COSA CI SI POTEVA ASPETTARE DA BODYGUARD?
Con un titolo così, cosa vi potete, ci potevamo aspettare da Bodyguard? Anche volendo tapparsi le orecchie e mettendosi paraocchi da vecchio ronzino, la cosa funziona che se metti un poliziottone di bell’aspetto a fare la guardia del corpo di un importante politico (che è anche una gran bella donna, che riempie con classe e carisma il vuoto lasciatole dagli anni che passano), beh, su, non è che ci vuole la zingara per capire che prima o poi i due passeranno dalle schermaglie verbali alle ore liete. A complicare (si fa dire) le cose c’è il fatto che il poliziottone è anche un eroe dei nostri tempi, per citare Monicelli, anche se al contrario. Gli capita, mentre è sul treno coi suoi figli, di beccare due terroristi: il maschio che fa il vago e sua moglie rinchiusa nel gabinetto del vagone con addosso un giubbotto esplosivo. Ora, il poliziottone è stato in guerra, sa quello che può succedere se la donna si fa esplodere e, siccome è bono de core, invece di farla abbattere dai cecchini appostati all’esterno, ci parla finché non riesce a convincerla a desistere dall’insano proposito. Viene quindi promosso a guardia del corpo del ministro dell’Interno: vale a dire l’avvenente signora di cui parlavamo prima. E qui si apre l’annosa questione del “ti beccheresti una pallottola per uno che non stimi” (per decenza ci limiteremo a citare Nel centro del mirino, Wolfgang Petersen, 1993). Ora, il poliziottone, oltre a essere bono di core, è ligio al dovere ma i suoi rancori li ha eccome: abbiamo già detto che è stato in guerra, abbiamo anche capito che la cosa non è che gli sia piaciuta tanto. Ed ecco che gli tocca star lì a guardare il corpo di quella che ha mandato lui e i suoi compagni a schiattare in un conflitto che lui riteneva (eufemismo) evitabile. Lui, non lei. Anzi, lei se ne vanta pure, ‘Sta disgraziata, pensa lui.
