BERLUSCONI, LAVITOLA E I LORO “FINI”: IL GIOCO DEI SOLDI SULLA PELLE DELL’ITALIA

BERLUSCONI, LAVITOLA E I LORO “FINI”: IL GIOCO DEI SOLDI SULLA PELLE  DELL’ITALIA

Alcurriculumgiudiziario di Silvio Berlusconi la notizia che egli possa essere stato il mandante, ed anche il finanziatore (corruttivo o meno, si vedrà) del procacciamento dei documenti necessari per incastrare Gianfranco Fini all’epoca suo avversario interno nel Pdl, forse ha ben poco da aggiungere. In ogni caso essa offre un nuovo, ulteriore, squarcio illuminante sull’agire abituale di un uomo che da quasi un quarto di secolo condiziona pesantemente, molto più di chiunque altro, la politica italiana: a capo del governo per quasi dieci anni, tre in più di Andreotti (nessuno nella storia della Repubblica può vantare la stessa longevità), per altri sette è stato il capo dell’intera opposizione parlamentare di poco inferiore, numericamente, alla coalizione del governo avversario; negli altri sei infine è stato in maggioranza, apertamente come all’epoca del governo Monti e della prima fase del dicastero Letta fino ad ottobre 2013 o, da quel momento, surrettiziamente,  durante il governo Renzi e, adesso, quello di Gentiloni. Insomma un uomo che ha potuto, più di ogni altro e per un tempo mai concesso nella storia repubblicana a nessun altro, decidere i destini dell’Italia e dei suoi sessanta milioni di abitanti la maggior parte dei quali si alza ogni mattina per lavorare o tentare di farlo, con fatica immane per vivere o sopravvivere, senza avere nulla in comune con questo potente politico di lungo corso, né condividere alcunché della disinvoltura con cui considera normale qualunque atto o gesto anche di rilevanza penale purché utile ai suoi interessi privati, a giudicare almeno dalcurriculumgiudiziario, per molto meno del quale qualunque cittadino nei brogliacci di carabinieri o polizia è definito “delinquente abituale”. La notizia si deve alla rivelazione, al settimanale L’Espresso, di Valter Lavitola il quale racconta che Berlusconi gli diede cinquecento mila euro in contanti per “acquistare” dai governanti dello Stato caraibico dell’isola di Santa Lucia i documenti comprovanti la titolarità in capo a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, della casa di Montecarlo lasciata in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni ad Alleanza nazionale di cui Fini era segretario. Sono i mesi caldissimi, nel 2010, del braccio di ferro interno al Pdl tra Berlusconi che vuole a tutti i costi far passare la legge bavaglio contro le intercettazioni e il suo alleato sempre più recalcitrante il quale, dopo avergli concesso prima ogni cosa anche sulle numerose leggi-vergognaad personam, si è messo di traverso, venendo così espulso dal Pdl e costituendo gruppi parlamentari capaci di sfiduciare il governo in carica. In effetti la firma sulla mozione di sfiducia è già apposta, i numeri non danno scampo, ma Fini segue il consiglio di Napolitano di ritardarne a lungo la calendarizzazione in aula e in questo tempo Berlusconi “convince”, con la consueta e riconosciuta efficacia dei suoi argomenti, diversi parlamentari a tornare indietro. Così, quel 14 dicembre 2010, con 311 si e 314 no – tra i quali quelli dei “finiani” Polidori, Siliquini e Catone, degli ex Pd Calearo e Cesario, oltre ai “responsabili” Razzi e Scilipoti tutti acquistati alla causa berlusconiana –  la mozione è respinta e Berlusconi può rimanere in sella per un altro anno ancora, fino alla resa ignominiosa delle dimissioni date, a novembre 2011, dinanzi ad una piazza urlante nel pieno della tempesta finanziaria sull’Italia. Ma questa è un’altra storia. UNA VERITA’ RACCONTATA SETTE ANNI DOPO Ora Lavitola racconta a L’Espresso le sue gesta: «I documenti della casa di Montecarlo, quellacomprata dal cognato di Gianfranco Fini, il signor Giancarlo Tulliani, me li sono procurati io. Li ho ottenuti direttamente da funzionari governativi dell’isola di Santa Lucia. Ovviamente hanno voluto dei soldi per darmeli. Molti soldi. Tutta l’operazione è stata finanziata da Silvio Berlusconi. È lui che mi ha consegnato a Palazzo Grazioli circa 500 mila euro in contanti, che io ho fatto portare ai Caraibi con un aereo partito da Ciampino. Era l’estate del 2010».E il settimanale attualizza così: oggi Lavitola ha l’aria di voler dire tutta la verità al punto da autoaccusarsi di aver pagato funzionari pubblici di un paese straniero: se in una lettera a Berlusconi sequestrata dai pm aveva definito i denari ricevuti dal capo di Forza Italia un semplice “rimborso spese”, ora ammette che i soldi servirono per foraggiare i governanti dell’isola caraibica. «L’idea – racconta il faccendiere – mi è venuta nell’estate del 2010, quando i quotidiani berlusconiani indicano come le società che avevano acquistato la casa di Montecarlo avevano sede ai Caraibi, nella piccola isola di Santa Lucia, appunto». Negli staterelli del Golfo Del Messico – ricostruisce L’Espresso – Valter fa affari da tempo, e ha ottime relazioni con persone influenti. «In primisl’allora presidente di Panama, Ricardo Martinelli. Lo conoscevo prima della sua scalata al potere: lui aveva supermercati a cui vendevo i prodotti pescati con le mie barche in Brasile. Chiesi aiuto a lui: mi disse che mi avrebbe aiutato con le autorità di Santa Lucia a far uscire le carte>>. Avuto ilplacetper l’operazione dall’allora capo del governo italiano, Lavitola spiega di essere tornato a Panama: «Ricardo si mise a mia disposizione. Mi procurò un aereo privato con cui andai, per la prima volta, da Panama a Santa Lucia. Non partii da solo, ma con un uomo dei servizi inglesi, che mi aiutò durante tutta l’operazione. Fu lui a portarmi da un funzionario del governo dell’isola, dicendomi che ci avrebbe potuto dare una mano. O meglio: per 100 mila dollari ci avrebbe consegnato la copia di unae-mailche avrebbe provato quello che tutti, in Italia, si stavano chiedendo. Ossia se la casa di Montecarlo fosse stata effettivamente comprata dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. Lamailera stata mandata ad agosto 2010 dalbrokerJames Walfenzao,un collaboratore dei Corallo, ai due fiduciari dei fondi segreti Printemps e Timara proprietari dell’appartamento. Nell’informativa Walfenzao parlava di un coinvolgimento diretto di Tulliani».Lamail,in effetti, è pubblicata su L’Avanti! a inizio ottobre del 2010. «Pago i centomila – racconta ancora Lavitola –  afferro la copia dellamail, e metto i duecentomila che mi restano in una cassetta di sicurezza. Dissi a Berlusconi che eravamo a cavallo, ma lui mi spiegò che con quel solo documento non inchiodavamo nessuno. Che ci voleva qualcosa di più: le carte originali delle società proprietarie della casa di Montecarlo».Comprare anche quelle, chiosa ancora Lavitola, si rivelò però impossibile. Se il concessionario che gestiva le societàoffshoreavesse girato documenti riservati, avrebbe creato a sé stesso un danno d’immagine colossale: «Il mio amico inglese, però, trovò una soluzione: quella di far scrivere una informativa confidenziale destinata al presidente dell’isola e firmata da un ministro che facesse definitiva chiarezza sul legame tra Tulliani e le società che avevano rilevato da An la casa di Montecarlo. I funzionari governativi ci chiesero 800 mila dollari».Secondo il giornalista amico di Bettino Craxi l’intervento di Berlusconi fu provvidenziale: «Spiegai alpremierquello che mi avevano chiesto per quei documenti e lui mi diede, a Palazzo Grazioli, circa 500 mila euro in contanti per pagarli». Un caso di corruzione internazionale di cui, con Berlusconi anche Lavitola potrebbe essere chiamato a rispondere? «Nessun reato – ribatte sicuro l’interessato -. Abbiamo solo pagato una notizia come fanno molti giornalisti. Ammetto che la somma è ragguardevole. In ogni caso, sarebbe tutto prescritto. Comunque, non portai io – conclude La Vitola – i soldi avuti da Berlusconi a Santa Lucia. Ci pensò ancora una volta l’agente inglese, che aveva un passaporto diplomatico e che, mi confermò lui stesso, si sarebbe spartito i soldi con i governanti caraibici. Lo stesso giorno in cui presi i soldi da Berlusconi, l’inglese atterrò a Ciampino. Il pomeriggio gli diedi i soldi. Tornammo con due voli diversi. Pagammo e avemmo dal solito funzionario la famosa lettera. “Bingo!”, mi dissi. Il gioco era fatto». IL SOLIDO CURRICULUM GIUDIZIARIO DI BERLUSCONI Insomma la lettera di un ministro straniero è commissionata e pagatacasha caro prezzo, con i soldi di Berlusconi, per incastrare un suo avversario politico, anzi un alleato scomodo. Fin qui loscoopdel settimanale. Del primo c’è poco da ricordare se non che quelcurriculumgiudiziario cui si faceva cenno contempla finora una sola condanna definitiva per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita; otto proscioglimenti per intervenuta prescrizione (qualche volta grazie ai tempi abbreviati da leggi da lui imposte) in una serie di procedimenti che lo hanno visto imputato di numerosi reati tra i quali corruzione, falso in bilancio, appropriazione indebita, illecito finanziamento ai partiti, rivelazione di segreti d’ufficio; due per amnistia, (falso in bilancio e falsa testimonianza);  infine una raffica di archiviazioni e assoluzioni (altro che complotti o uso politico della giustizia, se non nel senso di un particolare riguardo per un uomo di così smisurato potere!) alcune delle quali imposte da modifiche legislative approvate dalla maggioranza parlamentare di cui l’imputato era il capo indiscusso. LAVITOLA FACCENDIERE RAMPANTE, MASSONE E AMICO DI CRAXI E BERLUSCONI Valter Lavitola è un personaggio che sembra uscito da un romanzo. Salernitano, ambizioso e spericolato, a 18 anni si iscrive alla loggia massonica Aretè di Roma e, contemporaneamente, attratto dal mito del potere craxiano, entra nel Psi. Nei dintorni osserva a distanza Berlusconi, imprenditore ricco e affermato cresciuto all’ombra del capo del Garofano e così, quando questi conosce nel ’92-’93 un rovinoso declino, il ventiseienne Lavitola sa quale sia la strada da battere. Fonda la cooperativa giornalisticaInternational Pressche, nel ’96, diviene proprietaria ed editrice del quotidiano L’Avanti!, glorioso vessillo socialista finito, dopo il crollo e la scomparsa del Psi, in mani poco rassicuranti. A dirigerlo in quel momento è Sergio De Gregorio, il futuro senatore che Berlusconi dieci anni dopo, proprio tramite Lavitola, avrebbe corrotto con tre milioni di euro per far cadere il secondo governo Prodi. Della testata, per anni chiusa e poi rimessa in sesto fiutando affari, Lavitola dal 2003 è direttore. Questo è anche il tempo delle ambizioni politiche del campano rampante che nel frattempo ha sposato una giornalista de L’Avanti!, luogo ancora ricco di agganci e relazioni di potere. Nel 2004 in Forza Italia, grazie al via libera dell’amico Silvio, tenta la carta del parlamento europeo ma le 54 mila preferenze raccolte non gli bastano. Quattro anni dopo vorrebbe riprovarci per Montecitorio ma Nicolò Ghedini e Gianni Letta che hanno il controllo delle liste gli sbarrano la strada. Forse sanno già qualcosa, e non si fidano (né Berlusconi ha bisogno di altri guai oltre a quelli cui provvede benissimo da solo) della vita spericolata di questo giovane intraprendente che a quarant’anni dispone di legami internazionali e intrecci affaristici che gli regalano una vita agiata. Merito soprattutto delbusinnesdella pesca nel Mar dei Caraibi dove le sue barche si rivelano particolarmente redditizie grazie alle entrature nei giri commerciali che contano e ai rapporti con politici locali di primo piano nell’arcipelago di Panama. Ma il Lavitola che possiamo descrivere oggi, ancora in quegli anni è noto solo ad una cerchia ristretta di persone vicine ai suoi affari e a quelli di pochi fortunati superstiti del ceto craxiano e di certi ambienti del giro berlusconiano. Nel settembre 2010, all’insaputa dei lettori di giornali, L’Avanti! (che da tempo un giornale, neanche nella variante “organo di partito”, non si può più definire) pubblica in esclusiva uno strano documento del governo dell’isola caraibica di Santa Lucia il quale attesta che il vero proprietario della societàoff-shorecreata per nascondere l’intestatario dell’appartamento sito nelPalais Milton di Boulevard Princesse Charlotte14, aMontecarlo, sarebbe Giancarlo Tulliani, cognato del presidente della Camera Fini. I quotidiani, i magazine e le tv di simpatie (o di proprietà) berlusconiane rilanciano loscoop, mentre il caso, al quale sono appese le sorti del braccio di ferro Fini-Berlusconi e, quindi, del governo di quest’ultimo, irrompe nel dibattito politico e istituzionale. Se ne occupa anche il programma tvAnnozerodi Michele Santoro il quale, il 23 settembre 2010, rivela come prima della pubblicazione del documento Lavitola abbia incontrato molte volte il ministro della Giustizia di Santa Lucia, viaggiando dall’Italia all’isola caraibica con un aereo di Stato italiano. Un anno dopo, il primo settembre 2011, Lavitola è colpito da mandato di cattura con l’accusa di estorsione in danno proprio del potente amico Berlusconi al quale non si deve di certo la denuncia, abituato com’è a risolvere tutto “pacificamente” nella camera chiusa dei suoi affari. Ma le intercettazioni nell’ambito del giro di incontri cui quotidianamente è adibito Giampaolo Tarantini, impegnatissimo ad organizzare cene eleganti”, valgono più di una denuncia. Ed emerge che Lavitola chiese cinque milioni all’allora presidente del Consiglio in cambio del suo silenzio nell’inchiesta di Bari sul giro delleescortalimentato dall’imprenditore pugliese per compiacere il capo del governo ed allietarne le serate. Lavitola si costituisce dopo otto mesi di latitanza e un anno dopo sarà condannato a due anni e otto mesi per tentativo di estorsione in danno di Berlusconi. Proprio a questa condanna è da ricondurre con ogni probabilità il racconto che oggi La Vitola decide di fare a L’Espresso. Sono le sue parole a confermarlo: <>. Vendetta, ritorsione, addirittura calunnia contro il potente ex compagno d’avventure? No, semmai la scelta di raccontare una verità che senza questa omissione ingrata rimproverata a Silvio, con ogni probabilità avrebbe tenuto per sè. Come dimostra il totale asservimento di ogni atto al proprio tornaconto economico da parte di questo giornalista-imprenditore-attivista politico e faccendiere che, quando subisce il mandato d’arresto, tutte le tv offrono al pubblico nell’immagine che lo ritrae al fianco di Berlusconi sull’aereo presidenziale in uno dei tanti viaggi per incontrare capi di Stato e di governi stranieri, pur senza far parte della delegazione italiana. Del resto, appena tornato a palazzo Chigi, nel 2008, Berlusconi cancella la circolare emanata due anni prima da Prodi che pone restrizioni fortissime e vincoli inderogabili all’uso dei voli di Stato e all’ammissione di accompagnatori. Può essere utile allora integrare il profilo di Lavitola con quanto s’è scoperto sul suo conto quando, rientrato in Italia per costituirsi, trova due nuove misure di custodia cautelare. “AVANTI!” TUTTA NEGLI AFFARI A SUON DI TANGENTI La prima è relativa a un’ipotesi di corruzione internazionale per presunte tangenti a politici panamensi per la realizzazione di carceri e l’acquisizione di appalti. Per ottenere illecitamente alcune commesse milionarie, Lavitola avrebbe ricompensato con <> il presidente diPanamadi origine italianaRicardo Martinelli, beneficiato anche da una valigetta piena di soldi, il ministro della giustiziaRoxana Mendezed altri esponenti del governo panamense ripagati anche con vacanze di lusso. Lavitola è accusato di aver fatto da mediatore per un giro di tangenti al governo panamense per un appalto da 176 milioni di dollari per la realizzazione di strutture carcerarie, che avrebbero dovuto essere realizzate dal consorzio Svemark. Affare che poi, dopo due primi versamenti di 530 mila euro e 140 mila dollari, sfuma. Infine, emerge il movimento di un grosso flusso finanziario in nero destinato al presidente di Panama Martinelli e si scopre che il contratto di consulenza perFinmeccanicaottenuto da Lavitola con un compenso di 30 mila dollari è solo una copertura per giustificare la sua presenza e la sua attività aPanamache comprende anche l’utilizzo di un elicottero per i suoi spostamenti. Il rapporto tra Lavitola e Martinelli è così stretto che nell’agosto 2011 ad ospitarlo aVilla Certosa, residenza estiva diSilvio Berlusconi, è lo stesso Lavitola. Il secondo provvedimento riguarda l’appropriazione indebitadi oltre 20 milioni di euro di finanziamenti statali al quotidianoL’Avanti!di cui Lavitola è stato amministratore di fatto e direttore. La Procura diNapoli, che contesta i reati diassociazione per delinquerefinalizzata allatruffaai danni dello Stato, chiede anche gli arresti domiciliari per giornalisti e responsabili contabili deL’Avanti!e della società editriceInternational Press. Tra i destinatari della misura anche l’ex-senatore ed ex-direttore deL’Avanti!Sergio De Gregorio. Secondo l’accusa, Lavitola <>, De Gregorio <> della stessa società ed altri dieci indagati hanno fatto risultare che l’editrice deL’Avanti!possedesse i requisiti per ottenere i contributi previsti dalla legge per l’editoria, percependo indebitamente tra il 1997 e il 2009 oltre 23 milioni di euro. Per tali reati Lavitola patteggia la pena di 3 anni e 8 mesi. LaCorte dei contidelLazioa marzo2015lo condanna insieme a Sergio De Gregorio a restituire allo Stato 23 milioni e 879 000 euro. QUANDO LAVITOLA CORROMPE DI GREGORIO CON I SOLDI DELL’AMICO SILVIO PER FAR CADERE PRODI Berlusconi, nelle vesti di corruttore, De Gregorio, in quelle di corrotto, e Lavitola in quelle di intermediario, invece sono insieme protagonisti dell’affairemilionario (tre i milioni versati dall’ex cavaliere al senatore eletto nelle liste dell’Idv di Pietro) imbastito per far cadere il governo Prodi che, a palazzo Madama, conta sulla maggioranza di un solo senatore. Due anni fa le condanne in primo grado. Di recente il proscioglimento in Appello per prescrizione con motivazioni che per la coppia Berlusconi-Lavitola suonano più taglienti di una condanna: <>. L’unico ad avere scontato la pena è proprio De Gregorio che denuncia i fatti, autoaccusandosi, senza che fosse stato chiamato a risponderne e sceglie il patteggiamento che, come è noto, non ammette appello. E mentre si dice angosciato dalla paura di essere scomunicato per quel reato confessato che per papa Francesco è anche un peccato grave, Berlusconi e Lavitola se la ridono: coimputati, non smentiscono mai alcunché né ne contrappongono una lettura diversa, fidando unicamente nella prescrizione che però, in questo caso, non ne impedisce un pieno accertamento, addirittura nel doppio grado del giudizio di merito. Insomma il sodalizio criminoso tra l’anziano “statista” pregiudicato e il ben più giovane faccendiere rampante è scolpito in una serie innumerevoli di fatti documentati e di atti giudiziari. Ora Lavitola annuncia un contributo di verità in una direzione che non sembra andare a vantaggio dell’amico Silvio, “colpevole” di non avere fatto abbastanza per evitargli la condanna per tentata estorsione, ma a vantaggio di Fini, il terzo protagonista del caso che pure a Lavitola non è mai stato simpatico e che anzi, grazie ai suoi agganci internazionali e ai soldi ricevuti da Berlusconi, ha contribuito a distruggere politicamente. GIANFRANCO FINI: DA UNA “FIAMMA” ALL’ALTRA” Qualche cenno allora anche sul profilo di Gianfranco Fini, almeno per i pochi aspetti meno conosciuti di una carriera politica cominciata, quasi mezzo secolo fa, forse per caso o per sbaglio, se è vero ciò che ama raccontare di se stesso. A sedici anni, più della politica lo interessa il cinema e più di ogni ideologia il faccione sul grande schermo diJohn Wayne. E’ per andare a vederlo in sala a Bologna, la sua città, dove proiettano “Berretti verdi” che s’imbatte in un gruppo di militanti di sinistra che contestano la proiezione del film che inneggia alla guerra in Vietnam. Perciò il giorno dopo il sedicenne Gianfranco si iscrive alla Giovane Italia, l’associazione studentesca legata al Movimento sociale italiano. Poi le tappe a Roma nel Fronte della Gioventù di cui Giorgio Almirante lo vuole segretario nazionale nonostante sia solo quarto tra gli eletti; quindi il Msi, l’ingresso in Parlamento nel 1983 e la successione allo storicoleaderalla quale lo candida lo stesso Almirante nel 1987 in occasione della festa tricolore di Mirabello. Nel piccolo comune del Ferrarese è nata la madre di Fini, Erminia Marani, figlia di Antonio Marani, al fianco di Italo Balbo nella marcia su Roma e promotore delle prime sezioni missine in Emilia subito dopo la guerra. Anche il padre di Gianfranco, Argenio Fini, è stato volontario della Rsi, anche se prima dell’ascesa politica del figlio si dichiara vicino al Psdi. Del resto il nonno paterno era comunista, addirittura segretario della sezione provinciale del Pci. Ma la linea materna deve essere stata più forte se il nome di Gianfranco gli viene imposto in memoria di un cugino ucciso a vent’anni, ad aprile del ’45, nei pressi di Sasso Marconi in uno scontro con i partigiani. Dall’avventura vissuta per vedere quel film, Fini allora sedicenne, si dichiara fascista irriducibile, convinto e non pentito almeno fino al ’94, quando ha 42 anni: <> 19 agosto 1989; <> 5 gennaio 1990; <> 30 settembre 1992; <> giugno 1994. Già l’anno dopo, in cui fonda Alleanza nazionale (<>) comincia un’inversione ad “U” che nel 2003, in visita in Israele, lo porta a definire il fascismo <>. Stesso percorso su altri temi: a lungo ultracattolico, assume posizioni nuove nei primi anni 2000 al punto che, dopo avere votato in parlamento a favore della legge eterologa che pone limiti rigidissimi alla procreazione assistita (poi bocciati dalla Corte costituzionale) sostenere ilreferendumper abrogarli; per non dire della presa di posizione in favore dei diritti delle coppie di fatto anche omosessuali e del diritto di voto degli immigrati regolari nelle amministrative. TRA POLITICA, AFFARI DI CUORE E … AFFARI Lo stesso Fini confesserà che a fargli cambiare idea è stata la nuova “fiamma”, Elisabetta Tulliani che sposa nel 2007 quando gli dà anche la prima figlia. Il rapporto dura da anni e provoca la fine del precedente matrimonio che negli anni ’80 ha contratto con Daniela Di Sotto cui si lega mentre lei è la moglie di un dirigente del Msi caro amico di Gianfranco, Sergio Mariani che subito dopo tenta il suicidio. Insomma vita privata e affetti familiari non sono mai stati separati dall’impegno politico in casa Fini, né al tempo del primo amore specchio della militanza missina, né del secondo, causa e riflesso della conversione di stampo liberal-radicale. Ma gli effetti per Fini non sono solo di posizione politica. Come abbia potuto un politico, mai sfiorato prima dal sospetto di un interesse privato, fare transitare, a prezzi di svendita, un immobile di Alleanza nazionale nella proprietà del cognato Giancarlo Tulliani, peraltro con modalità e procedure che sembrano deliberatamente scelte per cancellare ogni traccia, appare un mistero che anche quella commistione tra affetti e politica fa fatica a spiegare. Ma i fatti hanno sempre la testa dura. Fini su di essi infrange la propria credibilità quando, presidente della Camera, nega al cento per cento che la casa di Montecarlo donata ad An dalla contessa Colleoni e venduta ad una societàoff shoresia in realtà di Tulliani. Se ciò dovesse emergere – annuncia sicuro con tono di sfida – si dimetterà da presidente della Camera. La legislatura si conclude molto prima che la sua verità farlocca crolli pubblicamente alla prova dei fatti e nella successiva Fini non riesce neanche a conservare il seggio di parlamentare sul quale da trent’anni siedeva. Con la verità, non solo l’ombra di quell’interesse privato oscura definitivamente la sua immagine, ma lo catapulta nel pieno di un’indagine penale dalla quale nel 2009, dopo l’esposto su quella strana vendita presentato da Francesco Storace, è tenuto lontano con reiterate archiviazioni. <> ribadisce più volte la Procura che di recente deve invece indagare Fini per riciclaggio. I soldi per comprare, da Alleanza nazionale di cui era rappresentante legale il cognato, la casa di Montecarlo sono dati a Giancarlo Tulliani da Rudolf  Baetsen, collaboratore dell’imprenditore del gioco d’azzardo Francesco Corallo, tramite contioff shore. E Gianfranco Fini deve rispondere di riciclaggio. INDAGATO CON IL RE DELLE SLOT MACHINE Corallo peraltro è un personaggio di elevato spesso criminale secondo gli atti giudiziari disponibili. Il re delle slot,arrestato nelle Antille Olandesi il 13 dicembre scorso con le accuse di associazione per delinquere, riciclaggio e peculato, ed estradato in Italia, avrebbe costruito il suo impero economico grazie alle “macchinette mangiasoldi” e ad una rete di societàoff-shorecostituite nei paradisi fiscali. Non versando le imposte, Corallo avrebbe promosso un’associazione per delinquere transnazionale specializzata nel riciclaggio, con guadagni per oltre 200 milioni di euro. E alcuni di questi milioni Corallo li avrebbe elargiti alla compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta Tulliani, e a suo fratello Giancarlo «per garantirsi – scrive il giudice delle indagini preliminari – l’agognata tranquillità commerciale». Tranquillità che poteva venire solo da atti del governo favorevoli ai suoi affari. In ogni caso una cosa è certa. Senza delle scorribande di Valter Lavitola nei Caraibi, senza dei suoi traffici e delle sue relazioni d’alto rango, nessuna prova forse sarebbe mai venuta a galla di quell’affairenato intorno a Fini, all’interno della sua famiglia. Egli potrà sempre dire di essere stato ingannato dal cognato e forse anche dalla moglie, ma non si capirebbe perché in ogni caso Alleanza nazionale, cioè Gianfranco Fini, avrebbe dovuto vendere per trecento mila euro una casa che poco tempo dopo l’acquirente ha potuto rivendere a un milione e 300 mila. Ma neanche Lavitola nulla avrebbe potuto fare senza quel mezzo milione di euro versatoglicashda Berlusconi a palazzo Grazioli e trasportato a Panama con un volo da Ciampino. Soldi senza dei quali quei documenti non sarebbero mai arrivati in Italia. Insomma, con l’ultima rivelazione Lavitola, una volta tanto, dice forse la verità, non importa quanto in modo disinteressato. Fini potrebbe trovarvi qualche elemento per atteggiarsi a vittima politica del suo potentissimo e ricchissimo avversario sempre padrone della scena politica, ma la cruda realtà della vicenda che lo riguarda, e soprattutto i gravissimi recenti sviluppi, lo pongono ormai troppo al di sotto di ogni credibilità per potersene beneficiare. Berlusconi ne esce invece, una volta di più, rafforzato nel suo eterno ruolo, con o senza reati, di corruttore seriale capace di comprare qualunque cosa gli possa tornare utile, in politica come negli affari. Che per lui sono, da sempre, la stessa cosa.