DA TABRIZ, IN MOTO VERSO L’ ARMENIA

DA TABRIZ, IN MOTO VERSO L’ ARMENIA

Poi non ce l’ho fatta. Uscendo da Tabriz il primo cartello mi diceva, Europa 300 km, Armenia 225 km, ed era una provocazione. Poi sulla strada per Marand le indicazioni di Jolfa, Jolfa, Jolfa… Insomma, sono in Armenia. Scrivo sapendo che almeno per stasera non potrò inviare nulla. Le vacche dell’Hotel Mila mi sono appena passate davanti scaricando un paio di fatte che allietano la sera assieme all’acqua che scorre alle mie spalle. Ho appena mangiato una zuppa di patate da leccarsi i baffi, assieme a sottaceti fatti in casa, insalata pomodori e cetrioli e un pezzo di formaggio acido da paura, fatto con il latte della mucca dell’hotel.L’ Armenia l’ho intravista. Sono a quindici chilometri dal confine e sono le 20,40. Fedele al mio principio di trovar casa prima del buio mi sono fermato al primo posto utile. Camera decente, senza bagno. Siamo in campagna. Ma per arrivarci….La mattina era stata ok. Avevo lasciato Tabriz e salutato l’autista di taxi diventato amico mio anche se non gli ho mai fatto fare una corsa. Un’ora e mezzo dopo ero a Marand e al dunque: destra o sinistra? Per una volta ho scelto destra, Armenia. Pody era contenta. In un punto d’ombra lungo la strada le avevo anche controllato l’olio (incredibile, non ne consuma niente) e provato a fargli la pulizia del paraolio sinistro della forcella così come mi ha consigliato Claudio Piccinini, ma non con un pezzo di lastra rx ma con la lamella dello spessimetro da 0,10. Mmmm…non mi sembra che abbia dato risultati.Comunque sia, alle 11 ero a Jolfa. La cittadina è preceduta e seguita da cartelli che per chilometri ti dicono che sei nella “Free trade zone of Jolfa”, una sorta di territorio iper militarizzato dove si incrociano i confini non tranquilli di Iran, Azerbajgian, Armenia, Nagorno Karabak e un pezzo di Azerbajgian che però è separato dal resto. Tu ci entri e le montagne ti divorano. Già, ma dove devi entrare? Niente cartelli, niente di niente. Finché un signore che aveva capito tutto mi ha detto di seguirlo.Il corso del fiume Aras è di una bellezza da togliere il fiato. I primi monasteri armeni lo sovrastano abbarbicati a rocce bruciate. Un cartello avverte: monastero di Santo Stefano, patrimonio dell’umanità. Ma siamo ancora in Iran. Dove sarà mai il confine? L’automobilista che mi faceva da guida me lo indica sicuro: vai di là. E io passo per un cancello che chiude o apre la strada, passando davanti a due soldati armati. Gli faccio: Armenia? E loro alzano il dito, Armenia, Armenia…L’Aras è uno spettacolo. Verdissimo e vivace in mezzo a una arsura spietata, sbatte contro le rocce, si arriccia, spumeggia, poi si placa in curve estese, lunghe, silenziose. Poi si strozza in gole che fanno alzare anche il livello della strada. In su, in giù, fino allo spalancarsi di un lago. E qui, sulla mia mano, trovo un baracchino che cucina alla griglia il salmone appena pescato, salmone selvaggio. Come non fermarsi? Due euro e mezzo di salmone mi sono mangiato, uno sproposito. Ne ho persino lasciato tre pezzetti. Attorno tutti gli iraniani mi offrivano questo e quello, compresa una ragazza, bellissima, che dopo un grande sforzo ha articolato un “what are you?”. Ecchè ne so bimbabella che sono. Piuttosto dimmi tu, è la strada per l’Armenia?Noooo, non era la strada giusta. Ero finito a 80 km da Maku! Mannaggia alla paletta. Insomma ero a un passo dall’ingresso in Turchia.L’ultimo sforzo vince, l’ultimo passo è quello buono, proprio quando stai per cedere…come quando lavoravo: l’ultimo campanello, l’ultima domanda….E allora indietro, di nuovo, ora sotto il sole a picco, fino a Jolfa, per prendere la via giusta, quella per Noorduz, col caldo che stordisce, che poi non è quella ma è quell’altra, in mezzo alle montagne, sempre in mezzo alle montagne nude come denti di lupo.E finalmente… La prima guardia iraniana di confine la fa breve, controlla tutto e dice vai. Dopo dieci metri un braccio esce dal finestrotto di un container e ricontrolla tutto. Intanto io raffreddo gli entusiasmi di una coppia di francesi che pensavano di fare un giro in Armenia e poi rientrare per il loro volo da Tabriz. “Guarda – fo a lui – che se esci bruci il visto e per rientrare te ne serve un altro”. Stavano per combinare un bel casino. Poi mi chiama un impiegato doganale che mi offre delle ciliegie. Un impiegato fantastico, meraviglioso. Fra timbri, firme e scartoffie mi ridava sempre tutti i documenti per poi andare in un altro ufficio, dove c’era di nuovo lui. Comunque in una ventina di minuti ero fuori dall’Iran, giusto il tempo di chiacchierare con un’altra coppia, stavolta olandese, diretta all’incontrario in jeep. “Cosa ci consigli? Non abbiamo un piano di viaggio”. “Beh, il tour classico, Esfahan, Shiraz, Yazd…”. Lei fa: “Esfahan? Dici che vale?”. Beh ragazzi, ciao eh, saluti e baci.Poi l’Armenia. La prima cosa che vedi sono gipponi verde oliva, profili di vecchie Lada, scarcassate Niva, Uaz. Poi vedi la prima guardia che prende i tuoi dodumenti e ci si piega sopra per un numero infinito di minuti. Vedi la sua testa china davanti alla finestra del suo baracchino e non sai se si sia addormentato. Ti viene la tentazione di dirgli, ehi sveglia. Ma no, lui sta lavorando. Sta facendo una pratica di cui poi mi dà il numero di riferimento preso dal libretto della moto: numero del motore? numero del telaio? della targa? No, il numero di una nota a piè di pagina, cioè un numero che non significa niente. Ok, vado? Vai.Niente affatto. Non sto a dirvi quanti controlli ho avuto ancora. Quanti agenti mi hanno chiesto il passaporto dopo che un altro me lo aveva appena dato. Non sto a dirvi lo sconforto alla domanda della giovane agente dalle unghie rosa e col segno del piercing sul labbro inferiore (un po’ scentrato verso sinistra però ragazza) quando mi ha chiesto il peso della moto e il significato della voce k sul libretto (“numero di omologazione in caso ci sia”). A un certo punto ho protestato: “Manco in Iran!”. Il superiore della ragazza mi ha guardato brutto: faccia da soviet, tutto gallonato. Gli ho spiegato: “Qui famo notte e io dove dormo? in mezzo alle montagne?”. Lui mi ha riguardato brutto. Lei mi fa: “Le abbiamo dato un visto per un mese”. Io: “Tanto fra tre o quattro giorni sono fuori”. Mamma mia quanto mi hanno guardato brutto, tutti e due!