INDIA MON AMOUR. CHENNAI E MADURAI, DEI TEMPLI E DELL’IMMENSO CUORE DEI GIOVANI INDIANI 3

INDIA MON AMOUR. CHENNAI E MADURAI, DEI TEMPLI E DELL’IMMENSO CUORE DEI GIOVANI INDIANI 3

Chennai – Entro in uno dei numerosi templi dell’enorme città, capitale del Tamil Nadu, quella che una volta si chiamava Madras, sei milioni di abitanti, dove il caos è il più caotico di tutta la nazione e dove ogni quartiere è un mondo a sé stante, tanto per avere una meta, trovare un po’ di fresco e un po’ di silenzio e quiete. Non ho scarpe perché si devono lasciare fuori e mi siedo sotto una divinità dal nome scritto in indi, sia per raccogliere le idee, sia perché sono sfinita dai continui “assalti” di venditori di frittelle, cocchi, ghirlande votive di fiori, zucchero filato rosa, ventagli, banane fritte e della più disparata mercanzia e richieste di elemosina. Un attimo di profonda e spaesata tristezza, nella prima settimana in solitaria (che poi – imparerò ogni giorno – in India da soli non si è mai) in un paese così diverso dal nostro, ci può stare vero? Poi accade che arriva una numerosissima famiglia, tutti quanti vestiti gialli e rossi, evidentemente romanisti, e mi fa un sacco di feste, mi accerchia, vuole assolutamente farsi foto con me, manco fossi Madonna! L’unico che capisce l’inglese e sa usare i social e c’ha pure Facebook, è Vignesh Appu, scugnizzo dagli occhi vispi e nerissimi e l’aria di chi andrà lontano. Diventiamo amici in un nano secondo, fa cento domande e traduce le mie risposte per tutti i membri della famiglia e tutti vogliono farsi le foto con me. Neppure fossimo a un matrimonio e io fossi la sposa…prego con le sorelle e cugine.Ora con i cugini e i fratelli, ok, avanti la mamma, adesso le zie…ah c’è pure la nonna!E, dulcis in fundo, con l’orgogliosissimo capo famiglia. Le invierò al piccolo Vignesh che provvederà poi a smistarle a tutti i componenti della suafamily. Beh…che dire se non “Grazie famiglia giallorossa per avermi distratta, dissolvendo la malinconia! Madurai – Sxhuahib ha 22 anni ma ne dimostra di più per maturità, cultura e saggezza. E’ uno dei ragazzi della regione del Kashmir (sì sì, proprio quella da dove arriva quella lana soffice, sottile e leggera, ma caldissima), che in Tamil Nadu, a Madurai precisamente, insieme ad altri ragazzi fa parte della cooperativa dell’immenso, meraviglioso negozio,Museum Company, esattamente di fronte a una delle quattro entrate della maggiore attrattiva di Madurai, il tempioMeenakshi Amman. Entro in questo negozio-museo, per curiosare, ma anche per avere un po’ di tregua da un sole che ha raggiunto lo zenit e dal caldo che mi ha appiccicato la t- shirt addosso. Il negozio ha un’infinità di stanze, tutte freschissime e suddivise su tre piani, in ognuna delle quali si possono acquistare e ammirare un numero esagerato di tesori di artigianato tipico del Kashmir: gioielli e bijoux con pietre dure, abiti, stole, sciarpe, calzature, mobili, soprammobili, olii profumati e da massaggio, tappeti, statue di pietra di divinità indiane di ogni grandezza e tante altre meraviglie, con prezzi che variano dall’equivalente di un euro per piccoli souvenir, fino a migliaia di euro per grandi meraviglie, come un dondolo da giardino in legno e madreperla, intagliato a mano con i ghirigori tipici della regione del Kashmir, piuttosto che un enorme tavolo rettangolare in avorio con otto sedie, tutti intarsiati a mano. I ragazzi sono gentilissimi, mi offrono l’immancabilechaibollente, ma giacchè rifiuto perché se bevo un altrochaibollente mi squaglio come ilburro gheeindiano, mi portano una coca cola ghiacciata e mi fanno accomodare e alleggerire del borsone con l’attrezzatura fotografica e altri pacchettini di acquisti precedenti. Mi guidano suadenti e premurosi verso le loro incredibili mercanzie “Solo vedere non per forza comprare” mi tranquillizzano in un italiano improbabile, ben sapendo che nessuno resiste alla tentazione di acquistare qualcosa. E’ ora di pranzo e mi invitano a mangiare con loro sulla sommità dell’edificio, all’aperto, ma all’ombra di una tettoia. Mi trattano come fossi l’ospite d’onore, loro mangiano con le mani, come tutti in India, ma a me porgono una forchetta di metallo, cosa rara in quasi tutti i locali indiani poi, quando voglio aiutare a sparecchiare mi fermano, gentili e risoluti, e ci pensano loro. Iniziamo a chiacchierare di tante cose, poi gli dico che sono una giornalista e sono in India anche per fare un réportage, allora mi invitano a salire su una lunga scala di legno auto costruita, ancora più in alto, dove – mi dicono – potrò scattare magnifiche foto per il mio réportage. Insomma…mi pare un po’ pericoloso, che faccio, mi fido? Mi fido e salgo. In effetti la vista da quassù toglie il fiato: sovrasta addirittura l’imponente tempioMeenakshi Amman, il cielo è di un azzurro scintillante e sotto di noi le persone e i tuk tuk e i venditori e i mendicanti e le biciclette e i risciò e tutta Madurai, appaiono lontani. Poi ridiscendo, con due dei padroni di casa che tengono salda la scala. Posso non acquistare almeno tre sciarpe di cachemire, un paio di tuniche di seta a disegni cachemire e qualche altro souvenir? Il principale del negozio mi regala anche un piccolo elefante portafortuna che, una volta a casa, diventerà il portachiavi per le chiavi della mia auto. Sxhuahib mi avverte che per entrare nel tempio dovrò lasciare le scarpe e, per non confonderle tra le altre migliaia ammucchiate fuori, posso lasciarle da loro e poi mi appoggia una bellissima stola di seta sulle spalle perché “Non puoi mica entrare con le braccia scoperte” mi dice. E aggiunge “Se vuoi lascia qui le cose che non ti servono, non le toccherà nessuno”. Mi fido degli occhi e del sorriso di Sxhuahib e così lascio tutta la mercanzia acquistata, i pacchetti di prima, il borsone e mi avvio. Per visitare tutto ilMeenakshi Ammanci vuole più di un’ora, si entra scalzi e senza calze, senza macchine fotografiche né accendini, dopo aver oltrepassato un metal detector, guardie armate ed essere stati iper perquisiti da guardie femmine per le femmine e severissime guardie coi baffi per i maschi. Siccome siamo all’antivigilia dell’ultimo dell’anno, fuori dal primo tempio, ma sempre dentro le mura, un uomo sta lavando un elefante per la cerimonia e processione imminenti, quando i pachidermi sacri sfileranno bardati a festa attraverso un bailamme inimmaginabile di colorata umanità. Dentro il percorso è obbligato e controllato a vista da uomini in divisa e con mitra, che talvolta urlano a chi va contro corrente. Il tempio è affollatissimo, ma io tutta questa sacralità non la percepisco affatto, sento invece odori di fritti vari misti a incensi, misti all’afrore di sudore, misti a quello di fiori lasciati marcire. Ci sono chioschetti che vendono leccornie fritte e avvolte in foglie di banana e tra un tempio e l’altro (qui i templi sono fatti di tanti templi, un po’ come le matrjoske), bancarelle di incensi, bijoux , immaginette di mille divinità, incisioni in legno di sandalo, cestini di frutta per le offerte, polveri colorate e ghirlande di fiori da offrire agli dei e con cui segnarsi la zona del terzo occhio. La più quotata tra tutte le divinità, e secondo me anche la più simpatica e amichevole, è certamenteGanesh, quello con il faccione da elefante, tanto per capirci. In alcune zone delMeenakhsi Ammansono ammesse unicamente le persone di religione indù: io ci ho provato a confondermi con loro, ma mi hanno scoperta subito e rispedita nel percorso per turisti, uffa! Intanto famiglie, coppiette di innamorati e pensionati solitari sgranocchiano ciambelle, polpette di latte condensato e noccioline,lakmi, riso e dolcetti fritti avvolti in foglie di banano e si fanno continuamente selfie (gli indiani sono dei veri patiti dei selfie, molto più dei normali adolescenti europei), in un vociare collettivo che rende tutto assai fuorviante e inusuale per chi è cresciuto col silenzio delle chiese cristiane. Mi viene in mente la scena di Jesus Christ Superstar, quando Ted Neeley urlando caccia via i mercanti dal tempio. Mi aspetto di vedereGanesho una delle altre innumerevoli divinità alzarsi dalla sua postazione e cacciare via in malo modo tutta questa massa di venditori e popolo in gita domenicale. 
Gli stimoli visivi sono infiniti e non si sa più dove guardare. Per terra, sui lastroni di pietra, sono disegnati deimandalae tutto – travi, soffitti, colonne, edicole e teche che proteggono le divinità – è intagliato, decorato e molto colorato. Esco, perchè non ne posso più di odori forti e rumori. Fuori la temperatura è di trentatré gradi. Quella percepita ha un tasso di umidità molto più alto. Gironzolo nei dintorni del tempio, sempre “scortata” da chi vuole vendermi ghirlande di fiori bianchi, gialli e rossi-polveri colorate-scarpe-borse-scialli-frittelle-chai-spezie-olii-magliette-statuette sacre e non-elefanti di ogni materiale e chincaglierie varie. Provo a prendere un po’ dicashin un Atm (bancomat), ne giro più di uno e …niente non riesco con nessuna delle carte né col bancomat. Torno sconsolata e preoccupata nel negozio di Sxuhaib ed espongo il problema. E succede una cosa che mi lascia a bocca aperta e che suggellerà per sempre l’amicizia con questo delizioso, incredibile, meraviglioso ragazzokashmirche non aveva neppure più lo scopo di farmi spendere soldi perché io le mie spese le avevo già fatte. Chiede un permesso al capo e uno scooter in prestito a uno dei suoi amici e mi dice “Vieni con me”. Salgo dietro di lui, ovviamente nessuno dei due ha il casco e lui, intuendo la mia paura su una moto in una città (anzi in un intero Paese) dove tutti guidano come se gli stesse prendendo fuoco la casa con tutta la famiglia e loro fossero gli unici in grado di spegnere l’incendio, procede con la massima prudenza e delicatezza, evitando buche, pozzanghere di liquidi non meglio identificati, tuk tuk che invece suonano il clacson e ci maledicono. Visitiamo una dozzina di Atm senza che nessuno si degni di elargirmi una rupìa. Sono quasi disperata, “E ora come faccio Sxuhaib? Domani devo partire da qui, mica posso stare senza soldi!” Lui allora ha un’idea, fa una telefonata, poi mi dice, “Tranquilla, non partirai senza soldi!”. Stavolta guida più veloce, sfioriamo due tuk tuk e urtiamo lo specchietto di un’auto, svicoliamo rapidi in un traffico che in confronto il Muro Torto nell’ora di punta è il deserto dei Tartari e io mi chiedo come cavolo sono finita in sella a una moto nel traffico folle di una città incasinatissima, dall’altra parte del mondo, aggrappata come un’edera rampicante a un ragazzino sconosciuto che dribbla pedoni e cani randagi. Però…ragazzi, mi sto divertendo un mondo, mi sembra di essere tornatapischella, quando ancora i caschi sulle moto non erano contemplati e la bellezza della due ruote era avere il vento nei capelli. Finalmente arriviamo in una piazza trafficatissima, pullulante di gente e botteghe, lui si infila in un negozio di telefonia e io lo seguo, quindi parla con il tizio dietro alla cassa, mi dice di dargli la carta e mi avverte che il negoziante si prenderà una piccola percentuale, il costo del cambio. Esco dal negozio con un mazzo di rupìe, poco più di cento euro, ma sembrano tanti di più. Abbraccio Sxuhaib e lo ringrazio trenta volte, ha fatto tutto questo per me, è stato davvero grande! Gli chiedo perché, visto che fino a cinque ore prima neppure mi conosceva. Mi risponde perché ero in difficoltà e perché è giusto aiutare la gente in difficoltà. Già…che domande…Ci scambiamo i numeri di telefono e i contatti Facebook, gli dico se posso offrirgli un aperitivo più tardi, così per ringraziarlo. Mi risponde che deve tornare al lavoro e che casomai…vediamo, ci sentiamo più tardi. In realtà quell’aperitivo non l’abbiamo mai più preso, ma ci scriviamo almeno due volta alla settimana e…senti Sxuhaib, quando puoi, conosco un posto panoramico sul mare di Ostia Lido-Roma-Italia, dove fanno un aperitivo delizioso, ce lo prendiamo là prossimamente? Il tuk tuk che mi riporta verso l’albergo mi lascia sul marciapiede opposto, sono sfatta come una pesca matura, ho i capelli da matta e necessito di una doccia. Scendo pago e, ancora una volta, il popolo indiano mi regala emozioni così forti che sento il cuore scoppiarmi. Dunque…c’è un frastuono infernale di indian music e una specie di dee jay che grida cose che non capisco, trasmette da una sorta di radio libera in una …boh…chiamiamolapostazione all’aperto. È un attimo e una trentina di bambini che aumentano vertiginosamente mi accerchiano gaudenti e il dee jay, al secolo Karl Maxson, mi prende sottobraccio e mi fa delle domande in anglo indi che non capisco. Frastuono, colori, musica alta, veicoli che strombazzano, mamme che mi mettono i pupi in braccio e tutti che vogliono farsi i selfie con me. E questo tutto contemporaneamente. Manco fossi Michael Jackson redivivo o il Papa (che qui pare non sanno bene chi sia). Il dee jay mi spiega che, essendo quasi Capodanno, c’è una festa (e questo l’avevo capito), vuole che salga sul palco, che dica qualcosa e che danzi per loro. Ma è pazzo?!? Per chi mi ha preso? Non sono mica Jennifer Lopez! Comunque è impossibile sottrarsi e allora salgo o, meglio, vengo praticamente trasportata sul palco, prendo il microfono e improvviso un breve discorso che comprendeHappy New year!almeno sei volte, e quanto sono carini gentili e che sono orgogliosa e felice e molto partecipe di cotanta gioia e che meravigliosa e colorata gioventù e vabbè s’è fatta una certa… quindi ancora grazie per l’immeritata accoglienza e tanti baci ai numerosi pupi ePeace and LoveeHappy New Yearancora una volta,Thank you very muchebye bye! Scendo scortata come Laura Pausini e tutti vogliono toccarmi – e poi ‘sta fissa dei selfie…Tutti mi presentano sorelle, mamme, figli, nipoti, nonne, zie e cognate. Ormai ho due guardie del corpo fisse che tengono a bada un sacco di mani. Il dee jay mi offre un cono di sola crema sciolta e stucchevole (mi spedirà al bagno in dieci secondi? Che faccio lo mangio o me lo faccio distrattamente cadere a terra e…ooops che peccato è caduto! E no, che poi certamente me lo va a riprendere…) e mi invita a presenziare alla gara della pertica, in cui dei baldi concorrenti a torso nudo, in una sfida molto partecipata e molto orgogliosamente maschia, devono arrivare a conquistare una pallina gialla che sta in cima alla pertica, vincendo così seimila rupie, circa settanta euro, una bella cifretta che fa gola a molti. Ma hanno un handicap: vengono innaffiati continuamente e quindi pertica e corpi diventano molto scivolosi. Il dee jay mi chiede se voglio essere io a consegnare il premio (oddio… anche la madrina no!). Tra una manche e l’altra di questoGiochi senza frontiereindiano, ricominciano tutti a invitarmi a ballare. Ma io senza le altre ragazze dico che non voglio, solo che nessuna si decide, sono tutte timide e vergognose, perché capisco che deve essere sconveniente per una femmina ballare. Ma alla fine qualcuna prende coraggio, mi si affiancano una nonna (del dee jay) e due bambine. Mi concentro sulle bimbe evitando i ragazzetti sguaiati e improvvisiamo una Bollywood Dance che ci sta tutta! E’ la pre-notte di Capodanno più strana della mia vita, sicuramente la più afosa, e nell’aria si respira un’energia incredibile, un’energia che fa sentire vivi e tutt’uno col prossimo e, forse, con l’intero cosmo. Ora, io lo so che voi non ci credete, non ci crederei neppure io se non l’avessi vissuto, ma vi giuro che è andata esattamente così! Alla fine ho distribuito gli ormai famosi pastelli colorati che mi ero portata da Roma e ho chiacchierato con un gruppo di sorelle dell’importanza dello studio per poter essere donne indipendenti in futuro (Indira, esci da questo corpo!). Dopo un qualcosa che ha tutta l’aria di un comizio politico, due poliziotti intimano la chiusura della festa con quel…solito garbo tipico dei poliziotti indiani. Peccato perché io che son festaiola e qui sto in crisi d’astinenza, cominciavo proprio a divertirmi. Il dee jay Karl Maxson mi invita a casa sua a conoscere la famiglia. Temo voglia chiedermi in moglie davanti ai parenti, ma potrei essere sua madre, così ci avviamo in moto mentre gli amici lo fotografano come fosse un eroe nazionale. Dopo le presentazioni, un po’ di convenevoli e un bicchiere di aranciata che mi lascia la lingua arancione, vedo un quadretto con una Madonna col Bambino che protegge tutta casa e chiedo, con discrezione. Sì, sono cattolici, orgogliosamente cattolici, e io penso che è proprio bello che in un Paese possano convivere indù, sikh, atei, cattolici, buddisti e tutta un’altra serie di religioni e fare festaall together. Io, sinceramente commossa, regalo alla mamma (ha otto anni meno di me, ma ne dimostra molti di più) la mia stola arancione come l’aranciata di prima, facendomi promettere che ci faranno un giro pure le altre figlie che la guardano con interesse. Saluti con i lucciconi agli occhi e il dee jay Karl mi riaccompagna sotto l’albergo. Che dire? Gli occhi e i sorrisi di tutti loro, dei bambini soprattutto, mi ripagano delle innumerevoli problematiche che incontro ogni giorno. Dalla vostra Bollywood star per oggi è tutto.