RESPONSABILITA’ DELLA PROVINCIA DI VICENZA: DA 13 ANNI NASCONDE INQUINAMENTO PFAS
Il rapporto dei carabinieri del Noe di Treviso (Nucleo operativo ecologico) spiega in 270 pagine che “C’è stata la volontà di non far emergere la situazione, colpevole anche l’Agenzia ambientale Arpav”. Responsabilità dolose che dovranno essere valutate nella specificità dei casi per l’inquinamento da Pfas.Questo è quanto viene spiegato in un articolo di Repubblica.it a firma del giornalista Corrado Zunino. Nel micro-dossier vengono illustrate le ragioni e viene riportata l’attività delle indagini. Col termine Pfas si intende l’inquinamento da solfuri di carbonio combinati con gli acidi fluoridrici. Un problema che già 13 anni fa avrebbe potuto essere reso pubblico e adeguatamente affrontato.La Provincia di Vicenza negli anni 2006 e poi successivamente nel 2011, prese atto del documento conclusivo del Progetto Giada e non attivò nessuna procedura, come ad esempio la richiesta di una approfondita verifica nello stabilimento Miteni, all’Agenzia Arpav (l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), la quale avrebbe potuto con maggiore efficacia fare il punto sul problema e conseguentemente evidenziarne le criticità e fornire le indicazioni per contenere il fenomeno. La Miteni è una società chimica italiana di proprietà di WeylChem. Produce intermedi, contenenti fluoro, destinati prevalentemente all’industria farmaceutica e agrochimica.Attualmente la società è in crisi a causa della contaminazione della falda freatica, con tensioattivi perfluorurati quali PFOA, GenX e C6O4, intorno a Trissino (sede principale dell’impianto chimico, nella provincia di Vicenza). La fabbrica “dei veleni” ha causato un grave inquinamento, il più grave per le acque mai registrato prima nel nostro Paese. Ha interessato 3 province, coinvolgendo 350 mila persone e di queste, circa 90 mila sono sottoposte al controllo clinico.La Procura di Vicenza ha chiuso le indagini certificando 13 persone indagate per inquinamento delle acque e per disastro innominato, reato che riguarda la vecchia dirigenza MIteni oltre che quella attuale. Le amministrazione locali e i tecnici ambientali del Nord-Est erano a conoscenza dell’inquinamento. La Provincia di Vicenza, nel 2006 sotto la guida leghista di Manuela Del Lago; l’Agenzia regionale per la protezione ambientale e l’Arpav Veneto, conoscevano i dati inquietanti e i danni sul territorio ma, non provvedevano a rendere pubblici i rapporti.La causa era la tossicità delle molecole utilizzate per cromare e placcare; per rendere liscia la superficie dei piumini; per conferire proprietà antiaderenti alle padelle… La cronologia di questo avvelenamento durato circa 50 anni è tutta nel rapporto giudiziario del Noe, che costituisce la prima ricostruzione storica degli eventi. I fatti ed i reati contestati arrivano fino al 2013.Greenpeace si è costituita Parte Civile e in tale ruolo ha potuto avere accesso alla relazione che appunto prende in esame i fatti fino al 2013. Un elemento che offre aperture a diverse discussioni e che è bene tenere in considerazione è che, grazie al finanziamento con fondi comunitari, negli anni tra il 2003 e il 2010 l’Ufficio Ambiente della Provincia assunse la gestione di un progetto di controllo ambientale: il Progetto Giada. Dall’attività del Progetto iniziò ad emergere “l’incremento nella contaminazione da benzotrifluoruri, sintesi o sottoprodotti derivati dall’attività della Miteni”. La società anche in passato fu al centro di un caso di grave contaminazione delle acque potabili, un episodio che risale al 1977.Il Progetto Giada ha potuto rilevare il disastro ambientale che riguarda la falda sotterranea tra Trissino e Montecchio Maggiore.Anche la tesi di dottorato (in Scienze ambientali) nel 2010 di Lorenzo Lava, finanziata dall’Arpav, confermò le stesse criticità. Ed è proprio evidenziato dal Noe come malgrado l’Arpav conoscesse i risultati prodotti dal Progetto Giada e non abbia disposto immediatamente verifiche mirate alla Miteni.Ancora nel rapporto del Noe è riportato come contrariamente a quanto dichiarato dagli amministratori della società Miteni, non fosse stata istallata alcuna barriera idraulica per il contenimento della contaminazione e di tale contraddizione ne arrivò segnalazione da GreenPeace, già sette anni prima.Il Noe scrive nel rapporto: “…La barriera è una struttura grande e complessa, sorprende che sia sfuggita all’occhio esperto di tecnici deputati a controlli ambientali”.L’Arpav avrebbe rilevato la sua esistenza solo nel luglio 2013. Eppure, “già in data 13 gennaio 2006” personale di Arpav Vicenza “operava direttamente sulla barriera per chiudere e sigillare i contatori dei pozzi collegati”… La deduzione risultante dalle indagini è che quindi si possa affermare che: “C’è stata la volontà dei tecnici Arpav di non voler far emergere la situazione”. Se avessero segnalato la questione “contenimento”, gestita in autonomia da Miteni, “la bonifica sarebbe potuta partire già da quella data”. Gennaio 2006. La Miteni (che evidentemente era consapevole dei rischi) tra il 1990 e il 2009 incaricò alcune società di consulenza per la valutazione dello stato di inquinamento dell’area intorno al Fiume Fratta Garzone. Ma l’azienda chimica non comunicò i risultati, né tantomeno mise in essere provvedimenti adeguati per arginare il fenomeno.Gli abitanti della provincia di Vicenza sono stati così condannati per un periodo superiore a dieci anni a subire gli effetti di una contaminazione pericolosa e costante. Questo anche a causa del silenzio dell’Agenzia regionale per l’ambiente e di quello della Provincia. Adesso si scopre che i silenzi della Provincia di Vicenza e dell’Agenzia regionale per l’ambiente hanno concorso a condannare la popolazione veneta a subire per “oltre dieci anni” gli effetti di una contaminazione profonda e pericolosa, che stando ad alcuni studi, causano danni irreversibili all’organismo. Un studio autorevole dell’Università di Padova ha confermato le preoccupazioni manifestate dai No-Pfas, che negli scorsi mesi hanno manifestato anche a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo, chiedendo inutilmente la messa al bando di queste sostanze.I famigerati Pfas, composti perfluorati che hanno inquinato la falda e gli acquedotti del Veneto, con la loro azione sull’organismo interferiscono con gli ormoni, determinando infertilità, sviluppo non regolare dell’apparato genitale maschile e tumori. La consulente ambientale Marina Lecis, che ha scritto le perizie dei comitati che si sono costituiti a processo, ha dichiarato che “Il Pfas di Trissino è un caso di livello mondiale”.L’impianto accusatorio è anche suffragato dalle dichiarazioni del dottor Sacchetti, il tecnico della Erm, società che nel 2005 progettò e realizzò la barriera idraulica per conto di Miteni. Sacchetti ha detto di ricordare che nell’ultimo periodo in cui ha lavorato presso Erm Italia aveva incontrato nello stabilimento di Trissino l’ingegner Vincenzo Restaino dell’Arpav che era a conoscenza del problema.Oggi l’ingegner Restaino è alla direzione del Dipartimento di Rovigo, dopo essersi occupato per molto tempo negli uffici di Vicenza “della contaminazione di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque potabili sotterranee e superficiali nelle province vicentine, padovane e veronesi”. Il dirigente Restaino da tempo era a conoscenza della grave contaminazione prodotta da Miteni”.Sui ritardi delle indagini e sulla bonifica, Greenpeace chiede per quali ragioni l’ingegner Restaino non abbia condiviso ciò che stava succedendo coi colleghi e coi funzionari regionali. GreenPeace chiede anche se in seno all’Arpav sia stata avviata un’indagine interna e se la sua dirigenza abbia informato i vertici regionali. Con la chiusura della Miteni, la presenza di Pfas e derivati, in Veneto non si è risolta. Nicola Dell’Acqua, Il direttore dell’Area tutela e sviluppo della Regione ha scritto al curatore fallimentare della Miteni, segnalando l’aggravamento della situazione: “Le ultime analisi effettuate segnalano un peggioramento della contaminazione delle acque di falda. Bisogna intervenire subito”.Il peggioramento è paradosalmente proprio a causa della chiusura dello stabilimento, poichè è venuto a mancare il potenziamento della barriera idraulica, che dovrebbe impedire la fuoriuscita delle acque contaminate.Naturalmente la Pubblica amministrazione non può più sperare in un intervento sulla ex Miteni e intanto le concerie della zona di Vicenza stanno continuando ad impiegare il Pfas. Il suo utilizzo nel Veneto è stimato in 160 milioni di tonnellate all’anno. Questa mole di utilizzo, secondo la stima del ministero dell’Ambiente provocherà 136 milioni di danni per l’ambiente e a questo problema non sembra essere ancora individuata una soluzione efficace.I Pfas, attraverso l’acqua del rubinetto, continuano ad arrivare nel sangue dei cittadini.Uno studio dell’Università di Padova ha confermato la teoria che la sostanza può apportare danni ai feti in crescita nei nove mesi di gestazione: gli screening del professor Carlo Foresta dimostrano inoltre che le ventenni residenti nell’area rossa della contaminazione sono vittime di un’alterazione della fertilità.In ulteriori ricerche si è oltretutto evidenziato l’attacco al sistema endocrino da parte dei perfluoroalchilici e la loro potenzialità cancerogena. La Convenzione di Stoccolma sulla base dei molteplici studi, nel 2009 ha messo al bando una delle sostanze: il Pfoa. E’ previsto che Il Pfos entro quest’anno sarà aggiunto alla lista.
