MAY, GRAN BRETAGNA. TERZA BOCCIATURA, CATASTROFE NO DEAL DIETRO L’ANGOLO

E tre. Nuovamente bocciata la proposta della May di una brexit concordata con Bruxelles. Magra consolazione, almeno per ora, il ridursi delle dimensioni della bocciatura. Una cinquantina di voti di differenza, contro i 200 della prima volta e i 150 della seconda. A nulla sono valse le contropartite avanzate dalla May per i riottosi e neppure il timore che in seguito alla bocciatura la palla passasse ai laburisti e le cose potessero peggiorare per il punto di vista della uscita a muso duro. Evidentemente, soprattutto per gli unionisti nordirlandesi, levarsi dai piedi Theresa costituiva un beneficio inferiore al costo di dover digerire una brexit senza garanzie relativamente ai tempi della chiusura dei confini con Dublino. Inoltre la proposta di una soft brexit, avanzata da una parte dell’opposizione laburista, non pare godere, finora, di sufficiente appeal. In pratica, una revoca della proposta May da sostituire con elementi più morbidi, come il mantenimento dell’apertura delle dogane, non è stata vista, a torto o a ragione, come qualcosa che possa conseguire una maggioranza tra i parlamentari. In altre parole, se i laburisti non sono stati disponibili a dare una manina alla May, per fornirle i voti necessari a far passare quanto concordato con Bruxelles, perché mai dei conservatori dovrebbero esprimersi con generosità di fronte a un parlamento guidato dai labour? C’è chi spera che quest’ultimo scenario non si sia del tutto chiuso, ma al momento le soluzioni più probabili sono le altre due, prospettate alla vigilia del voto. Da un lato un rinvio di fronte alla scadenza del 12 aprile. Ma per essere accolto da Bruxelles dovrebbe però implicare una paradossale partecipazione della popolazione britannica alla elezioni del 26 maggio. Quelle di una Ue alla quale hanno ufficialmente dichiarato di sentirsi estranei. Altrimenti la catastrofe new deal, più volte evocata per sostenere che nessuno la vuole, ma alla quale parrebbe difficile contrapporre alternative praticabili. Soprattutto in un palcoscenico, quello di Londra, sul quale ben raramente la fantasia ha occupato la cabina delle decisioni importanti. Tanto che si ritorna a parlare di nuove elezioni o di nuovo referendum. Si sentono ripetere in questi minuti, tutti i disastri che l’uscita unilaterale di Londra potrebbe determinare. Altro che “no deal, no problem”. Dai danni ai lavoratori immigrati, italiani compresi. Ai black out alle dogane e negli aeroporti. Dagli intralci sui mercati finanziari ai danni alle politiche di import e di export. Ma al momento non si vedono luci in fondo al tunnel. Chi è stato causa del suo male si accinge a piangere se stesso. Chi potrebbe ricevere gravi danni dall’agire altrui non avrà neppure la soddisfazione masochistica di potersi autoflagellare.