IL VENEZUELA, L’ITALIA E L’11 SETTEMBRE DELLE “LINGUE BIFORCUTE”

In America latina – continente che dall’inizio di questo secolo ha dettato il passo all’Europa, culla del movimento operaio – nel mirino vi sono tre punti fondamentali per le speranze di futuro del socialismo: la rivoluzione cubana, vittoriosa e indomita dal 1959; la rivoluzione sandinista, riemersa faticosamente dalle catacombe in cui era sprofondata dopo il ritorno del neoliberismo in Nicaragua, e ora di nuovo a rischio di essere ricacciata nel baratro; e la rivoluzione bolivariana, trincea di quel “socialismo del XXI secolo” che ha voluto rinnovare quello del secolo precedente cambiandone la definizione ma non il progetto e la finalità. In Europa, e specialmente in Italia – tornata spaventosamente indietro dal lungo ciclo di lotta rivoluzionaria, anche di guerriglia, degli anni 1970 -, sembra non ci sia fine al peggio. Sembra, addirittura, che a cantarle chiare siano componenti xenofobe o falsi sovranismi corporativi, che turlupinano le masse con la peggiore demagogia, proprio mentre affermano di essere “liberi da tutte le ideologie”. Vale, invece, ancora, quanto scriveva Marx nel 1859: “Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. L’ideologia è, perciò, falsa coscienza, deformazione della realtà per mascherarne le vere contraddizioni. A determinarla, sono le idee della classe dominante: che si impongono con modalità proprie a seconda del periodo storico, vengono presentate come universali e necessarie alla stessa vita delle classi popolari. Un processo particolarmente sperimentato nelle cosiddette “società complesse” e soprattutto a fronte della concentrazione monopolistica dei media in pochi conglomerati che rispondono ai medesimi interessi. Quale spazio resta, infatti, a chi voglia distogliere i dominati dal marciare sotto false bandiere quando, in Italia, quella che avrebbe dovuto essere la sinistra ha sostenuto e sostiene politiche prone ai poteri forti e che, quando avrebbe potuto governare, si è inginocchiata ai diktat del Fondo Monetario Internazionale? Quale spazio resta a chi vuole ricostruire un blocco sociale anticapitalista quando a difendere la “sovranità” nazionale si erge quella destra xenofoba che condurrebbe i settori popolari verso il baratro? Non c’è tempo per attendere che le masse facciano esperienza da sé. Le maschere vanno strappate subito. Il leghista che tuona contro l’Onu quando l’Alta Commissaria Michelle Bachelet preannuncia l’arrivo dei suoi ispettori in Italia, è lo stesso il cui governo avalla le sanzioni dell’Europa contro la Repubblica bolivariana del Venezuela: un paese in cui la parola sovranità non è un esercizio per fascisti, ma un modello intenzionato a coniugare pace con giustizia sociale. In questo momento, proprio in questa data simbolica dell’11 settembre, è in Italia – ricevuto in Parlamento dal governo su invito del “progressista” Pierferdinando Casini -, uno di quei personaggi dell’opposizione venezuelana, che girano per chiedere a gran voce una “soluzione” analoga a quella del Cile nel 1973: Omar Barboza, presidente di quel parlamento venezuelano, reso inaffidabile dalle numerose decisioni anticostituzionali prese (una per tutte, la richiesta di invasione armata del proprio paese). Un personaggio che si è già recato in Vaticano, dove l’ultraconservatrice Conferenza episcopale venezuelana cerca di portare anche il papa Bergoglio nel campo di chi vuole il golpe contro Nicolas Maduro. Attraverso la falsa coscienza imposta dalle classi dominanti, avanzano le guerre di nuovo tipo, che prevedono il discredito dell’avversario e il capovolgimento dei simboli: in maniera da trasformare in “dittatore” un presidente legittimo, per fare spazio a dittatori veri. Il capitalismo parla con “lingua biforcuta”, per dirla con i nativi americani che lo hanno scontato con gli Usa in prima persona. E così, quello stesso Segretario generale di Stato Usa, Henry Kissinger, che aveva preparato il golpe cileno, riceverà il premio Nobel per la pace: il 16 di ottobre del 1973, un mese dopo il colpo di stato. E così, il signor Manuel Santos, ex presidente della Colombia, dopo aver ricevuto il Nobel per la pace, ha chiesto di entrare nella Nato e poi – come hanno riferito sicure fonti dell’intelligence colombiana – si è adoperato per favorire il colpo di Stato contro Maduro, con tanto di droni esplosivi. E così, mentre gli Usa impediscono che Israele venga portato per i suoi crimini alla Corte Penale Internazionale, al contempo manovrano perché a quel tribunale venga deferito Nicolas Maduro, che ha commesso il solo “crimine” di non aver voluto genuflettersi all’ambasciata nordamericana. E così l’Unione Europea conferisce il Premio Sakarov per “la libertà” a personaggi come il giovane venezuelano Lorent Saleh, un nazista dichiarato che voleva far saltare in aria le discoteche. Il doppio discorso dell’imperialismo, mentre si erge a paladino della legalità internazionale, non si fa scrupolo di silenziare con arroganza le voci dissonanti: sia quando provengono dalle vittime del golpe pinochettista – com’è accaduto a Pablo Sepulveda, che ha cercato inutilmente di far conoscere nel Cile di oggi la verità del Venezuela -, sia quando provengono da file progressiste, dagli stessi incaricati Onu. Varrebbe la pena leggere la dettagliata relazione dell’ACNUDH rispetto al Venezuela. L’esperto indipendente Alfred-Maurice de Zayas, inviato dall’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il 30 agosto ha escluso categoricamente che il Venezuela – come già aveva fatto la Fao a marzo del 2018 – possa essere incluso nei 37 paesi del mondo in crisi umanitaria, prima di tutto a livello alimentare. Il documento, redatto nel corso di una visita compiuta tra il 26 novembre e il 9 dicembre del 2017, dà conto degli incontri realizzati con tutte le parti politiche e i settori sociali: rappresentanti dei partiti di opposizione, delle associazioni dei commercianti, delle Ong, della chiesa, dei familiari dei detenuti di opposizione, dei familiari di tutte le vittime delle proteste violente contro il governo. L’esperto rileva come “negli ultimi sessant’anni, si sono ingaggiate guerre economiche non convenzionali contro Cuba, Cile, Nicaragua, Siria e Venezuela per far sì che le loro economie crollassero, per facilitare un cambiamento di governo e imporre una prospettiva socio-economica neoliberista al fine di screditare i governi in questione”. Nel caso del Venezuela, Zayas rileva che “gli effetti delle sanzioni imposte dai presidenti Obama e Trump e le misure unilaterali di Canada e Unione Europea hanno aggravato direttamente e indirettamente la scarsità di medicine”, contribuito a far morire molte persone e pertanto le sanzioni devono essere considerate alla stregua di crimini contro l’umanità. All’esperto indipendente, il Venezuela bolivariano pare, insomma, come “una cittadella assediata” ai tempi del Medioevo.