ELEZIONI TURCHE, PERDE COLPI ERDOGAN. PERCHE’? STORIE DI MOSCHEE, CIPOLLE E DIRITTI UMANI

ELEZIONI TURCHE, PERDE COLPI ERDOGAN. PERCHE’? STORIE DI MOSCHEE, CIPOLLE E DIRITTI UMANI

Finale di partita arroventato, quello delle elezioni amministrative in Turchia, al momento dello spoglio delle schede. Non tanto per il conteggio complessivo dei voti, che vede prevalere di misura il partito di Erdogan, che da solo sarebbe sotto il 50%, alleato dei nazionalisti di destra dell’Mhp, un tempo considerati i più ostici avversari del sultano. Determinante, per una valutazione politica del voto, il risultato delle grandi città. In particolare quello di Istanbul, sul quale Erdogan aveva vaticinato: “Chi vince a Istanbul vince in Turchia”. Mal gliene incolse. Oggi a scrutini ancora aperti, a Istanbul regnava il caos. Coi governativi che avevano cominciato a cantar vittoria nella notte, prima di un’ondata di schede favorevoli al candidato laico dell’opposizione Imamoglu. Al proclamarsi vincitore di quest’ultimo è guerra di comunicati con uno stallo che prevedeva un riconteggio delle schede. Fino a che viene ufficializzata la vittoria di Imamoglu per 25mila voti…e l’immediato ricorso del partito di Erdogan. Realtà metropolitana turca che emette segnali di ribellione contro Erdogan. Si conferma contro il sultano la metropoli di Smirne. Anche da Ankara campane a morto, con un margine però più risicato che a Smirne, ma più consistente che ad Istanbul e, anche qui, conseguente ricorso dei governativi. Il serbatoio dei voti per il premier rimane la campagna e più in particolare quella dell’Anatolia, fatta eccezione per i villaggi a dominanza curda. E comunque voto curdo che pesa, al momento di tirare le somme, vista la rinuncia a presentare propri candidati, pur di mantenere quella unità delle opposizioni che a Erdogan potrebbe costare cara in più di una sede. Le ragioni del voto spaziano dal sacro al profano. Sacralità laica dei diritti umani violata a vedere le decine di migliaia di incarcerati, esuli o comunque perseguitati da un regime liberticida. Ad essa Erdogan contrappone la sacralità di un Islam risorgente nelle sue forme tradizionali. Sua è la proposta di convertire in moschea l’edificio, quello di Santa Sofia, che il potere laico di Ataturk aveva destinato a museo negli anni 30. Un messaggio che fa presa sulle campagne. Meno nelle città dove ai giornalisti, ai professori universitari, agli intellettuali più in generale, viene fatta richiesta di sottomettersi, pena il carcere, ai voleri di un regime islamizzato, un Islam addomesticato alla concezione del capo. Odore di crociate ribaltate di segno, con la mezzaluna al posto del crocifisso e, tanto per cambiare, un capro espiatorio, quello dei curdi, a ricomporre l’unità dei tempi ottomani. Stando ai risultati di queste ore, la “crociata” ha mancato i suoi obiettivi. Una crociata di pancia che ha trovato il principale ostacolo nelle pance vuote dei turchi di città. Una molto profana inflazione, che fa corto circuito con una incipiente recessione tecnica, svuota prima le tasche e poi gli stomaci degli abitanti delle metropoli. Erdogan corre ai ripari. E’ guerra delle patate e delle cipolle. Le cipolle si trovano ancora, ma al 20% del rialzo dei prezzi si risponde con la vendita a prezzo sovvenzionato di frutta e verdura. Ma il gas, le medicine e la luce elettrica chi li paga? La miseria orienta il voto profano. la repressione quello ispirato ai valori. Se avesse perso Istanbul, Erdogan, avrebbe perso la Turchia. Stando almeno alle parole di Erdogan prima del voto. Ma non c’è da fidarsi, per chi conosce bene il mondo della politica internazionale. Quello che ha visto le sue esibizioni di camaleontismo al cambiare delle stagioni. Non se ne andrà. Erdogan pretende un time out. Dichiara che di elezioni politiche, per i prossimi quattro anni, non se ne parla. Fantasia di resurrezione? Difficile da immaginare in un musulmano integralista. I suoi oppositori sono più propensi a pensare e a sperare in una più o meno lenta agonia. Ma molto dipenderà dal contesto internazionale: se i paesi amici o dichiarati tali saranno disponibili ad operazioni di salvataggio sul versante economico o se invece lasceranno Erdogan solo, in preda ad un patologico accanimento terapeutico, in un vano tentativo di protezione del  suo potere.