ELEZIONI IN COLOMBIA IN TAXI SE TUTTO VA BENE LA NAZIONALE GIOCHERÀ LA FINALE DEL MONDIALE

ELEZIONI IN COLOMBIA IN TAXI SE TUTTO VA BENE LA NAZIONALE GIOCHERÀ LA FINALE DEL MONDIALE

Domenica si svolgeranno in Colombia le elezioni per eleggere il nuovo presidente. Gli aspiranti alla poltrona presidenziale sono 5: Gustavo Francisco Petro Urrego che rappresenta la sinistra, Iván Duque Márquez che rappresenta il centro o meglio l’ex Presidente Álvaro Uribe considerato il “padrone” del Paese, Humberto de La Calle Lombana artefice della pace con il movimento guerrigliero della FARC, Sergio Fajardo Valderrama che rappresenta un centro destra e Germán Vargas Lleras attuale vicepresidente del governo uscente presieduto da Juan Manuel Santos. Questi i candidati, ma la lotta sembra mettere sul ring elettorale solo il candidato della sinistra Petro e quello del centro destra Duque. Gli altri, salvo sorprese, dovrebbero avere un ruolo marginale.Bogotà è una citta enorme, sfiora quasi i 9 milioni di abitanti e il sistema di trasporto pubblico è al collasso per cui, usare il taxi, anche se caro per la maggioranza dei bogotesi, è abbastanza normale e l’esistenza di Uber non sembra creare grandi conflitti tra i taxisti. La mattina scende fredda dalla montagna che supera i 3000 metri, avvolto in una sciarpa stendo il braccio per fermare uno dei tanti puntini gialli che risaltano nel traffico a dir poco caotico. La piccola Hyundai sembra una vecchia 500 un po’ cresciuta, per fare posto al passeggero il sedile anteriore è piegato verso il cruscotto. Un giovane che sembra uscito da un film di Almodovar mi dà il buon giorno e attiva il tassametro. Ha i capelli a cresta, un bracciale di borchie appuntite e occhiali scuri. «Vada dritto per la settima fino ad arrivare alla zona pedonale per favore». «Lei è straniero vero?». «Si». «Spagnolo?». «Può confondersi ma non offenda –rispondo con un modo di dire tipico degli uruguayani quando gli dicono che sono argentini-. Sono italiano». Sorride e mi chiede di che parte dell’Italia, rispondo che sono di Torino. «Ah la città della Juventus». A me di fede granata mi obbliga a cambiare subito il tema della conversazione. «Chi vincerà le elezioni secondo lei?». «Difficile dirlo ma io sto con Duque. Petro è pericoloso, può far succedere qui quello che succede in Venezuela». Mi mordo le labbra e lui continua: «Tanto sono tutti corrotti e allora meglio restare con quelli di sempre piuttosto che rischiare un cambiamento in peggio». «Sei il proprietario del taxi?». «No, lo condivido con un compagno, facciamo due turni di 12 ore, una settimana faccio il giorno e l’altra la notte e se va bene fra due anni finiremo di pagare l’auto». La settima si divide e sono arrivato, ovviamente non fa scattare il tassametro e mi fa pagare mille pesos in più del dovuto, circa 35 centesimi di euro. Tra tutti gli adorni punk-rock-metallari il mio sguardo cade su un rosario che dondola sullo specchietto retrovisore. Scendo e il freddo mi abbraccia.Cammino verso la Candelaria su marciapiedi pieni di gente ed enormi che in parte sono pista ciclabile e come ogni giorno rischio d’essere investito dal ciclista di turno. L’altura mi sfianca con il mio passo ancora caraibico e quando sto per avere il fiatone mi aiuto con una sigaretta. Dopo i primi giorni capisci perché i colombiani vanno forte in montagna… Il tassista del ritorno è un signore sui cinquant’anni, ha le mani nodose di chi è cresciuto nel lavoro dei campi e un accento che mi rende difficile capire cosa dice. «Allora Petro o Duque, chi vincerà?». Mi guarda dallo specchietto e dice: «Io vado con Petro, quando era il sindaco di Bogotà voleva costruire la metropolitana e ha fatto molto per migliorare la città». Un tassista a favore della metro la dice lunga sul traffico della città. «Tutti dicono che Petro è come Maduro del Venezuela ma non è vero, lui non è un militare come Chávez e ha fatto parte di un movimento guerrigliero ma di quelli seri che non mettevano bombe ma rubavano camion di cibo per distribuirlo alla gente». Tutta l’America Latina è piena di Robin Hood, penso. E poi continua: «Il nostro è un Paese ricco e viviamo nella povertà, lei vive a Chapinero ma dovrebbe vedere il sud della città per capire quello che dico. E comunque ha visto quanti indigenti riempiono le strade. Ci vuole un cambio, bisogna eliminare sta banda di corrotti e narcos che comandano il paese da sempre». Mi gocciola il naso e con un gesto forte e leggero allo stesso tempo mi passa un fazzoletto di carta e sorridendo mi dice: «Difficile abituarsi al “frigorifero” –cosi viene chiamata Bogotà- e chissà che Petro non porti anche il caldo». Sorride in maniche di camicia mentre io alzo la sciarpa quasi fin sulla bocca.Ogni giorno un taxi diverso e volti e storie differenti, ma sembra un gioco della modernità che ci ha tolto la memoria, infatti i giovani figli della televisione e di internet sognano la ricchezza e spaventati dal pericolo della miseria rivoluzionaria venezuelana, usata a più non posso dai sostenitori di Duque, tendono a votare per lui mentre le persone più adulte sperano ancora in un cambiamento che restituisca un’idea di società equa e umana. Tutti hanno un rosario che dondola al ritmo dell’auto. L’ultimo tassista forse è quello che più rappresenta l’idea della politica e delle elezioni quando mi dice: «Dal voto non mi aspetto che cambi nulla ma se tutto va bene quest’anno la nazionale colombiana può arrivare ai quarti del mondiale di Russia».Sembra di vivere tra Tomasi di Lampedusa con il suo: “Tutto deve cambiare perché non cambi nulla” e Chomsky con le due frasi: “Il potere ha vinto perché ci ha privato della memoria storica” e “La corruzione delle sinistre di Venezuela, Brasile e Argentina segnerà la vittoria della destra nei paesi dell’America latina”.Ci resta la speranza di vedere la Colombia giocare la finale del Mondiale di calcio.