CRESCENZAGO, DA RIVIERA DI MILANO A BORGO “SIRONIANO”

CRESCENZAGO, DA RIVIERA DI MILANO A BORGO “SIRONIANO”

Il borgo diCrescenzago,propaggine ora del nord-est di Milano, era un tempo comunità autonoma con il proprio municipio e tutti i rituali dell’amministrazione locale, orgogliosa della propria identità storica e culturale. Come altri comuni diviene periferia con il Regio Decreto del 10 settembre 1923 che sancisce la sua l’aggregazione a Milano bisognosa di espandersi. Da piccolo centro, dunque a “terra di confine” della città che si avvia a diventar metropoli. Varie pubblicazioni di storia locale hanno illustratoquesto sito stretto tra Martesana e Parco Lambrosede di un ricovero per la peste (lazzaretto) eabitato fin dalla preistoria,come dimostrano i reperti ritrovati a Cascina Cattabrega. La sua Chiesa Rossa, gioiello del Romanico, fu per lungo tempo sito della spiritualità agostiniana e anche sepolcro diMatteo Visconti,il Magno signore di Milano. Il Naviglio giunse nel borgo nella seconda metà del Quattrocento, realizzato dagli ingegneri idraulici ducali con il contributo del genio diLeonardo,e fu per Crescenzago un grande impulso al suo sviluppo, che permise al luogo di rendere florida la sua economia agricola e commerciale e divenire in seguito luogo di una lunga tradizione dibon vivre, ove fiorì tra Martesana e Lambro la “Riviera di Milano” posto di svago e di delizie dei nobili milanesi. Poi nel Novecento distretto industriale presto preda del degrado ambientale dove i prati spesso erano bianchi anche a giugno e dove un poeta ci si meravigliava che vi sorgesse il sole: Tu forse non l’avevi mai pensato,Ma il sole sorge pure a Crescenzago.Sorge, e guarda se mai vedesse un prato,o una foresta, o una collina, o un lago;E non li trova, …Pompa vapori dal Naviglio asciutto.Dai monti il vento viene a gran carriera.Libero corre l’infinito piano.Ma quando scorge questa ciminieraRatto si volge e fugge via lontano,Che il fumo è così nero e attossicato … Sono i versi diPrimo Levi, impiegato nel 1942-43 alla Wander (attuale Cargo) uno degli stabilimenti della zona. Il borgo acquisisce caratteri dagliscorci sironiani,e una potente fisionomia industriale consolidatasi nel dopoguerra negli anni del boom e della migrazione dal meridione e da altri luoghi d’Italia. E infine lunghe storie di vecchie e nuove migrazioni. Mescolio di voci appunto come flatus vocis di genti, innumerevoli persone che hanno attraversato il paesaggio e dove spesso hanno radicato le proprie vite. Tullia Gianoncelli,etnografa,conCrescenzago: Luoghi e voci,si propone di indagare il territorio, la sua storia, la sua gente con i suoi metodi che non trascurano il vissuto e le esperienze delle persone residenti e come Alberto Savinio, ne ascolta il cuore. Il risultato è un approccio incantato e mediato a un tempo dagli strumenti della ricerca etnografica sul campo. Siti e persone intrecciano la loro vita e la loro identità in una osmosi immanente e necessaria. Si tratta di una visione orizzontale del territorio, in lungo e in largo, che ha come fine l’umanità che vi pulsa e che coglie l’aspetto poetico dell’abitare come luogo in cui confluiscono memorie, relazioni familiari, di vicinato e genericamente sociali. All’occhio freddo della ricerca antropologica, essa contrappone oggetti, suoni, olezzi e sogni. E’ questo il senso della sua indagine sensoriale, e solo a tali condizioni essa definisce il luogo e ne ascolta le voci. Si fanno così i conti con il filo della nostalgia e dei ricordi e i modi del racconto autobiografico del sé. Qui le voci si ricreano come forze primordiali, dotate di un potente dinamismo evocativo. In tal senso il linguaggio è impensabile senza la voce.L’indagine di Tullia attraversa le memorie degli abitanti spesso sognanti,pregne di significati e valori archetipi, e in esse il paesaggio e le sue trasformazioni hanno il ruolo determinante. Non il luogo Crescenzago descrittivo, topografico domina in queste pagine,ma un mondo saturo di emozioni ed esperienze:un evento, appunto, dove abitano gli uomini assieme al fluire delle acque di cui esso è impregnato. Le persone rievocano risorgive, marcite, pascoli e boschi, spesso ricordi emersi dalla vita del borgo agricolo che si avvia ad industrializzarsi e a contorno alle loro avventure di bambini e ragazzi. Tutte queste notizie si affastellano nella narrazione antropica di Tullia, in un racconto paratattico del territorio,disegnato per quadri successivi, in cui la memoria definisce prospettive e gerarchie.E cosi che si rincorrono le parti del testo: luoghi e voci, appunto che si confrontano con l’Io narrante della etnografa che ripensa al suo lavoro e i nessi tra il flusso dei pensieri e l’osservazione è fluido e solidissimo a un tempo: Percorro di nuovo via Berra, stavolta in senso inverso, dal fondo verso via Padova e sui miei passi risuonano le storie ascoltate. Ripasso davanti alla chiesa, cammino sull’acciottolato davanti all’ingresso, sassi di fiume, portati fin qui e posati ad arte. Osservo il susseguirsi composto dei sassi che mi ricorda i punti a mano di un pizzo merletto. La sciura Teresina che abitava a S. Mamete, era una ricamatrice di una bravura impressionante, sopraffina. Tramite questi modi, l’Autrice con grazia e levità di stile e di pensiero,ci predispone all’ascolto delle voci e ci prende quasi per mano a condurci lungo i luoghi, il verde, le acque del sito di Crescenzago,porta di Milano verso Venezia e gli Orienti. osito – responsabile del Servizio di Storia Locale del sistema bibliotecario milanese. *L’autore di questa recensione è Pietro Esposito, responsabile del Servizio di Storia Locale del Sistema Bibliotecario Milanese.