L’HO UCCISO PERCHE’ ERA FELICE

L’HO UCCISO PERCHE’ ERA FELICE

Alla fine è stato un folle, un omicidio a caso, come un vaso che dal nono piano cala giù e ti centra la testa. Ciao.Sabato 23 febbraio, mattina, a Torino c’erail sole, ero lungo il Po anche io qualche chilometro a monte, nell’aria un senso di primavera anticipata. Da qualche parte in città un uomo esce dal dormitorio, la sua è una vita disperata, compera un set di coltelli perché vuole uccidere, cerca qualcuno che abbia quello che, ritiene, gli è stato tolto e non avrà più: la felicità.Compera un set di coltelli ma gliene basta uno, getta via gli altri, tiene quello che gli sembra il più affilato. Arriva da piazza d’Armi, quartiere Santa Rita, la zona del vecchio Comunale oggi stadio Grande Torino, e raggiunge il centro. C’è tutta una serie di microdecisioni prese e abbandonate quel mattino di primavera anticipata, il sole basso sulla città e comunque foschia, in lontananza, il cielo quel giorno era terso ma non tanto da consentire l’orizzonte. Quell’uomo acquista i coltelli, ne sceglie uno, cammina.Stefano è in orario. La sua non è giornata di grandi decisioni: uscire di casa e andare al lavoro, poco spazio alla fantasia. E pure nessun contrattempo: quindi è, al solito, più o meno negli stessi minuti negli stessi posti.La sommatoria di microdecisioni porta l’uomo con il coltello nei metri di Stefano. Non ha idea di quando uccidere, né chi: cerca un uomo felice, è disposto ad aspettare. Nei quaranta minuti in cui sta, lì e soltanto lì, e non al Valentino, non alla Pellerina, non in piazza d’Armi, non in corso Regina, non in corso San Maurizio, non in piazza Benefica, non in piazza Graf, lì e soltanto lì ha litigato con qualche persona, irritato, arrabbiato, perché non erano felici le persone che vedeva, non erano quelle che cercava.Poi è passato Stefano.Oggi la folla lo vorrebbe morto, ucciso con la pena della vita. Solo la famiglia e gli amici di Stefano hanno diritto a dire e pensare qualunque cosa, gli altri, per l’autoconservazione di una società civile, no.«Perché era felice» è uno dei moventi più agghiaccianti che ricordi. Tra Dostoevskij e Camus, la vita supera la letteratura, o viceversa, in questa continua eterna corsa non si capisce mai chi rincorre chi.