E ORA? CHE FARE?
È successo. Come ho scritto qualche tempo fa, alla verde età di 61 anni ho affrontato la monumentale impresa di leggere “Guerra e pace” di Lev Tolstoj. Ci avevo provato a vent’anni, poi a quaranta: sempre respinto dalla mole, dalle prime pagine in francese, dal ritmo tolstojano così diverso da quello nervoso e concitato di Dostoevskij che invece a vent’anni mi aveva stregato. Sfidato dalla nuova edizione Einaudi tradotta da Emanuela Guercetti, ci ho riprovato. Ce l’ho fatta. L’ho letto tutto. E ora sono disperato perché so che, nei pochi o tanti anni che mi restano, non leggerò mai più nulla del genere. Mi toccherà rileggere “L’Iliade”, o ripercorrere per l’ennesima volta “L’Orlando furioso” (non che mi dispiacerebbe…). “Guerra e pace” è un libro immenso, probabilmente il più enorme e coraggioso che sia mai stato scritto. Coraggioso perché ci vuole un’audacia leonina (d’altronde “Lev” significa “Leone”…) per iniziare un romanzo con lunghi dialoghi in francese fra personaggi del tutto secondari, in attesa che entri in scena Pierre Bezuchov (per Natasha Rostova e per il principe Andrej Bolkonskij ci vuole pazienza); e per finirlo con una serie di capitoli filosofici, sull’idea di Storia e sul ruolo degli uomini “grandi” e “piccoli” nella Storia, che sospendono la narrazione e fanno terminare il romanzo come se fosse un saggio (Proust, che conclude la “Recherche” con “Il tempo ritrovato” che è di fatto un trattato filosofico, deve tutto a Tolstoj). Insomma, “Guerra e pace” è qualcosa di gigantesco, che ogni essere umano dovrebbe trovare il tempo di incontrare nella sua vita. E comunque, a un certo punto, il compagno Tolstoj descrive addirittura la Resistenza. Leggete: “Una delle piú tangibili e vantaggiose deviazioni dalle cosiddette regole della guerra è l’azione di uomini isolati contro uomini che si stringono compatti. Azioni di questo genere si verificano sempre quando una guerra acquista un carattere popolare, e consistono in questo: anziché riunirsi in massa contro una massa, gli uomini si sparpagliano, attaccano alla spicciolata e fuggono non appena vengono attaccati da grandi forze, per poi tornare ad attaccare quando se ne presenta l’occasione. Questo fecero i guerriglieri in Spagna; questo fecero i montanari del Caucaso; questo fecero i russi nel 1812. La guerra di questo tipo fu chiamata partigiana e si credeva, chiamandola cosí, di averne spiegato il significato. Invece la guerra di questo tipo non solo non rientra in nessuna regola, ma è diametralmente opposta a una regola tattica nota e riconosciuta come infallibile. Questa regola dice che chi attacca deve concentrare le sue truppe per essere più forte del nemico al momento dello scontro. La guerra partigiana (che ha sempre successo, come dimostra la storia) è diametralmente opposta a questa regola”.
