alcuni milioni in Italia) con le spese correnti, ma solo in presenza di una certezza di salario e con stabilità di impiego. Sperare di risanare ed incentivare l’ economia creando disoccupati e precari è solo una bugia frutto di disonestà intellettuale: produrre instabilità nell’ occupazione serve solo a rendere la nostra manodopera competitiva con chi, nel sud est asiatico, cuce scarpe da tennis per le multinazionali, ed evidentemente questo è il modello economico che ci vuole essere imposto da questa politica. Il modello cinese dove il potere è retto da un’ oligarchia di politici ultrabenestanti che comanda una massa di manodopera sfruttata e sottopagata, utile a fabbricare prodotti a basso costo e quindi competitivi sui mercati esteri; a tale titolo come non ricordare lo scandalo relativo all’ iPhone 5 della Apple, prodotto su concessione in Cina in autentiche fabbriche-lager. Tacciare la riforma Fornero di rigidità e garantismo è blasfemia, visto che l’ unico reale effetto prodotto è stato un boom di licenziamenti “legalizzati” e l’ istituzione di un regime giuridico in cui il contenzioso (opporsi a provvedimenti disciplinari e licenziamenti da parte dei dipendenti) è diventato complesso, troppo costoso e farraginoso e quindi impossibile, dovendo essere gestito nelle Preture Civili dei tribunali, già precedentemente in sofferenza e ora ancor più ingolfate dagli effetti della legge 92 del 2012. Ammetto, non ho seguito la costituzione del Governo Letta e le consultazioni preliminari, visto che ero molto sfiduciato e diffidente nei confronti del minestrone che stavano cucinando, fatto di PD, PDL e montiani. Molta gente ha gridato all’ “inciucio” e al governo che non sarebbe durato mentre io sin dalle prime battute sono stato ottimista sulla sua durata: questo governo è andato oltre i limiti della politica non essendo più gestito ne normato dalla Costituzione bensì dal più misero codice civile: l’ articolo 2512 e successivi che disciplinano le “cooperative a mutualità prevalente”, ovvero gli enti economici costituiti per perseguire un beneficio diretto ai partecipanti, così come spiega accuratamente la legge, esempio tipico sono le cooperative per l’ edilizia civile. Benefici? Procrastinare a tempi futuri l’ estinzione del Partito Democratico, alla luce dei fatti ormai svuotato di tutte le caratteristiche e le finalità per cui era stato costituito e quindi inutile, garantire al PDL di poter proseguire la sua presenza in politica per poter perseguire i suoi fini ormai noti, garantire a Comunione e Liberazione (che vede sedere due suoi fedelissimi nei ministeri a budget maggiore, quello della Difesa e quello delle Infrastrutture) importanza e controllo sui più grandi appalti pubblici del nostro paese e agli ex montiani la possibilità, essendo presenti al governo, di poter ultimare il lavoro lasciato in sospeso nel loro precedente mandato. Se il buongiorno si vede dal mattino, ormai è scongiurato ogni rischio di un governo berlusconiano come quelli del passato: se questo nuovo, come è anche nella realtà, proclama “il lavoro” come la grande emergenza attuale e queste sono le sue proposte e la sua ricetta per curare il problema, i governi retti da Silvio Berlusconi passeranno alla storia come governi populisti e dilettantistici, mentre questo governo parte già con dichiarazioni (di guerra) degne della più truce Margaret Thatcher inglese del 1975. Quella che fino a ieri era una catastrofe umanitaria ora diventerà, se questi sono gli intenti, una autentica macelleria messicana; e se cinque anni fa speravamo tutti in un futuro migliore, se fino a poco fa cercavamo di non pensare al futuro, ora il nostro futuro sarà ormai certo: campare di espedienti e diventare tutti spogliarellisti, come i disoccupati di “Full Monty”, il capolavoro del 1997 di Peter Cattaneo, che sugli indigenti creati dalla dottrina tatcheriana sul mercato del lavoro ha sceneggiato un bellissimo film. Oppure aveva visto giusto una persona diffamata e incompresa dalle masse, un grande statista che nessuno di noi aveva compreso nella sua completezza, nella sua genialità e nella sua preveggenza: il 7 dicembre 2002 Silvio Berlusconi raccomandò ai cassintegrati della Fiat, a copertura della consistente perdita di reddito, di “cercarsi un secondo lavoro per arrotondare lo stipendio. Magari anche in nero” Appunto. Il lavoro “nero”. Tutto quello che ci hanno lasciato.